fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

domenica 31 marzo 2013

Una storia bella


Sei anni fa ci siamo accordati con una cooperativa che proponeva attività didattiche per le scuole medie. Noi mettevamo il posto e la nostra disponibilità, loro si occupavano della parte burocratica e del trasporto. Un paio di classi, una cinquantina di ragazzini di qualche media del circondario, scuole di paesotti da duemila abitanti, in zona pedemontana a 30 km dalla città.



Inconsistente dal punto di vita economico (in due 14 ore di lavoro intenso per 70 euro, 5 euro l'ora) ma interessante dal punto di vista umano: a vivere in due, isolati e nei boschi, fa una certa impressione trovarsi di colpo ad essere in cinquantadue!
La preoccupazione di una cosa nuova: cascheranno nei vari laghetti, si taglieranno con qualche lamiera, si faranno mordere dai cani... se non si saranno già fatti incornare da Ambrogio!



In fretta e furia mettiamo "in sicurezza" tutto quello che ci sembra possa essere pericoloso e poi... ci rendiamo conto che possiamo solo sperare. Il mio compagno propone la sua ricetta pedagogica: "non dico niente e mi metto a fare cose, non li guardo nemmeno in faccia e vedrai come mi vengono dietro".
Funziona! In un paio di anni sono passate una dozzina di classi per un totale di circa 300 ragazzini che hanno passato una giornata da noi senza farsi male e senza procurarci il minimo fastidio. Poi le scuole hanno finito i soldi, la cooperativa è fallita... e noi non abbiamo più visto nessuno.
Mi restano una serie di ricordi che vorrei condividere con voi.

In una classe c'è una bambina down. Non partecipa con noi alla costruzione in terra cruda che avevamo organizzato ma si mette poco distante, al limite del bosco, e con dei bastoncini comincia a costruire una casetta per Leo, il nostro cagnolino, che ha monopolizzato. Mi accorgo che i ragazzini che ho intorno la controllano costantemente, e con lo sguardo di chi sta seriamente "accudendo" qualcuno.
Chiedo conferma alle maestre: mi dicono che sono sempre stati molto protettivi con questa bambina, e che quello è l'atteggiamento abituale dell'intera classe.

Una volta il pullmann è arrivato e metà dei bambini è scesa, ma l'altra metà è bloccata da un bambino che non scende. Vado a vedere e mi dicono "ha tanta paura dei cani..." Gliela metto sulla virilità, funziona, riesco a farlo scendere e lo accompagno a "presentarsi" ai cani, poi non ci penso più e me lo dimentico.
Poco prima di partire noto un ragazzino accovacciato che tiene sottobraccio Uto a destra e Teo a sinistra. Mi guarda, sorride e dice "non ho più paura dei cani!"

La carretta è più grossa di lei, è piena d'argilla e so bene quanto pesa spingerla in mezzo ad un prato. Eppure ce la fa. Undici anni, esile, il mio compagno mi dice "l'assumerei... lavora come un uomo ed ha un bel sorriso". Chiedo alle maestre, "quella ragazza? Il padre fa il muratore, ha la casa piena di animali, è forte come un toro e sa fare di tutto".
Pochi minuti dopo le scappa un piede nel laghetto, basta un occhiata per accordarci che il piede si asciugherà da solo e che non è il caso di fare squittire le maestre per così poco...

Ha la stessa età degli altri ma li supera di una buona spanna, attraversa il cortile con falcate flessuose, mi sorride con un filo di perle sul viso nero. Me lo trovo davanti nella costruzione della capanna di terra e mi viene in mente "questo è il vero PIL dell'africa da conservare prezioso, la capacità di sorridere in questo corpo stupendo!"

Abbiamo una capra col latte, il mio compagno fa vedere ai bambini come si munge una capra. Dopo poco viene da me "mi sono accorto che uno dei ragazzini di capre ne aveva viste più di noi due messi assieme, gli ho chiesto di dare un'occhiata alle mammelle di Viola (una capra ereditata, arrivata da noi in pessime condizioni) e lui è riuscito a spurgarle". Viola, in effetti, dopo pochi mesi sarà in grado di fare una bellissima capretta e le sue mammelle riusciranno a nutrirla.

Uto, il nostro capobranco, gira per il cortile tutto fiero, ha finalmente raggiunto il suo scopo: avere un branco che merita! Se li è guardati arrivare senza poterci credere, e noi sappiamo che in realtà quello è il suo vero obiettivo: certo, lui è un capobranco ineccepibile per i suoi conspecifici, ma il suo vanto reale sta nell'aggregare tanti umani al suo branco canino. Per questo quando sono arrivati se li è leccati uno per uno, tutti e cinquanta.
Ma a fine giornata il pulmann se li è ricaricati tutti e lui viene da me, sconcertato, mi lecca una mano per sollecitare un mio intervento... e piange!



