fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

giovedì 30 maggio 2013

Le origini del nazismo 1

Nazismo, olocausto, su questi temi le persone ragionevoli hanno lo stesso impulso: mi fa
schifo leggere queste cose ma l'informarsi finisce per essere l'unica forma di rispetto
ancora possibile verso le infinite vittime.
A scuola abbiamo tutti letto il "Diario" di Anna Frank, ed è difficile non aver letto
"Se questo è un uomo" di Primo Levi.
"Le Benevole" ha un precedente in quel bistrattato scrittore, George Simenon, che con
"La neve era sporca" confessa e fa romanzo di una sua adolescenziale infatuazione per
l'estetica nazista. Littell rifà l'esperimento di Simenon, si immedesima in un nazista:
due scrittori e ricercatori intelligenti che evitano la facile retorica del Male ed
accettano l'umanità per quello che è, anche quella del carnefice!



Il metodo di Simenon era quello di coinvolgersi empaticamente col suo personaggio... ed
isolarsi completamente, per 11 giorni: il tempo di scrivere un romanzo di getto ed in
"prima persona".
Anche Littell ha fatto una cosa del genere, girando per anni con un'organizzazione
umanitaria in Bosnia, Cecenia, Afganistan... tutti gli altri piccoli "nazismi"
contemporanei.
Il suo romanzo ha ricevuto premi e successo, ma su internet si trovano anche recensioni
che si focalizzano sul valore letterario dell'opera, criticata per il suo impianto
"ottocentesco". Non sono un critico letterario e ho letto il libro solo per il banale
impulso di "capire", ma vi assicuro che alla fine del romanzo di cose ne avevo capite
anche troppe. L'autore ha evidentemente letto molti diari di ufficiali delle SS per
riuscire ad andare così a fondo nei dettagli intimi dell'organizzazione del nazismo.
Certo, l'avevo capito anche da solo che il nazismo non poteva essere frutto delle
capacità demoniache di un capo, che un fenomeno del genere non può sorgere senza una
complicità collettiva. Ma la visione d'insieme che l'autore sa offrirci seguendo la
carriera di un ufficiale delle SS nei vari frangenti storici - Polonia, Ucraina,
Stalingrado, i campi di concentramento, la Berlino della sconfitta - supera ampiamente
l'orrore che mi ero immaginato.
Littell ha scritto nel 2002 un saggio, "Il secco e l'umido", in cui prende in esame un
libro di un nazista belga e ne analizza il linguaggio secondo le teorie del sociologo
tedesco Theweleit. In questa analisi Littell evidenzia come l'attestarsi mentale del
nazismo avvenga su di una sola parte della dialettica secco-umido: il "secco" ariano e
nazista che si contrappone all'"umido" del caos, della donna, della massa. Nel far
questo il nazista-tipo sviluppa una sorta di "corazza corporea" a difesa da ogni
possibile contaminazione. In sostanza, non molto di più delle teorie reichiane.
Penso sia doveroso, per quanto ripugnante, essere informati su questo argomento e vi
assicuro che, dopo questo libro, avrete la netta impressione di sapere tutto quello che
c'è da sapere. Altra cosa è capire...
La spiegazione sessuale non mi convince: quale che sia la sessualità in campo, questa
prevede sempre un "altro" di fronte a sè. E forse il nazismo si è dimostrato letale più
per l'indifferenza di tutti che per il sadismo di pochi. Moltissimi, la generalità dei
tedeschi si è mostrata "indifferente" per il destino di tutti quelli che in qualche
verso potevano ritenersi inutili: ricordiamoci che la strage è cominciata con disabili e
handicappati, e grazie alla parte attiva di educatori, medici e infermieri!
Del nazismo mi sembra vada indagata l'eccezionale insensibilità del popolo tedesco.
Un'indifferenza sessuale, piuttosto che un interesse. Un indifferenza che mi parla di
immaturità più che di spinta perversione. Un'immaturità che non può che ricordarmi
l'infanzia.
E di infanzia si parla anche in questo libro, dove è impressionante la descrizione delle
bande di bambini, figli di nazisti, che nella germania ormai occupata continuavano
sanguinari la guerra persa dai padri.
Forse è proprio l'infantilismo la premessa indispensabile di questi fenomeni. Forse non
è poi così difficile regredire e, forse, lo si riesce a fare meglio tutti assieme.
Mi rendo conto che l'infanzia è considerata santa, ma chiedetelo alle formiche cosa
pensano dei bambini che le torturano. Oppure chiedetelo ai cani di casa mia, tutti
temono i bambini, e ciascuno ha adottato la sua strategia, aggressiva o passiva, ma
tutti sono per lo meno apprensivi.
Il bambino, proprio perché non ha ancora accesa la sessualità, può essere crudele. E
oltretutto può dimenticarlo subito! Vi faccio notare per esempio come gli americani
reduci del vietnam avessero sviluppato quasi tutti pesanti nevrosi: a dimostrare che
l'uomo, in realtà, "non è fatto per uccidere".
Mentre nel nostro caso, i tedeschi che hanno commesso le atrocità descritte in questo
libro, sono evidentemente riusciti a rimuoverle e a riprendere un "normale" stile di
vita.
Questa è solo un'idea, ma sto leggendo di Mosse "Le origini culturali del terzo reich",
scritto nel 1964 ma rieditato da poco, e mi sembra che possa completare il quadro.
Ve ne parlerò prossimamente.

