fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

mercoledì 27 giugno 2012

Falli e orti


I romani erano soliti esporre nei loro orti, a propiziarne la fertilità, falli di legno. I greci invece, con la stessa finalità, organizzavano processioni con statue di enormi falli di legno chiamate phallophorie.






Ma i mitologi sono concordi nell'attribuire al fallo un significato di potenza virile. Come mai allora queste culture l'hanno preso a simbolo di fertilità invece di un più consueto simbolo femminile? E' l'utero che è fertile e fin dalla preistoria la fertilità è stata rappresentata da statuette femminili con culi pingui e tette in soprannumero.
Proponiamo una soluzione a questo enigma che non si basa sugli studi classici e che non ha bisogno di scomodare Priapo e Dioniso.
Nella nostra esperienza di orticoltori ci siamo trovati nella necessità di correggere un terreno particolarmente argilloso. Fukuoka suggerisce il metodo di sotterrare legno, e noi l'abbiamo sperimentato prelevando dai boschi limitrofi legno marcescente raccolto a terra e sotterrandolo nelle prode. Il metodo ha dato ottimi risultati ed ha prodotto un effetto collaterale sorprendente: funghi ovunque e tra questi una quantità industriale di uno in particolare del genere Phallus (nel nostro caso la varietà Mutinus canino).



Forse sia i romani che i greci hanno adottato questo simbolo non tanto per stupida superstizione quanto per trasmettere un metodo di coltivazione. Un metodo che, con l'aumento di un consumo di carne e relativo allevamento, si è poi perso soppiantato dall'uso esclusivo del letame.
Attualmente anche noi, per la presenza in azienda di tre cavalli, abbiamo abbondanza di letame, ma continuiamo a sotterrare col letame qualunque tipo di  legname (escludendo ovviamente i materiali con colle e vernici) e di scarti della produzione di legna da ardere (ramaglia, cortecce e segatura).
Agli amici orticoltori, unica categoria che in quest'epoca ci sembra possa avere un portato rivoluzionario, suggeriamo di sperimentare questo metodo che arricchisce il terrano nei tempi lunghi, ma fornisce anche ottimi risultati sin dal primo raccolto.
Appendere un grande fallo di legno alla recinzione del nostro orto, in fondo, potrebbe essere un modo per segnalare un orto coltivato con un metodo ecologico che mette in sincronia l'orto con la pulizia del bosco, quindi l'alimentarsi col riscaldarsi... due fra le prime necessità fondamentali da soddisfare e forse anche tre, a pensarci bene...
Nelle esperienze pratiche, alimentazione o agricoltura, ci si può trovare nelle stesse condizioni di altre epoche storiche e contesti culturali: gli alberi non sono cambiati così tanto dai romani ai nostri giorni, la terra è la stessa e non ci stupisce quindi di aver riprodotto, usando elementi che non sono mutati, lo stesso fenomeno a distanza di due millenni.
Forse, la mitologia non è che il degrado di una reale conoscenza...

domenica 24 giugno 2012

Carne e fisiologia, le ricerche del dott. Varkj


"Mangiare prodotti animali di specie mammifere provoca fenomeni infiammatori"

"Ridurre il consumo di carne di mammiferi riduce il rischio di artrite reumatoride, 
asma e sclerosi multipla".



Se razionalità e ragionevolezza fossero tenute in debita considerazione, queste scritte
dovrebbero campeggiare su tutti gli alimenti con ingredienti di origine di animali mammiferi
(carne, latte e formaggi). Se non ci permettiamo questa sensatezza è solo perché alla salute,
nostra e dei nostri figli, anteponiamo dei motivi banalmente economici (chi produce carne
non può non mangiarla!) ed un'immaturità sessuale che ci fa privilegiare ciò che è gustoso
(vedi il post "Gusto e alimentazione").
Perché sostengo questo? Perché é proprio l'assetto individualistico di questa società, col suo
infantilismo e la sua esasperazione del gusto, che ha rimosso il dato empirico di queste
ricerche, ormai risalenti ai lontani anni '80.