I bambini a quell'età sono nel periodo di latenza, le classi sono miste ma, lasciati liberi, si dividono nettamente tra maschi e femmine. Si riuniscono sul lavoro, sulla "missione", non c'è tensione tra i due gruppi ma collaborazione e rispetto. Abbiamo visto un materiale umano... ancora umano.
Hanno reagito alla mancanza del controllo degli adulti semplicemente con l'autocontrollo del gruppo dei maschi e del gruppo delle femmine, hanno organizzato la strutturazione sociale basata sul genere con l'obiettivo di passarsi un bella giornata... e ci sono riusciti!
Certo, questi erano ragazzini di campagna, che hanno visto ancora qualcosa oltre alla tv, ma non penso che con ragazzi di città sarebbe molto diverso. Le qualità che abbiamo potuto apprezzare in queste "giornate in campagna" vengono rasate dopo pochi anni, all'ingresso del liceo oppure quando la pubertà li costringerà a fare scelte individualistiche. Il loro talento spontaneo nell'organizzarsi in gruppi di genere potrà forse ancora applicarsi nel gruppo dei pari adolescenziale, che si esaurirà con l'esigenza di trovarsi un lavoro.
Ma siamo una bestia sociale, siamo strutturati per questo. Questi 300 ragazzini ce l'hanno confermato: ci va proprio l'opera attiva della civiltà per riuscire a scardinare un assetto così profondo!

martedì 26 marzo 2013

Bacchette


Come tutti avevo provato a mangiare con le bacchette al ristorante cinese: meno facile
di quello che sembra!



Adesso, che sono diciassette anni che mangio con le bacchette, trovo invece strano
infilare in bocca quella specie di tridente che chiamiamo forchetta. Le posate
d'acciaio mi ricordano gli attrezzi del dentista...
Gli orientali le cose le tagliano prima, ed il cibo viene portato in tavola della
dimensione giusta per essere afferrato con le bacchette.
Le bacchette sono a tutti gli effetti una estensione delle dita, usarle corrisponde ad
afferrare qualcosa tra pollice ed indice. E' sorprendente come il nostro cervello si
accordi, con la pratica, direttamente con lo strumento ed un gesto preciso, come
afferrare un singolo pisello per portarlo in bocca, diventa completamente automatico.
La neurologia fino ad una ventina d'anni fa aveva una certezza: il cervello è quello
che è, e col tempo non può che ridursi poiché i neuroni non si rigenerano.
Oggi, con le nuove tecniche di indagine, sappiamo invece che il cervello è plastico. Ad
esempio il Sig. Einstein aveva in testa una bozza che non era, come si potrebbe
pensare, il pallino della matematica bensì quello del violino che aveva imparato a
suonare in tenera età: l'uso esasperato delle mani aveva "gonfiato" l'area motoria
relativa.
Ogni strumento che usiamo occupa una parte del nostro cervello. L'uso delle bacchette,
così come una scrittura particolarmente impegnativa, hanno dotato gli orientali di una
particolare abilità manuale nei lavori di precisione. Adottando le bacchette tutti
possiamo affinare la precisione delle nostre mani.
Riguardo alle mani degli orientali vorrei raccontarvi di un giorno che sul treno mi
sono seduto vicino ad un giovane cinese. Il ragazzo stava guardando fuori dal
finestrino e la sua mano, appoggiata con noncuranza al sedile, formava un angolo retto!
Novanta gradi tra il dorso della mano e le dita in estensione, io al massimo arrivo a
sessanta gradi ma con sforzo, per lui era una postura normale.
In quella differenza fisica tra le nostre mani c'era il risultato di una diversa
alimentazione protratta per secoli. Evidentemente la nostra combinazione carne/latte ci
ha "arrugginito" nelle articolazioni e ci ha reso tutti un po' artritici.
Per questo penso che dobbiamo avere pazienza per molti dei nostri personali malanni:
cambiando alimentazione possiamo fare in modo che i nostri figli o i nostri nipoti
ripartano da un'umana forma nella sua completezza.