mercoledì 22 maggio 2013

La tartina di Maria


Dopo un lungo letargo torna a vivere la canapa.
Chi ha la fortuna di trovarla commercializzata (noi l'abbiamo trovata a 9 e/kg) può
permettersi di introdurre nella sua dieta questa ricca farina di semi: 30% di proteine,
8% di grassi tra cui i famosi Omega3, Omega6 e GLA.
Qui l'abbiamo usata cruda, cosa che mi sembra opportuna per un uso da condimento o da
integratore.




Ad una porzione di ceci cotti aggiungete altrettanta farina di canapa, un cucchiaino di
lievito di birra in scaglie, sale ed un goccio d'acqua per regolarne la densità.
Frullate il tutto e spalmate su crostini di segale.

giovedì 16 maggio 2013

Intonaco di terra


In questo post documentiamo l'inserimento di terra cruda nella ristrutturazione di un alloggio di 90 mq.
Non sempre è possibile realizzare una casa in terra cruda. Non esiste invece alcun impedimento, né normativo né pratico, nel realizzare tramezzi interni non portanti o intonaci. Ma perché farlo?
Il proprietario, un nostro amico che abbiamo ospitato durante i lavori, ha avuto l'opportunità di vivere sei mesi in una casa di terra e di poterne apprezzare gli effetti "sottili", niente di mistico per carità ma solo un certo bilanciamento tra: condizione di umidità, possibilità di traspirazione delle pareti esterne, effetto cromatico che ci ricorda l'estate anche con la neve fuori, la mancanza di un odore. Tra l'altro il nostro amico era da tempo afflitto da una fastidiosa dermatite alla schiena che trovava sollievo solo con delle applicazioni di argilla (la pastella di argilla, spalmata manualmente per uno strato di uno-due millimetri, asciuga in pochi minuti e poi altrettanto facilmente si sbriciola e si spolvera via). La casa in cui ha abitato è stata realizzata con 5 mc di argilla impastata con 5 mc di trucioli, ma riteniamo che già l'inserimento di 2 mc di argilla possa avere effetti più che tangibili sul microclima di qualunque alloggio.
Nel caso della sua ristrutturazione abbiamo individuato tre pareti che si prestavano all'intervento: due di queste erano pareti residuali della ristrutturazione e molto storte che ci avrebbero creato problemi  per raddrizzarle con tavelle e intonaco, la terza era una nuova parete da realizzare tra due camere da letto.
Le pareti vecchie vengono trattate con l'inserimento di un tralicciato in legno (qualunque scarto può servire) tassellato al muro a cui viene applicata, lanciandola, una palla di argilla e paglia che andrà a legarsi al traliccio.