il medico indiano Ajit Varki

<< Nel corso dei suoi studi Varki si accorge che il nostro sistema immune reagisce contro un certo acido sialico, si chiama acido N-glicolil neuraminico (Neu5Gc). «Che strano - pensa - acido sialico ce n' è sulla superficie di tutte le cellule di tutti i mammiferi e ha tantissime funzioni». Ma presto si rende conto che l' uomo fra tutti gli animali è l' unico a non avere Neu5Gc e non solo l' uomo di oggi. Anche gli ominidi di 900 mila anni fa erano senza Neu5Gc. Per saperlo Varki s' è messo a lavorare col paleontologo Juan Luis Arsuaga: hanno studiato ossa fossili prese a Atapuerca. A un certo punto dell' evoluzione insomma si è perso Neu5Gc: al suo posto gli uomini hanno un altro tipo di acido sialico, Neu5Ac. La differenza è molto piccola, solo un gruppo OH appiccicato ad uno dei due rami della molecola. Le scimmie come tutti gli altri mammiferi hanno Neu5Gc, e Varki si era messo in testa di voler capire perché. Neu5Ac (quello dell' uomo) è il precursore di Neu5Gc e c' è una proteina - enzima - che trasforma Neu5Ac in Neu5Gc. Ma il gene che serve alla sintesi di questa proteina nell' uomo è mutato, la corrispondente proteina non funziona e così non si forma Neu5Gc. Varki si stava convincendo che forse è proprio questa proteina appena diversa a far sì che l' uomo sia uomo e lo scimpanzé scimpanzé(...)
Ma c' è di più, l' uomo è diverso dalle scimmie anche per la suscettibilità a certe malattie del sistema immune: artrite reumatoide, asma o sclerosi multipla colpiscono solo l' uomo, mai le scimmie. Cosa c' entra con l' acido sialico? C' entra. L' uomo non ha Neu5Gc ma da secoli mangia prodotti animali pieni di Neu5Gc, carne e latte per esempio. Così nel nostro sangue si formano anticorpi anti Neu5Gc che determinano poi reazioni infiammatorie, ma anche le malattie del cuore e il cancro potrebbe avere quell' origine lì. Varki e Gagneux si sono precipitati in un supermercato, hanno preso agnello, maiale e manzo, pieni di Neu5Gc, e ne hanno mangiato quanto potevano. Nei giorni successivi si sono accorti che nel loro sangue cominciavano ad esserci anticorpi contro queste Neu5Gc che nel frattempo si incorporavano nelle membrane delle loro cellule. >>

http://archiviostorico.corriere.it/2008/settembre/06/Uomo_scimmia_proteina_sapiens__co_9_080906081.shtml



P.S.  Questo è un dato fisiologico, punto. Né più né meno della necessità che abbiamo della vitamina D:
se tratti bene un bambino ma lo privi del sole ti verrà rachitico... se lo tratti male ma gli dai ogni tanto una pastiglietta di vitamina D ti verrà magari imbecille ma non rachitico!
Siamo abituati a trattare il problema della carne e dei suoi derivati nella nostra alimentazione come una questione di etica ma questi dati non sono etici, sono banalmente fisiologici. Non è detto che nei prossimi anni potremo permetterci questi livelli di assistenza sanitaria, e forse la crisi avrà il merito di farci intensificare l'aspetto preventivo.


martedì 19 giugno 2012

Sull'affetto


Sovrappensiero consideravo le condizioni della cagna accucciata in cucina: patisce
il clima ed il suo precario stato di salute potrebbe risentirne, ma per il caldo di 
questa estate, purtroppo, non posso proprio farci niente. Che stupido che sono, 
pensavo, ad affezionarmi a qualcuno che sta per morire!
E in effetti è così. Mi hanno chiesto di tenere questa cagnetta venuta d'impaccio
in mezzo a un divorzio: a quindici anni è decisamente vecchia e cataratta e 
displasia dell'anca sono l'annuncio evidente di quel "parossismo" di malattie cui i 
cani sono soliti abbandonarsi dopo averci regalato anni di salute e vitalità.






