fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

lunedì 24 febbraio 2014

La cultura Mosuo e il matriarcato


Saranno più di quindici anni che dai recessi della Cina rurale sono spuntati i Mosuo: finalmente una cultura matriarcale!
Le donne gestiscono in prima persona l'organizzazione sociale e famigliare, alla matriarca la responsabilità di ogni decisione importante. Libertà sessuale, nessuna convivenza: di sera l'amante appende il cappello alla porta della donna che l'ha ricevuto ed al mattino se ne riparte, i figli saranno della famiglia della donna ed i suoi genitori ed i fratelli li accudiranno. Nessuna gelosia, le relazioni vengono interrotte senza drammi, almeno all'apparenza:
"I Mosuo non hanno la minima intenzione di far coincidere nella stessa persona affetto, famiglia e casa. La famiglia, per rimanere salda, non deve mai essere fondata sulla coppia, che secondo loro rende il gruppo altamente instabile. Il sistema delle visite, come modalità di vita sessuale, consente ai membri della famiglia consanguinea di restare uniti e li dispensa dal dover coabitare con un estraneo. Questa è una delle ragioni fondamentali per cui la figura paterna è sconosciuta. Quando resta incinta, la donna non può stabilire con assoluta certezza con chi ha concepito e, se anche lo sapesse, potrebbe comunque astenersi dal dirlo al figlio.”



Non è il primo libro sui Mosuo che leggo ma, alla fine di una descrizione più o meno idilliaca di questo diverso assetto sociale, mi resta sempre in testa una domanda: e i finocchi? In una popolazione di 25mila persone, e contando una percentuale fisiologica anche solo del 2%, dovremmo trovarne 500. Come mai di questi nessuno mi ha mai parlato?
Anche in questo libro l’argomento non viene affrontato direttamente. E’ vero, l’autore tenta di indagare la condizione maschile, ma con scarso successo. Il maschio Mosuo non risponde volentieri alle domande sul suo assetto sessuale. Inoltre l’autore si trova di fronte un soggetto con scarso peso sociale, un uomo abituato a ricevere ordini da parte delle donne del gruppo, che passa buona parte del tempo a giocare a carte con gli amici… L’autore arriva al punto di chiedersi se non è il caso di invitare le madri degli intervistati, vista la scarsa propensione di questi uomini a sviluppare delle opinioni personali.
In sintesi, provate ad immaginare l’orizzonte mentale della nostra casalinga anni ’50, dedita esclusivamente alla cura di casa marito e figli: semplicemente questa condizione limitata, nella cultura Mosuo, è toccata all’uomo! Una società delle donne che, strutturata dal potere della matriarca, non viene bilanciata da una società degli uomini. La foto di copertina del libro parla più dello scritto: cinque uomini accovacciati in fila guardano una donna che, nella tipica posizione del capo con le mani dietro la schiena, a sua volta controlla il lavoro di altri uomini.
Evidentemente non basta un po’ di libertà sessuale a cambiare le cose nella sostanza, e questa impostazione sociale probabilmente si spiega più come influenza religiosa che come residuo di antiche storie matriarcali. I Mosuo infatti sono di origini tibetane ed hanno ereditato un buddismo tantrico dalla conquista dei mongoli.
L’esercizio del potere, così come l’espressione di una qualsiasi religione, anche quella buddista che al potere potrebbe sembrare antitetica, è sempre frutto di una delega, espressione di debolezza e non di complessità.

A che serve liberare l’energia di Kundalini… se poi metà della popolazione, in questo caso i maschi, viene allevata in condizioni di programmata minorazione? L’esclusivismo sessuale è il problema del familismo che conosciamo, ma le cose non si risolvono se, all’opposto, viene alzata la bandiera dell’”indifferenza” sessuale. Perché di questo si parla, quando le donne non trovano nulla da eccepire nei loro partner. Sono felici, complessi, umanamente sviluppati? Se lo chiederanno mai le donne Mosuo incontrando i loro amanti?

sabato 15 febbraio 2014

Onfray

Un’amica mi chiede che ne penso di Michel Onfray, filosofo francese nato nel ’59 e propositore di un’emancipazione edonista e anarchica. Nel retro di copertina del suo “Trattato di ateologia” ho trovato questa sintesi che mi sembra corretta.