Il metodo migliore è tenersi una montagnola di argilla di fianco al muro, bagnarne un angolo e poi inzupparci la paglia dopo averla sfibrata stropicciandola con le mani. Lanciato il grosso del materiale sul muro, con la cazzuola americana si comprime il tutto contro il traliccio e si riempono i vuoti con pugnate di argilla.
Dopo una grossolana lisciatura si lascia rassodare qualche giorno e poi si applica uno strato di intonaco.





L'intonaco è stato realizzato in betoniera con argilla setacciata onde evitare sassolini che non sarebbero di alcun disturbo per il muro ma rendono complicata la finitura dell'intonaco. L'argilla può essere setacciata da asciutta in polvere oppure prima la si rende liquida e poi si setaccia. Bisogna poi arrivare ad una certa consistenza che si può ottenere aggiungendo una fibra sottile che migliora la tenuta superficiale e riduce le fessurazioni. Noi abbiamo usato cellulosa e letame di cavallo, per circa il 10+10% dell'impasto.
Steso l'impasto (ci si può aiutare con una barra di legno o di alluminio e la bolla d'aria per controllare il piano) lo si comprime tenendo la cazzuola americana inclinata di 30° e facendo lavorare il bordo. Per ottenere un buon risultato bisogna metterci parecchia forza, che si scaricherà tutta sui pochi cm del filo della cazzuola: questa pressione, più la presenza di fibra nell'impasto, garantisce la realizzazione di uno strato di intonaco di una compattezza paragonabile ad un intonaco a calce.
Anche l'effetto finale può non essere diverso dall'intonaco normale, tanto che potreste avere la sorpresa che la zia (quella bigotta di cui temete il giudizio fin da quando eravate bambini!) non si accorga neanche di essere di fronte ad un muro "di fango" e lo prenda per una tinteggiatura...








Per una valutazione di costi e tempi, i costi sono ridicoli, se siete andati a vivere in un posto dove l'argilla l'avete sotto i piedi. Altra cosa sono i tempi: caricare una carretta di terra e trasportarla sul posto sembra poca cosa finché non facciamo due conti: qui ad esempio ne abbiamo utilizzati 2 mc e abbiamo quindi mosso tre tonnellate di materiale! Non è un caso se i rumeni, che della fatica fisica non hanno certo paura, quando devono costruire case in terra lo fanno come lavoro collettivo... da concludere sempre con una grande festa!

lunedì 13 maggio 2013

Allattamento al seno

Dall'inchiesta riportata da .http://salute24.ilsole24ore.com/articles/15510-allattare-al-seno-in-poche-ce-la-fanno-fino-a-6-mesi emerge il dato allarmante che in Italia la maggior parte delle donne non allatta più la prole.Al dettaglio la ricerca registra che di quel 90% che all'ospedale inizia ad allattare (almeno la garanzia immunitaria del colostro viene riconosciuta e rispettata), alle dimissioni solo il 30% continua e, alla fine, tra le mura domestiche, solo il 5% dei bambini risulta effettivamente allattato al seno.
Solo un bambino su venti non è dunque sottoposto ad una violenza fisiologica, gli altri 19, si! E non c'è neanche il pudore di fine ottocento: non lo allatto io che sono borghese e non voglio "rovinarmi" le tette, ma almeno gli trovo una balia. Oggi, quella balia è la stessa per tutti e si chiama Signora Nestlé.
La tecnologia sociale dell'individualismo si incarna nella fisiologia: alla valenza lattea della ghiandola mammaria si sostituisce la tetta seduttiva.