L'affetto è gratuito, questo lo sanno tutti, ma c'è di più: l'affetto non si
sceglie e sorge spontaneo con chi c'è! E' la presenza reale, è la convivenza di 
fatto quella che conta, non quella voluta o desiderata.
E così dovrebbe accadere anche nel branco umano. Che problema c'è a riempire case,
cascine ed ecovillaggi di sorta? E' sufficiente lavorare  un po' fianco a fianco, 
condividere il cibo, scaldarsi allo stesso focolare... e l'affetto dovrebbe 
crescere inosservato ma inesorabile, complice il tempo passato assieme.
E invece no, tutti si dà per scontato che ciascuno pensi al suo interesse e nessuno
rischia la comunione dei beni laddove manchi l'intimità d'un rapporto famigliare. 
Tutti abbiamo in testa che l'affetto sia una cosa speciale, da spendersi con una 
precisa persona in un rapporto d'elezione...
Ma per quella strada non si va da nessuna parte, è quella che conosciamo già e
porta all'individualismo e alle sue strutture tradizionali. Non c'è ecologia  e non 
c'è rinnovamento sociale per quella strada, e non pensiate che basti sforzarsi un 
po' per amare il prossimo... per favore, la strada dell'amor cristiano ha già dato 
bella mostra di sé.
No, il punto è che l'affetto è questione di salute e che la salute è dunque il solo
collante sociale di una possibile alternativa al vivere moderno. Ma questo, 
ovviamente, a patto di non voler chiudere sbrigativamente il discorso dichiarandosi 
sani e accoppiati: l'amare "solo" una persona non è sintomo di grande salute, e 
spesso si struttura in forme che di fatto ci escludono a priori dal resto del 
mondo.
Usiamo l'affetto come indicatore del nostro stato di salute. Quanto affetto sono in
grado di esprimere? Quante persone sono in grado di considerare affettivamente?
Queste sono le domande reali che possiamo farci. Non abbiamo bisogno di alcuna
morale quando già abbiamo un corpo che ha tutta la voglia di dirci come sta. 
Ascoltiamolo, forse la salute può ancora stupirci dimostrandosi un po' più in là 
dell'immagine che ci siamo fatti di noi stessi.

giovedì 14 giugno 2012

Olio Santo!


La generazione del dopoguerra divideva il cibo in leggero e pesante. Donne e
bambini mangiavano "leggero", mentre al maschio lavoratore era riservata la parte
ricca, gustosa e quindi "pesante" del desco. Il mangiar "leggero" era anche la
cura, la minestrina del malato. Erano criteri minimi e poco scientifici.
Ora invece, che abbiamo saldi principi scientifici, praticamente tutto ciò che
produciamo deve fare bene. E la scienza si impegna, volenterosa, fino a trovare in
qualunque cosa una qualche sostanza che "fa bene", ed essendo qualunque cosa
composita di innumerevoli sostanze... una che può avere un qualche effetto
positivo, di per sé, ci sarà sempre!
Ecco allora il bicchiere di vino che protegge il cuore, il cioccolato che ci aiuta
coi suoi alcaloidi (buoni questi, mentre cattivi sono sempre quelli della
marjuana!), il formaggio che dà il calcio per le ossa, l'acqua minerale ormai
obbligatoria come una tassa... e finalmente l'olio, santo olio, cardine
dell'alimentazione mediterranea!
Nella triste realtà la massa corporea dell'italiano continua a crescere e si
comincia ad avere problemi con la nuova generazione di bambini obesi. Se
analizziamo i comportamenti degli italiani vediamo un consumo di grassi in costante
ascesa.



In molti arrivano alla conclusione dell'urgenza di ridurre il tenore di grassi, e
la scarsità dei risultati di questi sforzi è spesso da attribuire all'incapacità di
ridurre l'olio come condimento. L'olio contiene all'incirca il 90% di grassi, ed il
consumo procapite di 22 Kg all'anno, di cui la metà d'oliva, sembra uno scoglio
insuperabile per il nostro girovita.
Certo, l'olio è meno peggio del burro, ed ormai tutti sanno che deve essere di
qualità, extravergine e spremuto a freddo senza solventi, e che bisogna evitare
olii di colza o di palma... Ma poi si casca sulla quantità: quell'attimo col polso
girato sull'insalata finisce per fare i litri e l'olio, per sua natura, ha molta
voglia di scendere in fretta...
Ma qual'è la quantità di grassi ragionevole?
Dipende: per un inuit al polo nord è sicuramente molto, per i nostri climi e per il
nostro comodo stile di vita molto poco!