venerdì 22 marzo 2013

Alimentazione e vitalità


Ieri mattina ho fatto un'esperienza interessante, che è valsa però un brutto scherzo al
mio compagno. Sapevo il dato razionale che il "tono" di un cavallo dipende
dall'alimentazione (fieno per un cavallo a riposo, avena in chicchi per un cavallo che
lavora), ma non avevo idea di "quanto" dipendesse.
Bene, dicevo, ieri mattina come sempre mi alzo presto, accendo la stufa, preparo la
colazione e do anche da mangiare alla cavalla: una bracciata di fieno e come al solito
una ciotola di fioccato; poi vedo sul fornello la pentola avanzata dalla nostra cena e
penso che ne abbiamo in abbondanza e allora le aggiungo due belle pugnate di avena e
orzo cotti al dente. Poi non ci penso più...
A fine mattina andiamo a far qualcosa con la cavalla. A due anni e mezzo ha l'età
giusta per cominciare a veder la sella e imparare a farci assieme con l'umano, quella
strana bestia che avrebbe la pretesa di salirgli sulla schiena...
La portiamo in mezzo al campo e il mio compagno si mette a farla girare "alla corda"
come già aveva preso l'abitudine: risultato allucinante, neanche l'accenno di un passo,
solo salti sgroppate e rampate... Non è pericoloso per lui che sta al centro, e se la
cavalla ha qualcosa da sfogare quello è proprio il metodo migliore per farglielo fare,
ma dopo dieci minuti sono tutt'e due ansimanti e coperti di sudore!
Lei non era aggressiva, non era né incazzata né spaventata da qualcosa, era solo troppo
"carica". Stupita anche lei (ad un certo punto è scivolata, s'è trovata a terra ed è
rimasta un attimo ferma con la faccia a dire "ma che sto facendo?"), quel circo era
semplicemente la misura dell'energia che aveva dentro, il passo conseguente al tono
vitale che si trovava in quel momento!
A quel punto ho dovuto mio malgrado confessare, ho dichiarato il menù di colazione... e
allora tornavano i conti a tutti! Adesso, con l'esperienza di prima mano, posso dire di
sapere davvero "quanto" l'alimentazione influenzi il tono vitale di un cavallo.
Allo stesso modo molta gente è "informata" di quel legame tra le cose che mangiamo e
come stiamo, tra quello che facciamo e quello che siamo. Eppure tanti si fermano lì,
non hanno mai fatto l'esperienza diretta, su se stessi, di cosa voglia dire un mese o
anche solo una settimana di alimentazione "pulita".
La scienza ufficiale, così come il ragionamento astratto, non hanno parole per dire
quel plusvalore vitale (non contabilizzabile in tabelle nutrizionali o kcalorie) che
distingue il cereale integrale da quello raffinato, dal riso sbiancato o dalla pasta (o
peggio ancora dal pane, o dallo zucchero, o dall'alcool... che in teoria sono solo
altre versioni degli stessi amidi).
Oltre al dato razionale l'invito non può che essere: provate, il corpo non potrà che
reagire prontamente, e la vostra consapevolezza non dovrà fare altro che prenderne
atto!

lunedì 18 marzo 2013

Sulla sedia


Un aspetto indubbiamente positivo della crisi è la possibilità di rivalutare le cose
che facciamo.
L'altra sera io e il mio compagno constatavamo la varietà di sedie che si erano
raccolte attorno al tavolo in cucina: la sedia pieghevole da 10 euro, la sedia alta e
stretta fine ottocento ma ancora stabile e perfetta, e quella ferro e plastica tipo
scuola anni '60.






La prima è la nostra sedia di casa, scelta in primo luogo perché consente di salirci
coi piedi ed accovacciarsi. La seconda serve ai bambini e ai bassi di statura. La terza
era lì a testimoniare il passaggio di un nostro amico handicappato che solo su quella
sedia rigida riesce a darsi un colpo di reni per tirarsi su da solo.
Tre buoni motivi per mettere in secondo piano la scelta, tutta estetica, delle sedie
tutte uguali.

Ma perché la posizione seduta?
In fondo il mondo si divide tra chi ha mantenuto la posizione accovacciata - indiani,
neri, asiatici... tutto il mondo "povero" - ed il mondo occidentale, che sembra non
poter più fare a meno di un posto dove posare il proprio sedere. Anche i primi hanno
concepito la sedia, ma l'hanno chiamata trono e ne hanno riservato l'ambiguo privilegio
ad uno solo!
Ambiguo perché un'apparente comodità presto si traduce in un indispensabile supporto
per i nostri limiti, che siano di pancia o di artrosi!
La posizione accovacciata invece, per chi se la può ancora permettere, rispetta la
nostra forma e fisiologia: riduce il nostro ingombro, conserva il calore del corpo e
riduce il percorso del sangue (ricordiamo che il cuore è aiutato da una "pompa passiva"
nel tallone), mentre la sedia costringe la colonna vertebrale ad un assetto innaturale.
Per la posizione seduta non restano quindi che motivazioni di un artificiale "decoro",
a cui bambini veniamo sottoposti fin dalla più tenera età: "stai seduto composto" è la
prima regola che impariamo!
In questa casa ci concediamo di salire con i piedi (preferibilmente scalzi o perlomeno
non con gli stivali pieni di fango!) sulla pieghevole da 10 euro, sedia di tutto
rispetto che Munari citava in un suo libro sul design, alternando tutta una serie di
posizioni degne di un pappagallo sul suo trespolo!
In piedi, accovacciati e sdraiati sono posizioni fisiologiche, tutto il resto è
cultura. Fai un esperimento: accovacciati all'aperto e scoprirai che in quella
posizione tu sei vicino alla terra, ma i tuoi occhi guardano il cielo!

giovedì 14 marzo 2013

La destra gioca nei boschi


Dopo una settimana di pioggia, il primo sole vero. Ne approfitto per fare una
passeggiata con i cani, fino al fiumiciattolo sottostante che dista circa un chilometro
e mezzo.
I boscaioli hanno tagliato una grossa zona di riva, risalgo e mi godo il panorama che
prima era impedito dagli alberi.
Sotto di me con gran fracasso compaiono tre quad che si impegnano a giocare con i buchi
pieni d'acqua e fango che i trattori hanno scavato nella strada sterrata (perché dalle
mie parti si fa così: chi ha il trattore più grosso fa i buchi più grossi, passa... e
ovviamente nessuno riempie i buchi). Si fermano sotto la mia postazione imboscata, si
tolgono il casco: 30-40enni con l'espressione di bambini eccitati.
Dopo alcuni minuti altro frastuono dalla parte opposta, ed ecco comparire una colonna
di sette gipponi, anche loro impegnati nello stesso gioco di buttarsi nelle enormi
pozzanghere della strada. Due per auto fa quattordici, più un bambino, più i tre dei
quad fa un totale di 18 persone "a spasso" per i boschi un'allegra domenica di marzo.
Ovviamente i quad decidono di aggregarsi ai gipponi e finalmente, di mezzo alla natura
incontaminata ecco partirsene questa lunga colonna ruggente...