Non spetta a me trovare la soluzione a questo crimine contro l'umanità. In quanto 
maschio potrei immaginare di chiederne conto alla "società delle donne", se ci fosse. 
Nel consesso invece di un'ipotetica "società degli uomini" vorrei solo ricordare che 
quella suadente tetta... è stata tolta di bocca ad un bambino!


sabato 11 maggio 2013

La zuppa di miso

Il miso è una delle tante possibili trasformazioni della soia gialla, il legume con cui gli orientali, analogamente alla nostra vacca e all'industria casearia, preparano tutta una serie di prodotti tra cui il tofu (cagliato come il formaggio), il temphè (un panetto di fagioli cotti e fermentati) e lo shoyu (la salsa di soia).
Il miso è una pasta di fagioli di soia cotti, salati e concentrati: la parte solida della salsa di soia. Difatti si presenta come una pasta densa, il dado vegetale naturale senza glutammato e additivi, il condimento originario, potremmo dire!



E come condimento si può usare, ma sopratutto è interessante il suo uso come “zuppa ricostituente”, perché il miso non pastorizzato è una ricca fonte di flora batterica intestinale e fornisce una buona“copertura” di tante piccole sostanze che arricchiscono di complessità la nostra dieta.
In questo senso il miso non pastorizzato va usato con un'accortezza, non va mai bollito. La tradizionale “zuppa di miso” è una mezza tazza di un semplice brodo con un po' di cipolla, carota, una foglia verde ed un pezzo di alga Kombu, in cui si discioglie un cucchiaino di pasta di miso. Assunta bella calda ed in concentrazione che risulti un po' salata, è un eccellente antipasto che facilita l'assunzione dei nutrienti e tonifica l'intestino.



Come gusto ho verificato che piace sempre a tutti. Rapida da preparare, può essere la colazione “yang” di una giornata impegnativa. Dal punto di vista salutistico quindi è un interessante strumento per basicizzare complessivamente la nostra condizione, permettendoci di contrastare un raffreddore incombente o il bruciore di stomaco, oppure di mitigare i postumi di stravizi, alcool e fumo... (meglio ancora se la usiamo per sostituire un pasto e lasciar riposare gli organi interni).
In commercio se ne trova di vari tipi, vi consiglio il miso di orzo perché mi sembra il più adatto per l'uso in zuppa.
Riguardo alla soia gialla è sempre utile ricordare che, pur essendo un legume molto gustoso ed uno degli alimenti più diffusi nelle sue tante versioni trasformate, è di per sé indigeribile. Per questo la cultura orientale ha sviluppato una ricca esperienza nel trattamento indispensabile per renderla commestibile. Una lunga cottura, l'eliminazione della buccia o la fermentazione sono obbligatorie per mangiarla, non improvvisate una fagiolata di soia gialla senza esperienza, potete provocarvi un'indigestione già grave. La soia da mangiare così esiste ed è buonissima, è la soia rossa o azuki, con cui potete preparare delle ottime fagiolate e che, tra i legumi, rappresenta una delle varietà più digeribili e di uso frequente... ma ne parleremo in un altro post.

domenica 5 maggio 2013

Estensione del dominio del fottere

<< Ha detto: “Capisci, ho fatto i conti: posso permettermi una puttana a settimana; l'ideale sarebbe il sabato sera. Forse finirò per farlo. Però, sapendo che un sacco di uomini riescono a ottenere la stessa cosa gratis, e per giunta per amore, preferisco insistere; per ora preferisco ancora insistere.”


Non ho saputo cosa rispondergli, poi mi sono fermato in albergo a pensare. Decisamente, mi sono detto, nella nostra società il sesso rappresenta un secondo sistema di differenziazione, del tutto indipendente dal denaro; e si comporta come un sistema di differenziazione altrettanto spietato, se non di più. Tuttavia gli effetti di questi due sistemi sono strettamente equivalenti. Come il liberalismo economico incontrollato, e per ragioni analoghe, così il liberalismo sessuale produce fenomeni di depauperamento assoluto. Taluni fanno l'amore ogni giorno; altri lo fanno cinque o sei volte in tutta la vita, oppure mai. Taluni fanno l'amore con decine di donne; altri con nessuna. E' ciò che viene chiamato “legge del mercato”. In un sistema economico dove il licenziamento sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare un posto. In un sistema sessuale dove l'adulterio sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare il proprio compagno di talamo. In una situazione economica perfettamente liberale, c'è chi accumula fortune considerevoli; altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In una situazione sessuale perfettamente liberale, c'è chi ha una vita erotica varia ed eccitante; altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine. Il liberalismo economico è l'estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Altrettanto, il liberalismo sessuale è l'estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Sul piano economico, Raphael Tisserand appartiene alla schiera dei vincitori; sul piano sessuale, a quella dei vinti. Taluni vincono su entrambi i fronti. Le imprese si disputano alcuni giovani laureati; le femmine si disputano alcuni giovani maschi; i maschi si disputano alcune giovani femmine; lo scompiglio e la confusione sono considerevoli. >>
Michel Houllebecq, Estensione del dominio della lotta, 1994