<< Dio non è affatto morto, o se lo era è ormai nel pieno della sua rinascita, in Occidente come in Oriente. Di qui l'urgenza, secondo Onfray, di un nuovo ateismo argomentato, solido e militante. Un ateismo che non si definisca solo in negativo, ma si proponga come nuovo e positivo atteggiamento nei confronti della vita, della storia e del mondo. L'ateologia (il termine è mutuato da Bataille) deve in primo luogo avanzare una critica massiccia e definitiva ai tre principali monoteismi, poi proporre un deciso rifiuto dell'esistenza del trascendente e promuovere finalmente, dopo millenni di trascuratezza, una cura per "il nostro unico vero bene: la vita terrena", il benessere e l'emancipazione dei corpi e delle menti delle donne e degli uomini. >>

La cura di sé mi sembra il punto di contatto con le nostre riflessioni. Ma di quali corpi e di quali menti parla? Parla dell’individuo singolo e dei suoi desideri, potenzialmente infiniti. Parla di un corpo individualista e di una mente incapace di immaginare una dimensione sociale di reciproca responsabilità dove, qui sì, diventa essenziale la capacità, reale e pratica, di gestire e coltivare il proprio desiderio, la salute e l’autonomia.
Certo anche noi potremmo parlare di edonismo, del piacere di soddisfare i propri bisogni, del piacere conseguente al pieno respiro dell’umana forma e della sua complessità. Ma è conseguenza appunto, non obiettivo della nostra vita, come invece mi sembra essere il programma di Onfray. E l’edonismo individualista è già la proposta precisa, potente ed effimera, della modernità consumista: inseguire i suggerimenti del gusto piuttosto che ragionare un attimo sull’effetto che fa.

Non abbiamo bisogno di altri araldi della modernità, che a questo si riduce in sostanza il filosofo francese: altro che avanguardia dell’alternativa, Onfray può solo aiutarci a dimenticare ogni residuo pudore per il tradimento dell’umana forma!

giovedì 13 febbraio 2014

The China Study 3




Questa ricerca è molto lunga e dettagliata, mostra in maniera molto comprensibile I criteri di “pulizia” logica ed onestà intellettuale che garantiscono la correttezza della formulazione di affermazioni scientifiche. E le affermazioni della scienza in questo caso convergono in una:

“Le prove scientifiche raccolte da ricercatori di tutto il mondo dimostrano che la stessa dieta che è adatta alla prevenzione del cancro lo è altrettanto per la prevenzione delle cardiopatie, nonché per l’obesità, il diabete, la cataratta, la degenerazione maculare, l’Alzheimer, la disfunzione cognitiva, la sclerosi multipla, l’osteoporosi e altre malattie. Inoltre, questa dieta può solo giovare a tutti, indipendentemente dai geni o dalle predisposizioni personali. Tutte queste patologie, e altre ancora, scaturiscono dalla stessa causa: una dieta malsana in gran parte tossica e uno stile di vita caratterizzato da un eccesso di fattori che promuovono la malattia e da una carenza di fattori che promuovono la salute.”

E questi fattori di disequilibrio si riassumono nell’affermazione molto chiara di una spartizione sociologica fra:
“Malattie del benessere: cancro (colon, polmone, seno, leucemia, cervello in età pediatrica, stomaco, fegato), diabete, cardiopatia coronarica.
Malattie della povertà: polmonite, occlusione intestinale, ulcera peptica, malattie gastrointestinali, tubercolosi polmonare, malattie parassitarie, cardiopatie reumatiche, malattie endocrinologiche e del metabolismo (eccetto il diabete), malattie della gravidanza e molte altre.”
Se le malattie della povertà derivano da carenze alimentari ed igienico-sanitarie, quelle del “benessere” sono chiaramente frutto della sovralimentazione ed in specifico della scelta di carne e latte in cui molti identificano la ricchezza. Ma alimentarsi con i prodotti animali comporta l’interferenza di sostanze molto simili alle nostre, come possiamo vedere bene nel caso del diabete.