In quell'istante i miei occhi sono attirati da qualcosa che si muove in modo
circospetto dall'altra parte del torrente. Penso subito a dei cinghiali, ma l'assetto
non corrisponde e soprattutto hanno qualcosa in mano: non sono cinghiali ma ragazzotti
in tuta mimetica che la domenica mattina, invece di andare a messa, si precipitano nei
boschi a giocare alla guerra... Di crisi possiamo evidentemente permettercene
ancora un po'!
Se col post sull'arte abbiamo preso in considerazione la retorica e la miseria dei
giocattoli della sinistra, in un quarto d'ora mi si presentano i "giocattoli" della
destra: l'adulto che si eccita col motore o, se non basta, con la guerra!
Ho pietà di quel ragazzino che è lì col telefonino che fotografa suo padre che si butta
nel buco col suo gippone: tra un paio d'anni sarà sessualmente maturo, ma che potrà mai
farsene del suo uccello? perché per lui l'eccitazione sarà questa. Questo è
l'individualismo dei motori, in cui l'impotente si eccita per la "potenza" del suo
mezzo.
Per questo non riesco ad immaginare una "cura" che non passi per una drastica
ridefinizione del maschile e del femminile. Perché se ci eccita l'arte o la guerra non
siamo noi stessi, non siamo adulti, e se non siamo adulti non siamo l'unica cosa che ci
è concessa essere... alla nostra età.


lunedì 11 marzo 2013

Valutazioni in corso...


Cari lettori,

Questo è il post di compleanno del blog "La Civiltà del Fottere".
E' nato il 11 marzo 2012 come conseguenza del mio personale risentimento per aver passato un anno intero a scrivere un libro - "Stato di Grazia", una ricerca critica sulla genesi della modernità - che nessuno ha voluto leggere.
Con il blog ho provato ad applicare i presupposti filosofici del libro ad una serie di argomenti trattati sinteticamente in forma di post, ed ho scoperto che i singoli temi possono anche risultare interessanti. Non mi sarei aspettato che questa bacheca virtuale sarebbe stata visitata, in un anno, più di 11mila volte! Interessante, ma non abbastanza da spingere alcuno ad approfondire la visione d'insieme che ho presentato nel libro. Nessuno degli 11mila visitatori ha acquistato il libro, ed il numero dei commenti sul blog è stato ridicolo.



Le statistiche del blog mi dicono che i post più battuti sono stati quelli che testimoniavano esperienze pratiche, questi hanno trascinato quelli che invece parlavano di maschile e femminile... Certo, in una società individualista è proprio il genere sessuale la "tecnologia" che si cavalca, e nessuno vuole togliersi la sedia da sotto il culo... Ma chiunque si riconosca una qualche piccola residua velleità alternativa, è costretto ad ammettere che sono motivazioni profonde, e tra queste dunque il genere, a determinare il tipo di vita che si è scelto nella pratica.
Su questo IL TABU', cari lettori, ma non si cambia stile di vita senza passare dall'individualismo a qualcosaltro... all'accettazione del piano sociale, del branco, della specie e quindi della sua forma.
Certo, la vita individualista è terribilmente noiosa, ed ho il sospetto di aver lavorato solo per ridurre questa noia. Anch'io ho provato a smanettare sul computer per trovare qualcosa di interessante nel grande mare di internet. Ci ho trovato proprio poco ma non mi abbatto: ho la fortuna di poterla evitare questa vita, triste solitaria e voyeristica, perché ho un branco dove respirare, un branco raffazzonato, tenuto assieme con lo sputo e rinvigorito dalla compagnia di svariate aggregazioni animali, un branco piccolo e misero ma pur sempre un branco.
Per cui potrei anche chiuderlo questo blog, ricordando a chi l'ha visitato che non è il piano virtuale a cambiare le cose ma quello concreto di ciò che siamo capaci a fare... Sarebbe la mia prima reazione, cazzonesca e intransigente sui princìpi... e sicuramente comoda per tutto il lavoro non ripagato che mi eviterei! Questa sarebbe la reazione individualista. Poi ci penso su e arrivo alla conclusione che, per quanto triste sia accorgersi dell'enorme distanza tra le aspettative e la realtà, questa è la realtà da riconoscere e rispettare. Non posso lamentarmi se i frequentatori della società virtuale si rivelano virtuali!
Stupirmi no, ma neppure far finta che ciò sia normale. "Attenti perché la situazione è grave", è necessario che io dica, "non solo tutti inquinano ma chi dichiara di non voler inquinare è il più lontano dalla possibilità di un cambiamento concreto: la condizione postmoderna è una risacca di umanità e la dimensione virtuale è il suo respiro".
Detto questo il blog resta fruibile, come materiale documentale, informazioni e strumenti concreti. Se qualcuno ci troverà qualcosa di buono lo potrà comunque visitare e portarsi a casa il pezzo che più gli interessa, e se qualcuno vorrà tenerlo "vivo" potrà sempre postare dei commenti.
Di esperienze interessanti da raccogliere nel blog ce ne saranno ancora e non sono certo gli argomenti a mancare perché, se non ve ne siete ancora accorti, è il modo di coglierli e trattarli che fa la differenza! Non mi chiedete però la periodicità e la frequenza cui vi ho abituati: non mi sembra dignitoso comunicare con migliaia di persone e non arrivare a conoscerne mezza.
Rinuncio a quella pretesa (è inutile insistere, se la bestia selvatica fa un passo indietro potrò solo ottenere di farla scappare), ma non allo strumento che continuerà a servire comunque ad un gruppo di persone per "appuntare" le sue esperienze di autonomia e di ricerca critica.