sabato 4 maggio 2013

Quel che resta dei cattolici


Quanta gente va davvero in chiesa? Da ricerche sociologiche di cui avevo notizia
emergevano dati che mi sembravano inverosimili: un 30% degli italiani che va a messa la
domenica!
Nel suo libro Marco Marzano sottopone queste ricerche alla più banale delle verifiche:
prende un campione nord-sud dell'Italia, si informa sulle funzioni religiose e va a
contare i partecipanti.
Che cosa emerge? Che il sociologo italiano può essere una vera puttana che falsifica i
dati: non il 30 ma soltanto il 12-15% frequenta le chiese. E il fenomeno più
interessante è la discrepanza tra i propositi e la realtà. In effetti è vero che il 30%
degli italiani si sente in dovere di rispondere che ci va, salvo che poi in realtà solo
la metà di questi ci va davvero! Ci è rimasta evidentemente solo la "soggezione" di un
passato religioso...
Marco Marzano è un sociologo, ateo ma non "di parte", la sua ricerca mi sembra corretta
e la metodologia interessante perché basata sull'empatia con cui raccoglie la
testimonianza sul campo delle decine di preti e dei laici impegnati che ha dovuto
incontrare per la sua ricerca.



Vediamo ritratti di preti sull'orlo di una crisi di nervi per i pesanti turni di lavoro
come "distributori di sacramenti". La chiesa non ammette di aver perso terreno e,
malgrado la crisi delle vocazioni, tiene ancora aperte ben 26mila parrocchie oberando di
lavoro i pochi preti sfigati che restano. Altri, investendo nel carisma personale,
cercano di aggregare quel che resta dei fedeli, ma sono ripagati dall'indifferenza delle
gerarchie.
Banchi vuoti, l'ultima cordata di vecchiette ormai in esaurimento, richieste di
sacramenti senza alcun contenuto spirituale, il funerale cattolico per tutti, il
matrimonio "che le foto in chiesa vengono bene". Ultima sacca di resistenza il
catechismo, ma non fa testo perché ormai, per tenere occupati i bambini "che i genitori
hanno da lavorare", vale tutto, dagli sport estremi alla danza e, perché no, anche il
catechismo...
Nell'ultima parte del libro, l'autore approfondisce l'analisi del fenomeno dei
"neocatecumenali". Setta interna al cattolicesimo, originata dalla predicazione di Kiko
Arguello negli anni '60 a Madrid, si è diffusa nel mondo ed in particolare in Italia
dove i promotori parlano di 300mila adepti. Sotto la benedizione di Wojtyla, Ratzinger e
del clero in genere, propone una catechesi ed una liturgia tese a rinnovare la vita
comunitaria all'interno delle tradizionali parrocchie. Una ferrea gerarchia la gestisce
controllando la vita spirituale degli adepti quanto il loro conto in banca: su internet
non mancano i siti di denuncia che parlano chiaramente di circonvenzione di incapace, di
plagio e di condizione deprivata dei bambini che vivono all'interno della setta.
L'autore così descrive il panorama di quel che resta:

"Nel complesso, a me pare che la struttura ordinaria della chiesa mescoli elementi di 
feudalesimo con altri che richiamano più da vicino la forma più pura di organizzazione 
burocratica: quella militare degli eserciti. Il parroco cattolico è infatti ancora oggi, 
in casa propria, tra le mura amiche della sua chiesa, un potente signorotto, un principe 
quasi assoluto... Gli atteggiamenti più comuni alla base della chiesa, con l'eccezione 
di quelli di qualche coraggioso contestatore solitario, sono quelli diffusi in tutte le 
dittature: nessuna critica esplicita e diretta viene mossa al papa o alle gerarchie"
(Marco Marzano, "Quel che resta dei cattolici, inchiesta sulla crisi della chiesa in
Italia", Feltrinelli 2012, p.236-7)

A quanti dopo il Concilio immaginavano un cattolicesimo aperto alle istanze del sociale,
l'autore (con una ricerca che mi sembra onesta e col suo approccio empatico) promette
invece la rigidezza di una gerarchia che avvalla l'operato di sette integraliste,
piccole comunità gestite con metodi da macdonald ed una spiritualità che risponde alle
esigenze di fedeli chiaramente vocati alla dipendenza e alla sottomissione.

mercoledì 1 maggio 2013

A working class hero?


Di che va orgoglioso il proletariato? Di aver distrutto il mondo dei suoi figli?
Oggi, di fronte alle profonde trasformazioni in atto nel mondo del lavoro, forse
possiamo permetterci una collettiva ammissione di responsabilità nel danno prodotto
dalla società moderna e dalla sua "industriosità".




Così come in altri contesti l'umano si rappresenta quale membro di una famiglia (la
mafia) oppure quale proprietà di un nobile (l'aristocrazia), nella logica dell'impresa
l'umano si definisce "lavoratore". Ma lavoratore rispetto a chi?
Dovremmo dare per scontato che ogni adulto si sbatta per mantenere se stesso e magari
qualcun altro, cosa c'è di speciale? Ed è stupido guardare in senso preferenziale ad una
certa fascia d'età: come possiamo pensare separatamente gli adulti-lavoratori dai
bambini che arriveranno a nutrirne le fila, o ai vecchi che quegli adulti diverranno?
E se invece lo riferiamo all'intera società, cos'è il lavoratore? Quello che non vive di
rendita? Quello che non dirige un'impresa? Ma perché? Tutti vorremmo aver messo qualcosa
da parte e tirare un po' il fiato, così come tutti dovremmo occuparci in prima persona
di organizzare il nostro lavoro. Perché esimerci, perché delegare?
Non c'è nessun merito a far parte della classe lavoratrice: operai ed imprenditori sono
complici nel danno della loro fabbrica, e questo proprio in virtù del libero contratto
pattuito in tempi di democrazia. Accettando ciascuno il proprio ruolo, entrambi
rinunciano ad una capacità di giudizio complessiva. La condizione attuale del pianeta è
figlia dell'aver preso per buono questo giudizio di parte e dimostrazione della sua poca
lungimiranza. Nella lotta di classe è implicita l'irresponsabilità e la complicità nel
danno.
Nel marxismo la sovrastruttura, le forme culturali e l'organizzazione sociale, sono
conseguenza dei rapporti di forza nella struttura produttiva. In questa logica invece,
la sovrastruttura è frutto della complicità sociale, espressione creativa di un intero
corpo sociale che cerca di autogiustificarsi. L'impossibilità di valutazione fa il
consumismo, dove l'oggettualità dei prodotti rappresenta l'unico tramite possibile fra
individualisti: la logica dell'impresa può essere superata soltanto dall'imporsi
totalizzante della logica del consumo. Dopo il lavoratore c'è solo il "consumatore", che
è sempre cittadino di una democrazia, ma svuotata di "cose da decidere" essendo già
tutto deciso dal mercato.
Ecco dunque che la storia della modernità globalizzante lascia intravedere per il suo
futuro uno scenario che potremmo definire "conclusivo": democrazie vuote perché
all'unanimità concordi sull'ultima bandiera che resta... la bandiera del consumare a
oltranza, tutto e fino alla fine, fino all'ultima goccia di petrolio!
Speriamo solo che nel frattempo sia cresciuta un po' di umanità selvatica, discosta e in
attesa, pronta a ripopolare domani un pianeta un po' più consapevole.