In questo post voglio illustrarvi un metodo di cottura in padella che fa il
possibile per mantenere il gusto senza usare la quantità.
Si tratta di saltare o ripassare in padella qualsiasi cosa: fette di polenta, un
riso bollito da saltare con le sue verdure, i resti di ieri da scaldare... è
perfetto per tofu e thempé che sono preparazioni già cotte che vanno solo
insaporite al momento.
Usiamo una padella d'acciaio. Fredda, la bagnamo e la scoliamo, rimarrà un velo
d'acqua che correggeremo con una presa di sale o, meglio ancora, un goccio di salsa
di soia. Questo serve a cambiare la tensione superficiale dell'acqua ed a far sì
che le poche gocce d'olio che vi faremo cadere si allarghino facilmente per tutto
il fondo. A questo punto mettiamo ciò che dobbiamo cucinare e cominciamo a
scaldare. In pochi minuti, quando l'acqua avrà finito di evaporare, quella minima
quantità d'olio ben distribuita comincerà a scaldare e darà il gusto del fritto.
Spegniamo e serviamo.
Come sempre con l'olio, anche in questo caso attenti a non andare oltre nel calore
e bruciarlo producendo sostanze pericolose per la salute. Nell'esempio vedete il
thempé, un panetto di soia gialla fermentata che, saltato in questa maniera, con
aglio e rosmarino, rappresenta un secondo decisamente gustoso.





Altri accorgimenti nell'uso dell'olio.
Un soffritto si può fare prima rosolando le verdure e poi aggiungendo le nostre
poche gocce d'olio. La padella d'acciaio asciutta deve essere ben calda e le
verdure devono tostare asciugandosi evitando che si ammollino nel loro umido. In
questo caso l'acceleratore consiste nella fiamma ed il freno nel salare, rimestare
e chiudere col coperchio. Regolatevi, le verdure dimenticate sul fuoco passano dal
dorato al rosso al bruno e al nero. Il nero è ovviamente da evitare mentre penso
che tra il dorato e il rosso si incrocino ancora gusto e salute. Quando la
tostatura è sufficiente spegnete e lasciate scendere un poco la temperatura perché
le gocce d'olio che aggiungerete non brucino ma distribuiscano la componente
"frittura" al vostro piatto.
Altro suggerimento per quanto riguarda l'insalata. Razionalmente non si può
considerare l'olio per un uso lubrificante. L'abilità nel condire l'insalata sta
nel valutare la sua delicatezza e decidere quando condirla rispetto al momento di
sedersi a tavola. Per usare meno condimento basta lasciarlo agire un po' di più.
Una nota ancora sugli ingredienti. Relativizzando l'olio si può riscoprire il gusto
originario dell'oliva, in tutte le varietà di cui è ricca l'italia.

P.S. Ricordate che una cucina senz'olio è anche una cucina senza detersivo, e che
lavare i piatti è dunque molto più comodo...