“Nel caso del diabete di tipo 1, il sistema immunitario aggredisce le cellule del pancreas responsabili della produzione dell’insulina. Questa malattia devastante e incurabile colpisce i bambini e crea così un’esperienza dolorosa e difficile alle giovani famiglie. Tuttavia ciò che quasi nessuno sa è che ci sono prove stringenti che questa malattia sia collegata alla dieta, e più specificatamente, ai derivati del latte. La capacità delle proteine del latte vaccino di causare l’insorgere del diabete di tipo 1 è ben documentata e la possibile iniziazione di questa patologia procede in questo modo:
-          Un neonato non viene allattato al seno abbastanza a lungo e viene nutrito con le proteine del latte vaccino, probabilmente in forma di latte in polvere per neonati;
-          Il latte raggiunge l’intestino tenue, dove viene digerito e scisso negli aminoacidi che lo compongono;
-          In alcuni bambini il latte vaccino non viene digerito completamente e piccole catene di aminoacidi e frammenti delle proteine originarie rimangono nell’intestino;
-          Questi frammenti proteici non completamente digeriti possono essere assorbiti nel sangue;
-          Il sistema immunitario riconosce i frammenti come invasori stranieri e si accinge a distruggerli;
-          Purtroppo alcuni frammenti sono esattamente identici alle cellule del pancreas responsabili della produzione di insulina;
-          Il sistema immunitario perde la sua capacità di distinguere fra i frammenti proteici del latte vaccino e le cellule pancreatiche e li distrugge entrambi, sopprimendo così la capacità del bambino di produrre insulina;

-          Il bambino diventa un diabetico di tipo 1, e tale rimane per il resto della vita.”

sabato 8 febbraio 2014

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L’occidente è così abituato al suo individualismo che fatica a immaginare risposte comportamentali diverse. La “normalità” dell’Africa è invece la dimostrazione di un’altra impostazione.




<< Qui però siamo in Africa, e il felice nouveau riche non può dimenticare l'antica tradizione del clan, la cui norma fondamentale prescrive di dividere tutto quel che si possiede con i propri confratelli, con gli altri membri del clan ossia, come si dice qui, con i propri cugini (in Europa il legame tra cugini è ormai debole e vago, mentre in Africa un cugino in linea di madre conta più di un marito). Per cui se hai due camicie, danne una al cugino; se hai una ciotola di riso, dagliene la metà. Chi infrange questa regola è esposto all'ostracismo, all'espulsione dal clan, alla terrificante condizione di isolato. In Europa, e ancor di più in America, l'individualismo è un bene apprezzato; in Africa è sinonimo di disgrazia e di maledizione. La tradizione africana è collettivista, perché lo stare in un gruppo concorde era l'unico modo di far fronte alle avversità naturali sempre in agguato. E una delle condizioni di sopravvivenza del gruppo è precisamente la condivisione di ogni minimo bene posseduto. Una volta qui in Africa fui circondato da una torma di bambini. Avevo una sola caramella: la posai sul palmo della mano. I bambini guardavano immobili. Finalmente la bimba più grande prese la caramella, la schiacciò con delicatezza tra i denti e ne distribuì equamente un pezzetto per ciascuno. >>


da "Ebano" di Ryszard Kapuscinski.

lunedì 3 febbraio 2014

The China Study 2



Considerazioni sul colesterolo: siamo dentro un tragico esperimento, nascondere la nocività di uno stile di vita con i numeri della media… di una collettività che pratica lo stesso stile di vita!




“Via via che in alcune contee della Cina rurale aumentavano i livelli di colesterolo endogeno (quello prodotto dal fegato) cresceva anche l’incidenza delle malattie occidentali.
La cosa sorprendente era che i livelli cinesi erano molto più bassi da quello che ci aspettavamo. Il livello medio di colesterolo era pari a soli 127 mg/dl, che corrispondono quasi a cento punti in meno della media americana (215 mg/dl).
In effetti nel nostro paese circolava la leggenda che un livello di colesterolo inferiore alla soglia di 150 mg/dl comporterebbe problemi di salute, ma se seguissimo questa logica, circa l’85% dei cinesi delle zone rurali avrebbe seri motivi per preoccuparsi. La verità è ben diversa: livelli più bassi di colesterolo endogeno sono correlati a livelli più bassi di cardiopatie, cancro e altre malattie occidentali e questo vale anche per livelli di molto inferiori a quelli considerati “sani” nel mondo occidentale.
Per fare qualche esempio riferito all’epoca del nostro studio il tasso di mortalità per cardiopatia coronarica era 17 volte più elevato fra gli uomini americani rispetto agli uomini della Cina rurale. Il tasso di mortalità americana per cancro al seno era 5 volte più elevato rispetto a quello delle regioni rurali cinesi.
Nel corso di un periodo di osservazione durato tre anni (1973-1975), su 246.000 uomini di una contea del Guizhou e 181.000 donne di una contea del Sichuan, non un solo individuo di età inferiore a 64 anni aveva perso la vita a causa di una cardiopatia.”

T. Colin Campbell, “The China Study”