finora in questo blog:

- si è tentata un'analisi storico/politica che partisse da presupposti di COMPLICITA'
- si è iniziato un discorso sull'AUTONOMIA raccogliendo esperienze concrete in corso
- si è lavorato nel verso di svelare l'importana della questione di GENERE: di come   interpretiamo il    maschile ed il femminile, nel fondare un certo stile di vita
- si è ragionato su di un parametro di FORMA, intesa come riferimento sia su di un   piano di conoscenza  che di esperienza di sé


per contattarmi
giovannijalla@yahoo.it


Auguri di una vita serena a tutti
g.j.


domenica 10 marzo 2013

Una sera al bar


Ieri sera sono uscito, sono andato al bar della Società Operaia locale. C'era un
concerto, uno che cantava De André, non c'era un giovane per tutto il locale!
Sono morti gli ideali? Di più! Improvvisamente mi è sembrato che non fosse più di
moda... che non potesse essere più di moda per nessuno ormai, essere lì, essere di
sinistra.



Berlusconi ha affondato la destra, e forse Grillo ha fatto lo stesso con la sinistra...
Siamo ormai oltre la politica: il discrimine tra individualismo e socialismo è stato
definitivamente superato dall'autismo postmoderno!
Dal '45 in poi è stata una crescita economica continua e, finché il raccolto aumentava,
il dibattito non poteva che concernere la spartizione. Questa invece che vediamo oggi è
"crisi", ormai si è reso evidente, e non solo crisi economica ma crisi paradigmatica del
concetto di progresso.
Si ha da cambiare operazione nel fare i conti: al "diviso" della spartizione, dobbiamo
sostituire ed abituarci ad usare il tasto "meno" della sottrazione. Le istanze
corporative e sindacali incentrate sulle regole della spartizione hanno perso
improvvisamente il loro senso (come posso spiegare cos'è il meccanismo del sindacato ad
un amico rumeno che si ritiene fortunato quando viene assunto per una settimana
intera?)
Questa condizione, la dimensione mentale della crescita e del progresso, ha impedito
per sessant'anni agli italiani una consapevolezza ambientale e salutista. Buona parte
delle esperienze umane di questi anni non sono uscite da queste parentesi: se sono
ricco difendo le mie prerogative, se sono povero cercherò di accedere ai beni dei
ricchi (e in questo per molti si è risolto il senso della politica!)
Non c'è mai stata una valutazione sulla "bontà" di questi beni, sull'impatto ambientale
e sulla loro reale utilità. Di fatto, per tutti questi anni, siamo vissuti nella
perfetta coincidenza tra "bene" e mercato: se abbiamo le vigne il vino fa bene, se
abbiamo gli olivi fa bene l'olio e se abbiamo la stalla fa bene la carne; a dire che il
lavoro non si tocca, che sia l'Ilva di Taranto o Marghera o Seveso... lo spettacolo deve
continuare, tutti i nostri figli devono studiare e poi fare il master all'estero...
Non è la crisi contingente a farci vedere la reale miseria, la miseria sono tutti gli anni che
abbiamo buttato nell'overdose consumista, nell'abbandono del territorio e
dell'agricoltura, nei miti del turismo o dell'arte... in tutti i condimenti
dell'individualismo! Quella era la reale miseria, culturale ed umana, che abbiamo
chiamato "progresso".
Ma basta lamentarsi, questa sera arriva Alice, 30 anni, la prima wwoofer della
stagione. Non abbiamo la più pallida idea di com'è come persona, ci ha semplicemente
chiesto di poter venire a dare una mano in cambio di imparare a farsi l'orto. Possiamo
immaginare che, vista l'età, Alice i musei li abbia già visitati, che abbia visto i
film che si dovevano vedere e letto i libri che si dovevano leggere, e possiamo anche
immaginare che troverà più interessante seminare coste e piselli, imparare da che parte
si prendono i 4 qt.li della cavalla Penelope o come si fa finta di niente quando le
capre ti hanno fottuto per l'ennesima volta...
Se questa è la crisi, ben venga!