domenica 10 giugno 2012

Considerazioni sulle ferite


In quanto a forma, il mio compagno ci ha dato. Scivola su di una lamiera e cadendo
se la infila alla base del mignolo. Ci starebbero due punti e un'antitetanica, ma
non riesco a convincerlo all'ipotesi di un pronto soccorso. Non pago, il giorno
dopo mi dice "vado a far girare Opera..." (giovane cavalla dal pessimo carattere),
dopo cinque minuti me lo trovo in cucina con una gamba sul tavolo e sul polpaccio
il segno del calcio: qui ce ne starebbero quattro o cinque di punti, oltre alla
solita antitetanica, ma me lo tengo per me e vado a prendere i cerotti.
Dopo una pulizia della ferita lo vedo offrirla all'attenzione della piccola Titti,
cagnetta ereditata da un amico defunto che da un'anno vive da noi: la cagnetta
annusa ma non lecca.
Prima considerazione: i cani sono coscienti della necessità della coagulazione.
Nei giorni seguenti la stessa cagnetta si applicherà con impegno a leccare le
croste del mio compagno, con un trattamento quotidiano che dura diversi minuti. E
di tutto rispetto dal punto di vista infermieristico, dato che dopo pochi giorni,
una settimana al massimo, le ferite sono completamente rimarginate e non hanno
comportato alcun fenomeno di infiammazione.
Che storia ha la cura di una ferita?
Attualmente non è più un problema, non si muore per un taglietto ma è difficile
tenere a mente che gli antibiotici sono arrivati solo alla fine della seconda
guerra mondiale. Senza quelli era il protocollo medico inglese, lavare le ferite
con una soluzione di acqua e sale, che aveva dato i migliori risultati anche se
relativi: nella prima e seconda guerra mondiale l'uso di bombe che producono
un'infinità di schegge faceva strage per i tanti che morivano di setticemia in
conseguenza di ferite anche lievi.
Se un salto qualitativo sono dunque stati gli antibiotici nel 1945, per trovare il
precedente dobbiamo arrivare indietro fino al dott. Cesare Magati (1579-1647)
che per primo ha avuto il coraggio di contrastare la tradizione di Galeno. Tradizione
che ha origine quindi nel II sec.dc e che prescriveva un accurato protocollo teso a
"far suppurare la ferita"!
Sì, suppurare: infiammare, infettare e provocare versamento di pus, nel senso non
di far uscire quello che c'è ma di generarne di nuovo e abbondante.
Per cui per quattordici secoli ligia ai sacri insegnamenti galenici, la medicina
ufficiale si era prodigata nel cercare le migliori ricette per la suppurazione:
apertura e lavaggi quotidiani, pezzi di stoffa imbevuti di questo e quello da
infilare nella ferita...
Evidentemente per quattordici secoli era la medicina ufficiale da considerarsi la
prima causa di morte, perlomeno tra i ceti abbienti cui era riservata... Il
tentativo reiterato di procurarti una setticemia, unita alla consuetudine di
pesanti salassi, doveva rendere molto pericoloso l'incontro con un medico!
Tornando quindi al nostro dott. Magati sembra che una volta, curata
eccezionalmente una popolana ed avendola poi trovata dopo alcuni giorni
perfettamente guarita, si stupì. Non del suo intervento, perché la popolana non
aveva certo seguito le sue indicazioni ed aveva fatto di testa sua, ma della
pronta guarigione! Si era reso conto che la ferita si era risolta così bene solo e
proprio perché la paziente si era sottratta alle sue cure.
Così Magati elabora un protocollo di pulizia e rispetto dei tempi fisiologici
della cicatrizzazione, che pubblica nel libro "De rara medicatione vulnerum", e
che è ancora valido oggigiorno: "pulire la ferita, avvicinare il lembi e coprire
con un panno di lino ripiegato, stringere poco le bende e lasciare il bendaggio 5
giorni prima di sostituirlo, consentire quindi la naturale rimarginazione della
ferita..."
Sorprendente è come questo benefattore dell'umanità non abbia nessuna notorietà.
Mentre in ogni città c'è una via dedicata a Cadorna (noto psicopatico che con le
sue famose "undici spallate" ha mandato a morte centinaia di migliaia di giovani
italiani nella prima guerra mondiale), io sono riuscito a trovare solo un ospedale
intitolato al dottore e frate cappuccino Cesare Magati: a Scandiano, il suo paese
natale in provincia di Modena.
Quattordici secoli di ossequio ad una tradizione criminale! Come sembra difficile
per l'umano capire qualcosa di se stesso, eppure... sarebbe bastata l'osservazione
della cura che ha un cane per le sue ferite!

