Siamo l’alternativa antisistema, ma chi siamo? Chi è l’alternativo? Chi non si è fatto infinocchiare dalla propaganda holliwoodista, chi non crede più al babbo natale americano ed al lungo elenco di balle che ha imposto a tutto il mondo? Va bene, ma questo “noi” è puerile nell’attribuire alla controparte (dicasi élite), tutta la responsabilità, la colpa e la cattiveria di quel che accade.
“Noi” siamo anche i figli di quella modernità che oggi vediamo partorire mostri distopici. Prima che distruggerci nei corpi e nell’intelligenza per gli effetti del consumismo, la modernità ci ha emancipato in tanti campi: un’idea di insopprimibilità dell’individuo, in primis, ma anche il solidarismo sociale e quindi lotta di classe e sindacati e poi femminismo, ecologia, pacifismo, omosessualità etc. Diciamo che i decenni della nostra bella epoca senza guerre (a casa nostra!) li abbiamo impiegati in ogni movimentarismo possibile a dar voce a tutte le sfaccettature e criticità di un’umanità da riscoprire sotto le rigidezze dei tradizionalismi.
“Da sotto i tradizionalismi…” appunto! Sono quelli i precedenti storici da cui si è prodotto il mondo moderno, non possiamo pensare di tornare indietro. Realisticamente “noi” possiamo solo essere un soggetto moderno, che però è andato oltre, ha superato gli spigoli in cui la modernità si è incastrata. E se anche qualcuno sulla terra fosse davvero sfuggito al confronto con la modernità, allora siamo noi quel soggetto che DEVE (deve sottolineato!) dimostrarsi capace di spiegare senza traumi a chi ancora abita nei tradizionalismi quali indebite rigidità comporta il suo posizionamento.
Prima ancora dell’ambizione di definire l’orizzonte di senso della nuova esperienza è necessario che la rifondazione culturale si componga perlomeno della somma di tutti quei percorsi critici. Criticismi dei quali dobbiamo quindi essere in grado di studiare e capire il portato positivo e distinguere i fattori limite e dunque la versione tragicamente travisata che ne ha fatto il transumanesimo.
E’ assordante il silenzio di quei soggetti che negli scorsi decenni hanno proposto sincere esperienze di ecologia pacifismo o questioni di genere: per anni inascoltati ora di colpo i loro temi, stravolti, sono diventati le armi del nemico. Ma quel silenzio chiede solo un’interlocuzione: è il momento che i temi elaborati da specifiche soggettività diventino ora patrimonio comune.
Non possiamo ripudiare la modernità con cui ci siamo emancipati, ma dobbiamo essere qualcosa più che moderni, dobbiamo andare oltre usando anche gli strumenti della modernità proprio perché consapevoli dei limiti che presentano.
Concettualmente dobbiamo affinare i nostri strumenti capendo il ruolo deresponsabilizzante di atteggiamenti semplificati come il vittimismo o l’infantilismo. Dobbiamo imparare a riconoscere le complicità reali piuttosto che accomodarci a cercare sempre un colpevole in qualcun altro.
La situazione è semplicemente che le popolazioni occidentali accusano oggi gli effetti di uno stile di vita consumista in termini di immiserimento umano: semplificazione, stupidità, malessere. La risposta a questo disagio si chiama autolesionismo. E le élite non sono “cattive” ma semplicemente organizzano ciò che il malessere popolare chiede: guerra, distruzione, assurdità.
Noi temiamo la guerra ma la bomba è già scoppiata, l’incomprensione è lì: queste che ci circondano sono macerie umane (e noi nel mezzo!). Le élite, nei loro raffinati sadismi, hanno solo organizzato una grande lotteria cui tutti partecipiamo allettati dalla grande promessa implicita: i pochi sopravvissuti staranno più larghi!
Il transumanesimo non ha la dignità di un reale progetto di umanità, è solo il delirio di un’agonia. Se ancora ci riconosciamo un minimo di vitalità allora troveremo di sicuro più interessante preoccuparci di pensare a cosa portare sulla scialuppa di salvataggio e come immaginare un futuro possibile. Facciamo un esempio.
Chi si è messo nell’ismo dell’ecologia si è chiesto dunque come inventarsi un modo ecologico di stare nell’ambiente, come abitare la provincia e custodire il territorio. Questi “neo-eco-villici” non sono più ovviamente la diretta continuazione di un passato tradizionale, ma neppure possono essere ridotti a mera espressione di scelte e gusti personali (come vorrebbe la versione moderna). No, essi sono e non possono evitare d’essere una denuncia per l’altra opzione abitativa: la città!
Puzzoni ed esecrabili quanto volete i neovillici, ma quell’esperienza, se intenzionale e consapevole, segna un punto critico di non ritorno: di fronte all’esempio di un ecovillaggio nessuno può più rivendicare una legittimità alla vita cittadina, non ci sono ragioni perché qualcuno si sottragga al prendersi la sua parte di responsabilità per l’ambiente che lo nutre. Chiunque dovrebbe saper dire quale è il campo che lo nutre.!
Questo piccolo esempio per dire che dobbiamo chiarirci sul tema “verità”. Queste erano la cifra del passato, grandi verità rivelate o comunque assolutiste e rigide. Poi in tempi moderni ci eravamo quasi assuefatti all’idea che di verità non ce ne fossero più, un po’ come quando si smette di credere a babbo natale. E ora, cosa gli viene in mente al mondo alternativo? Che dobbiamo tornare ai vecchi valori: dio patria famiglia?
E’ evidente invece che dobbiamo maturare un nuovo rapporto con la verità. Le nuove considerazioni che tutti i movimentarismi portano, ciascuno sul suo campo specifico, non sono nuove ortodossie e imposizioni, ma semplicemente ammissioni di realismo, criteri di valutazione.
Al di là di ogni sofismo la realtà materiale, la realtà dei nostri corpi, è ancora un riferimento utile per la nostra comprensione del mondo.