mercoledì 6 marzo 2013

Grillo


Passate le elezioni proviamo a fare due valutazioni.
La destra ribadisce per l'ennesima volta il suo atteggiamento rancoroso: Berlusconi è
ancora lì, contro ogni tipo di interesse, nazionale internazionale o privato, legale o
illegale, ad onta di una qualsiasi concezione giuridica dello stato, e nonostante una
gran parte dei suoi elettori sia già all'ospizio! Non possiamo che definirla così
quest'insoddisfazione: il rancore di chi si sente dalla parte del dovere e della
tradizione, di chi ritiene di aver lavorato mentre tanti se la godevano, e chissà,
forse ancora di chi non ha digerito il risultato del referendum monarchia-repubblica ed
avanza il dubbio che sia stato falsificato. Forse è proprio che la tradizione si
conserva e si trasmette come il rancore, di padre in figlio.
E la sinistra sta, sbigottita dalla prospettiva di un futuro senza giocattoli. La crisi
costringe alla realtà, e a che servono allora i grandi ideali per amministrare una
grigia modernità senza aspettative? E se si tratta solo di gestire soldi e potere,
allora non c'è più alcuna differenza sostanziale, nel malgoverno destra e sinistra si
equivalgono.
Un sistema esaurito, parrebbe, una fottitura che ha finito di spremere la spugna, tanto
da lasciar nascere, dal nulla, il fenomeno nuovo dei grillini. Il movimento 5 stelle
raccoglie il testimone, ora dovrà farci vedere cosa sa fare.


Dire che è cresciuto su di una propaganda populista è dir poco, ma attenti, non è un
giudizio di valore: magari è stata una strategia opportuna, magari lo stato della
popolazione è talmente malandato da richiedere necessariamente quel tipo di grammatica
(Berlusconi se l'è inventato quel populismo, l'ha cresciuto con le sue televisioni...
e fessa la sinistra che non l'ha voluto ammettere!).
La denuncia del marcio è dunque valsa una tornata elettorale. Ora però si tratta di
inventarsi una pratica di governo in positivo, e qui vedo il difficile. E difficile non
per le forze e gli interessi e i poteri già costituiti che i nuovi amministratori si
troveranno a fronteggiare, ma per il rischio di non aver nulla da opporre ad un
principio forte e diffusamente praticato come quello del "fottere".
Potremmo cercare degli antecedenti alla proposta di Grillo in fenomeni, per esempio,
come Pannella e i radicali, che hanno rappresentato l'opzione di una sorta di
"protestantizzazione" della vita politica italiana (libertà civili per l'individuo e
riduzione ed efficienza per le istituzioni). C'era poi stato Di Pietro ed una
tangentopoli giudiziaria a tentare di ripulire il sistema... ma allora non c'era questa
crisi economica in atto, e forse  questo è l'elemento sostanziale.
Se "crisi" vuol dire che non c'è più un bottino da spartire, allora le ragioni del
fottere vengono meno, il lustro del potere si spegne e la gestione del sistema torna ad
essere considerata un'impegno, oneroso e decisamente complesso. Questo momento critico
è un'opportunità. Si tratta di "cavalcare la crisi" e correre ad inventarci
un'alternativa di vita onesta, ecologica ed economica, prima che ci venga imposto dagli
eventi.
Si tratta di ripensare alla funzione dell'impegno politico. E se, in alternativa alla
pratica del fottere, non possiamo che condividere una visione del "potere come gestione
della debolezza", allora il nuovo amministratore non potrà limitarsi a ripulire il
sistema, ma dovrà anche sapere in che direzione manovrare la barca. Perché se
l'istituzione, pur liberata dalla corruzione, continua a lavorare a proprio vantaggio,
come è abituata da sempre, per autoconservarsi creando il bisogno invece che puntare a
ridurlo (la scuola che crea ignoranza, gli ospedali malattie, la polizia insicurezza
etc.), allora siamo daccapo alla vecchia concezione del potere dove il fottere è
scontato!
Proporre un'alternativa significa identificare il verso di un cambiamento culturale
complessivo che persegua coerentemente la decrescita economica, un'imprenditorialità
sostenibile, e l'autonomia di una popolazione dove ciascuno venga reinvestito delle sue
responsabilità: all'individuo il compito di coltivare la propria salute e le proprie
capacità, alle comunità locali il controllo e la tutela del territorio, ad una cultura
ambientale e realistica condivisa l'indirizzo delle scelte produttive fondamentali.