giovedì 7 giugno 2012

Case di paglia


Cara Natalie,

approfitto del blog di mio marito per alcune considerazioni sulle case di paglia
che, come tu sai, sono un argomento che mi provoca l'orticaria!
Ti ho promesso una consulenza sul tuo progetto di insediamento ma, vista
l'importanza che il farsi casa può avere per l'autonomia delle persone, mi sembra
interessante rendere pubbliche queste considerazioni. In ogni caso, felicitazioni
per aver ricevuto la licenza edilizia di una casa in paglia e terra cruda.
Premetto che non ho nulla contro la paglia, materiale che mi sembra, di per sé, un
ottimo coibente. Qui vorrei evidenziare alcuni limiti di una certa tipologia di
muratura in paglia.
In realtà le "case di paglia" sono costruite in paglia, legno e terra: la balla di
paglia come coibente, una struttura portante in legno e la finitura in terra cruda
all'esterno e all'interno. Essendo lo spessore del ballotto di paglia almeno 40 cm
e la finitura in terra cruda almeno 15 cm per parte, alla fine si ottengono muri da
circa 70 cm... ed uno dice: che bello! con un muro così coibentato mi scalderò con
niente.
E' vero, ma parziale, e la progettazione deve invece cercare di considerare la
totalità dei fattori. Te ne presento due di fattori che mi sembrano problematici -
lo spazio e la luce - comparando un muro da 70 con uno da 35 cm di spessore.



Come vedi dallo schema, dunque, lo spessore del muro comporta la perdita di un
terzo della superficie interna (e ricordo a tutti che la cubatura edilizia, per il
comune, è quella lorda delle misure esterne), e la necessità di raddoppiare la
superficie finestrata (il sole ti arriva, certo, ma dal fondo di una nicchia
profonda 70 cm). Esiste una norma che prescrive finestre per almeno 1/8 della
superficie dei locali e, se non si specifica nulla riguardo allo spessore dei muri,
è solo perché si dà inteso che tutti tendenzialmente cercano di snellire le pareti
appunto per non trovarsi i vani angusti e bui di certe vecchie costruzioni in
muratura "pesante".
In sostanza, mi sembra che la tipologia del "muro di paglia" sia frutto più di
certo sentimentalismo che di una reale pratica. E' una componente romantico-
fiabesca che non mi sembra ti si addica...

Quel che ti propongo è invece un tipo di muro che unisce i vantaggi
della terra colata con la capacità coibente della paglia.
Prendiamo la balla di paglia e tagliamo i cordini. Essendo pressata in senso
longitudinale, la balla si aprirà in falde che infileremo in un graticciato
costruito a salire inchiodando listelli orizzontali ai pilastrini in legno che
reggono il tetto, e che dovremo quindi concordare con gli ingenieri in quanto a
larghezza e frequenza. Poi si cassera fuori e dentro e si cola l'impasto di argilla
e segatura che andrà ad aderire al graticciato. Una volta scasserato il muro, da
fuori puoi fare un intonaco sottile, una glassa da mezzo centimetro di argilla
calce e sabbia in parti uguali, mentre da dentro sarà sufficiente spatolare il
materiale stesso prima che sia completamente asciutto per avere una finitura di
lusso, gradevole e salutare per gli effetti climatici della terra viva, e
decisamente comodo perché non ha bisogno di imbiancatura (per cancellare un segno
sul muro è sufficiente la spugnetta dei piatti, si bagna localmente e si riliscia).



Ancora una cosa. Tu sai cosa intendo per argilla e segatura "colati", cioè lo
sfruttare la capacità colloidale dell'argilla resa liquida che, unita alla segatura
(preferibile quella lunga di abete, e attenta alla produzione della falegnameria
dove la cerchi, per non riempirti la casa di formaldeide colle e laminati!),
costituisce il muro "leggero" ma tenace che a casa mia non ha mostrato cedimenti in
questi suoi primi 10 anni di vita.
In fin dei conti è vero che costruire un cassero sembra più costoso che
l'appiccicare argilla con le mani su balle di paglia, ma la struttura di legno che
deve reggere le balle di fatto è più complicata del tralicciato che qui ti ho
proposto. Altrettanto vale per la finitura che risulta pratica tecnicamente ed
esteticamente valida.

Ciao, Piero


P.S. Ho il massimo rispetto per gli sforzi fatti per realizzare questa casa di
paglia in autocostruzione, ciononostante casa tua cerchiamo di farla diversa!