Si può decidere, ad esempio, di agevolare l'autoproduzione agricola e tassare
l'allevamento industriale (il gettito fiscale servirà semplicemente a pagare i costi
sanitari di un'alimentazione carnivora), ma gli allevatori non saranno contenti. Si può
decidere di incentivare il ritorno alla terra delle nuove generazioni "semplicemente"
azzerando i costi notarili dei passaggi di proprietà, solo i notai ne avranno a male!
Sono tutte riforme possibili e ragionevoli, ma ciascuna vale l'inimicarsi di qualche
categoria, casta o interesse costituito. Ma i grillini possono farlo, visto che sono
stati eletti proprio per quello, per smantellare ogni sorta di monopolio e consorteria.
E' caduto il Vaticano, potremo anche permetterci di tirar via "le cose morte" come gli
ordini professionali e le licenze commerciali, via i privilegi dei notai, dei tassisti
e degli statali, basta col parassitismo e l'assistenzialismo, via i sindacati e la
cassa integrazione...
Ma questo significa far scontenti proprio tutti, significa che anche i grillini ed i
loro elettori, prima o poi, verranno toccati nelle tasche dalle loro stesse riforme. Ne
sono consapevoli?
Spero proprio di sì perché, dopo una prima entusiastica risposta populista, l'appoggio
può continuare solo da parte di un elettorato davvero motivato dall'interesse generale
della collettività, solo dunque da parte di chi abbia già rinunciato alla prospettiva
del privilegio.
Ma chi c'è oggi in Italia che possa dirsi fuori da questi giochi? Se assumiamo il dato
"fisiologico" che ogni adulto debba essere in grado di procurarsi da mangiare, allora
quel 97% di italiani non occupati in agricoltura sta già a dimostrare un privilegio, il
privilegio di mettersi fuori dal settore della produzione primaria, il privilegio del
proprio pezzo di carta. Li abbiamo fatti studiare... ed ora dobbiamo dargli un impiego,
anche se non serve, anche se finisce per diventare una croce per la vita di tutti i
giorni (chiunque ultimamente abbia fatto qualche lavoro in casa si è accorto che è
diventato un delirio in quanto a certificazioni e professionisti coinvolti).
Il rischio di questo populismo è solo quello di una nuova dittatura, una "dittatura
soft" come potrebbe esserlo quella del ceto medio: tutti che certificano tutti, tutti
che devono far valere il proprio titolo di studio... Peccato, avevamo appena cominciato
a renderci conto che l'ecologia significa rompere la sacralità e l'indiscutibilità del
prodotto di consumo e del lavoro per produrlo, quando ora ci accorgiamo che dobbiamo
dire lo stesso per la concezione della scuola e della cultura, e per l'idea di
privilegio che ne deriva!
Se il movimento 5 stelle non sarà capace di inscrivere i propri sforzi nel quadro di un
cambiamento complessivo, alla ricerca di un altro modello di vita che possa rispondere
alle richieste di giustizia ed ecologia che oggi cominciano a porsi in maniera
inderogabile, allora non potrà che limitarsi ad un "riformismo nordico", perché quello
è di fatto il modello.
Certo, ci siamo arresi all'efficienza delle rotonde stradali solo quando ci siamo
accorti che in Francia, in Svizzera e in Germania già le usavano da un pezzo, e così si
sono prodotti senza clamore tanti altri piccoli cambiamenti nella vita quotidiana.
Grillo d'altronde ripete spesso che non c'è da essere originali e basta guardare come
fanno "dove le cose funzionano".
Ma un modello  di riferimento c'è, ed è l'efficienza e la pragmaticità dei paesi
dell'europa settentrionale e di una cultura che non è il cattolicesimo che conosciamo.
Gli italiani potrebbero cominciare ad accorgersi che "l'europa è protestante", e che il
fatto di non sbandierarlo è proprio un tratto protestante!
Dovremmo però ammettere anche che il buongoverno che questi paesi dimostrano al loro
interno non corrisponde ad una giustizia internazionale (fanno parte dell'occidente
sfruttatore del terzo mondo anche i paesi scandinavi!), e che l'individualismo "spinto"
di quelle latitudini corrisponde ad un tasso di alcolismo che ha delle cifre assurde...
In sostanza, penso che potrò credere alla rivoluzione dell'"antipolitica" solo quando
sarà una rivoluzione nei numeri, solo quando vedrò che gli occupati in agricoltura
torneranno ad essere una quota ragionevole ed onorevole della popolazione italiana.