domenica 3 giugno 2012

Miglio e autonomia


In molti si rendono conto che l'umano ha una forma e che è un vantaggio
assecondarla.
Dalla mia esperienza personale posso testimoniare che un cambio di alimentazione
avvenuto sedici anni fa, sostanzialmente la rinuncia al cibo animale e
l'introduzione di cereali integrali (attualmente a casa mia il cereale è sempre
centrale nella progettazione di un pasto), ha nettamente migliorato la mia
condizione di salute, di efficienza e di umore.
In questo post vorrei illustrare il metodo che abbiamo elaborato per il
trattamento del miglio, cereale che può essere centrale nell'alimentazione, come
lo è tuttora per vaste zone dell'africa e dell'india.
Anche in italia il miglio era il cereale più importante e garantiva l'autonomia di
interi villaggi che per esso non avevano bisogno del mulino e del forno, posti
evidenti dove una fila di sacchi di farina può essere contata e quindi tassata.
Questo avvenne invece quando il miglio fu soppiantato dal grano (farina... pane e
tasse) usato come strumento per la conversione dei pagani dall'instancabile
cristianità medievale che doveva riconquistarsi tutta l'europa, orfana dell'impero
romano. E poi di nuovo si ribadì con l'introduzione del mais quando, dalla
scoperta dell'america, questo giunse assieme  a quell'altra "semplificazione" che
è stata la patata. Il mais è molto più produttivo, anche del grano, ma le sue
caratteristiche organolettiche sono decisamente inferiori: a questo fatto si
aggiunga la sfarinatura, la cottura violenta e l'abitudine a mangiar solo
quello... ed ecco spiegata la diffusa pellagra tra i poveri.
Il miglio contiene lisina, l'unica sostanza in dotazione agli psichiatri della
prima metà del novecento che la usavano per calmare gli stati psicotici. La lisina
ha un effetto rasserenante ed il buon umore dei napoletani non viene certo
dall'acido pomodoro, ma è un residuo dei secoli precedenti quando l'intera zona
era una forte produttrice di questo cereale.
Il miglio rigenera e l'abbiamo usato con risultati eccezionali sui tre cagnetti
che abbiamo raccolto in questi anni, arrivati a casa nostra in condizioni fisiche
pietose: una settimana di polenta di miglio e vedi il pelo lucido! E' adatto
all'alimentazione dei bambini anche appena svezzati, ed è sorprendente vedere
quanto lo gradiscano. Ovviamente indicato per le persone ammalate, per gli anziani
e per quanti hanno problemi di masticazione.
La polenta che qui vi presento lo vede accoppiato con le lenticchie rosse
(decorticate hanno lo stesso tempo di cottura e sono più digeribili), come in uso
attualmente ad esempio tra i tanti egiziani poveri. E' da notare che l'accoppiata
tra cereale e legume, che fa il "piatto unico" di molte tradizioni (riso e azuki
alla giapponese, riso e fagioli neri per l'america centrale, orzo e piselli, farro
e ceci...), assomma e fornisce tutti gli aminoacidi essenziali, cioè pareggia la
pretesa "nobiltà" della carne.
Sulla storia dell'abbandono di questo cereale sarebbe interessante una ricerca, ma
in questo post sarei già lieto di fornire uno strumento utile per gente
interessata all'autonomia e alla salute.

Ricetta:

Il limite del miglio è che se cucinato da solo risulta facilmente stopposo, anche
per questo è utile cominciare a conoscerlo con le lenticchie rosse. Come
indicazione generale il cereale può anche risultare al dente mentre è essenziale
che il legume sia ben cotto, disfatto, per renderlo più digeribile. Il miglio lo
trovate nei negozi bio, le lenticchie rosse decorticate anche in qualche discount
alla metà del prezzo. Risultato: circa 30 centesimi a porzione!











Mettete in pentola miglio e lenticchie in parti eguali, sciacquate e coprite con
altrettanta acqua (2,1 lt per 1 kg di granaglia), salate e mettete a fuoco rapido
(tanto finchè c'è acqua non rischia di attaccare).
Dopo una decina di minuti abbassate la fiamma e cominciate a girare, farà
probabilmente la crosta in fondo come ogni polenta che si rispetti: tranquilli,
viene solo più soda e gustosa, e la pentola lasciatela poi a mollo che la crosta
si staccherà da sola.
Verificate la cottura (dopo una mezz'ora le lenticchie disfatte non dovrebbero più
vedersi) e girate la polenta su di un tagliere di legno.
La prima volta si mangia calda accompagnata da qualcosa di un po' gustoso, quel
che resta ripassatelo poi in padella con aromi tipo aglio e rosmarino.