martedì 5 marzo 2013

L'arte fa bene?

Non mi capita spesso, non più di due o tre volte l'anno, di uscire dai boschi e andare 
in città per qualcosa di culturale, ma ieri sera l'invito a partecipare alla claque del 
concerto di un amico (unito al fatto che mi passavano a prendere) ha fatto sì che 
raggiungessi il castello di Rivoli con la prospettiva, oltre al concerto, del 
vernissage e di una visita gratuita alla galleria d'arte moderna.



Col vernissage chiudiamo in fretta, non so bene con quale criterio popolar-slowfood un 
intero maiale era stato macellato e spalmato nelle più svariate forme sul bancone del 
bar: nulla di commestibile! Stendiamo un velo pietoso anche sul concerto. Il rock 
nostalgico, riflesso dalla parete da 30cm di cemento armato della novella ed acclamata 
ristrutturazione del castello (già discretamente brutto in origine), era tante cose... 
ma nulla a che vedere con la musica.
Restava la galleria: tre piani di scale, enormi stanzoni riscaldati, ed una sequenza di 
installazioni.










Malcontati siamo in mille e io devo ammettere di non essere il visitatore giusto. Ma
non per il tipo di opere, non mi faceva una grossa differenza fosse stata una mostra
fotografica o un'esposizione di quadri di Dégas, è che non riesco proprio a capire
cos'è che devo prendere, e mi resta sempre il dubbio che sia un limite mio e che gli
altri 999 stiano invece godendo come dei mandrilli.
Al che li guardo, più interessato a loro che ai reconditi significati delle opere.
Sorprendentemente, in questo luogo d'arte e creatività, ci trovo una stupenda
omologazione: cinquantenni con barba e pizzo, signorine trentenni vestite di nero!
Tutti con quell'odore di chiesa e di contrito rispetto, non una battuta un lazzo o una
risata: la presenza del Sacro!
Non so voi ma a me questo "sacro" stimola un compenso di materialità tanto che, di
fronte ad una vasca per terra con dentro un po' d'acqua, dopo un primo pensiero che due
tartarughine verdi ci sguazzerebbero bene, la mano scivola attratta da un materiale,
sarà piombo? Sì, e di fatti quello si deforma, mellifluo... Oh cazzo, con la mia
impronta l'opera d'arte non è più quella di prima!
Capisco che l'urgenza di una comunicazione possa prodursi in forma d'arte... non
capisco cosa dovrebbe darmi la "fruizione" artistica: 'che mi fa bene se passo un'ora
al giorno a guardare questo circolo di scarpe!?
Io non nego che dietro un'opera d'arte ci sia un impegno (fosse anche solo per mettere
assieme un mucchio di stracci). Qualcuno avrà dovuto esasperare qualche circuito
neuronale per arrivare a quest'opera: ricerche specialistiche, ma fruibili
semplicemente sul web, indicano che una cosa innocente come la visita ad un museo è già
di per sé una piccola fonte di eccitazione. E forse la ridondanza dell'opera d'arte
religiosa ha proprio questa spiegazione: in un'epoca dove non esisteva la televisione,
e pure le immagini erano rare (non c'erano riviste, foto e cartoline illustrate), la
noia mortale di una messa veniva mitigata dal fulgore vitalista dell'immagine (e noi
calvinisti ne eravamo perfettamente coscienti: in una chiesa valdese il massimo della
distrazione è il tubo della stufa!).
Questo è l'effetto dell'opera di un artista, che lo è diventato esasperando il suo
individualismo, su degli spettatori che cercano nell'arte la vitalità che gli manca.
Ma questa fisiologia non quadra con la facile spiegazione dell'arte contro la guerra
(Guernica in testa). Vi ricordo che Napoleone, che pacifico non era, non riusciva a
trattenersi dal rapinare tutta l'arte che incontrava, e che ad Hitler arrivavano ancora
treni pieni di quadri quando ormai era chiuso nel suo bunker...
Il settore interessato è quello dell'individualismo, dell'esasperazione degli organi.
Forse l'insegnante di educazione artistica non ve ne ha parlato ma se leggete la
biografia di qualche impressionista (provate ad esempio con la vita di Renoir) vi
renderete conto da quanto alcool era innaffiata l'opera dell'impressionismo. Qualche
esperienza l'ho fatta anch'io (tranquilli, non da pittore, ma da semplice alcolista) e
vi posso assicurare che certe gradazioni alcoliche sono parecchio "impressioniste"!
Un amico, dalla buona cultura, un giorno mi ha fatto vedere un catalogo di
espressionisti. Al fondo c'erano i ritratti degli autori, e lui mi ha chiesto "cosa
trovi di comune in tutte queste facce?" Era evidente, avevano tutti dei menti molto
pronunciati. E allora? gli chiedo, che attinenza ci può essere con la produzione
artistica? Alcuna finché non accostiamo dei dati scientifici curiosi del tipo che "il
mento cresce" ai salmoni quando vanno in calore, così come ai ciclisti quando
esagerano con gli steroidi. Conclusione? Possiamo dedurre che questo gruppo di pittori
si fosse radunato sulla condivisione di una "esasperata cazzoneria". Mi diceva, "guarda
i loro colori, sempre violenti e con la predominanza del rosso, guarda la loro
ricercata mancanza di armonia, è la dialettica marte-venere: tutto ciò che è dinamico
penetrante veloce violento, dialettico a ciò che è morbido e armonioso".
Quindi basta con le fiabe, l'arte una funzione ce l'ha... ma è quella di una
stimolazione nervosa, sia in chi la produce che in chi ne fruisce.
In tempi ancestrali possiamo immaginare che dei bravi padri di famiglia, in logica
apprensione per i loro figli di fronte alla pericolosa esperienza di una prima caccia
grossa, e ben consapevoli del meccanismo fisiologico dell'empatia, preferissero
avvicinare per gradi la prole all'impatto psichico del confronto con bestie pesanti
qualche quintale!


In questo periodo sto vivendo qualcosa di simile con una cavallina, pur simpatica e
dolce, ma tutta da domare! Vorrei averla io una caverna come Léscaux, che mi abituasse
ad averci a che fare con quei tre o quattro quintali che, vi assicuro, possono
diventare all'improvviso molto "disordinati".
In tempi ancestrali questo poteva essere il senso neurologico della manifestazione
artistica: addestramento all'empatia con l'altro (la bestia grossa) e col proprio corpo
(la reazione viscerale che comporta); e non la guerra, perché allora la guerra la
facevi per mangiare, col bisonte e non contro l'altro.
E' oggi che l'arte è guerra. Nel tempo della civiltà l'arte si configura come esercizio
ed esasperazione guerresca, ed è così perché qui stiamo all'interno di una dimensione
individualistica: uno che alza il tiro... e molti che vogliono farselo alzare!

Quindi l'arte non fa bene, di per sé. "Fà", questo sì, come qualsiasi droga. Dobbiamo
solo scegliere se ci interessa coltivare l'estetica ed in quale verso, che posto
riconoscerle in un nuovo stile di vita.
Una proposta: facciamoci belli... stando in salute!