fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

sabato 31 marzo 2012

Il pensiero debole del post-imperialismo


Caro Gio,

siamo tutti ecologici, o almeno vorremmo esserlo, ma conoscendo il
tuo passato di militanza in quello che all'epoca ci sarebbe
addirittura piaciuto chiamare "fronte" omosessuale, mi è strano
pensarti ora come fautore di un pensiero nuovamente "forte" come
quello che proponi, con questa idea di permetterti d'immaginare
"come ha da essere" l'uomo.


Caro Andrea,

noi occidentali possiamo ringraziare d'essere nell'unico punto
sicuro di un bosco incendiato: là dove la fiamma devastante è già
passata!
Il postmoderno è stato un fine corsa critico, non storico. L'idea
di un fine corsa storico è solo l'ultima possibile ideologia
giustificativa del privilegio ("la storia finisce qui, al
raggiungimento del mio privilegio: signori, mettetevi in coda!"),
mentre è più realistica la versione d'una completata ricognizione
critica dei limiti dell'esperienza moderna o più in generale della
civiltà.
E' vero che questa è stata l'epoca dei tanti movimenti di
liberazione o comunque ripensamento su ogni aspetto del vivere
civile: imperialismo, rapporti tra i sessi, rapporti di classe,
multiculturalismo, etica, ecologia. Ma è anche vero che il
movimento numericamente vincente è stato uno ed inequivocabile:
l'omologazione consumista. Omologazione cui tutti, anche gli
attivisti (nei momenti di riposo), sembrano indulgere.
Ma se l'esperienza postmoderna può essere letta come la voglia di
sbarazzarsi delle ultime rigidezze della tradizione, come il
completare le pulizie di casa fin negli angoli, non si può avere
la pretesa che il fatto di sgombrare un appartamento ci dia nuovi
mobili per arredarlo.
Invece è quanto fa l'esistenzialismo: qualcuno che confonde lo
strumento critico con la capacità costruttiva, qualcuno che si
adatta dunque a vivere tra le macerie, con mucchi di mattoni e
calcinacci come mobilia.
"Tutto è relativo, tutto è questione di interpretazione", ma è
come un commerciante che arriva a vendere la sua licenza
commerciale, o come un carcerato che, riuscito a saltare il muro,
non sa che direzione prendere...
No, la perdita di identità non mi sembra un fatto su cui si possa
basare una nuova identità.
La fiammata della modernizzazione ci ha emancipati, radicalmente,
come individui, e questo ci mette in condizione di fare scelte
prima impossibili.
Io dico solo: proviamo ad usare questo vantaggio.


Grazie al tuo intervento posso ripescare un articolo con cui nel
2007 presentavo il mio libro alla nostra comunità.

Il pensiero debole del post-imperialismo

Esce in questi giorni, in occasione del Salone del Libro di Torino
(10-14 maggio), un saggio di Giovanni Jalla - "Stato di Grazia,
fondamentalismo della modernità", Edizioni Clandestine, con
prefazione del filosofo Costanzo Preve. Pubblichiamo qui una
riflessione dell'autore sulle tematiche affrontate nel suo lavoro.

La Stampa del 20 marzo 2007 segnala un'attuale e forse inaspettata
rivalutazione del filosofo torinese Gianni Vattimo. Quello che ci
interessa qui notare non è tanto il profilo del suo pensiero - che
nondimeno dovrebbe interpellarci per la convinzione di esprimere
l'unica vera filosofia cristiana praticabile - quanto la portata
rispetto ai problemi reali di un mondo globalizzato e soprattutto
rispetto alla tendenza in atto negli ultimi anni: quella per cui
le cattive abitudini di sempre ora vorrebbero chiamarsi "guerra
preventiva" al terrorismo, "polizia internazionale" ma con la
divisa a stelle e strisce, "sviluppo sostenibile" e commercio
delle quote di insostenibilità...
L'omaggio a un maestro che ha portato l'ermeneutica all'egemonia
mondiale, convegni in suo onore e l'opera collettiva che filosofi
di tutto il mondo gli hanno dedicato, stanno forse a segnalare che
i paesi industrializzati - i ricchi del pianeta - cominciano a
sentire il bisogno di mettersi al riparo, dotandosi di
giustificazioni un poco più raffinate dell'arroganza americana.
Certo, l'esistenzialismo poggia su un dato incontrovertibile,
quasi banale: non si può negare a nessuno di pensare la sua
esistenza! Ma è in questa tautologia che la filosofia, autoeletta
tutrice del mondo post-metafisico, tradisce il suo proposito
mistificatorio. E' legittimo che un uomo si chieda il fatidico chi
sono?... sì, ma quando è ubriaco! Per Heidegger, invece, questa
sarebbe la specificità dell'umano. Una distinzione essenziale, che
alla filosofia dell'esistenzialismo serve per fondare il
posizionamento del soggetto occidentale moderno, l'orizzonte di
una vita spesa nel privilegio, nell'autocompiacimento della
malattia.
Finché il privilegio era del Principe, questi non si chiedeva chi
sono?, e non se lo chiedeva perché "Io sono il Principe!" è
un'autoaffermazione sufficientemente forte e indiscussa da non
aver bisogno di cercare conferme. La domanda esistenziale nasce
invece con l'accesso delle masse consumiste al ruolo imperialista
di una modernità industriale conclamata. L'esistenzialismo fa
della vita una retorica, la retorica adatta a giustificare la
propria supremazia.
Ricordiamoci che l'esistenzialismo nasce da un protestante, dal
figlio del Pastore Kierkegaard, proprio per illustrare l'orizzonte
di qualcuno la cui esistenza doveva essere talmente priva di senso
da fargli rasentare il nichilismo, salvo però non avere la forza
sufficiente, o la coerenza, per visitarlo davvero e immaginarne il
reale portato. Nel novecento quindi, invece di maturare una
radicale riflessione sulla complicità popolare nel nazismo, si
colorerà del facile antiautoritarismo di Sartre e da lì,
attraverso la contestazione del '68, potrà diventare patrimonio
ufficiale del popolo urbanizzato e industrializzato, dei figli di
chi aveva lasciato le campagne per la fabbrica.
In sostanza, invece di considerare la nascita della domanda
esistenziale come sintomo di qualcosa che non va nella modernità,
l'esistenzialismo fa dell'esistenza una nuova cosa di cui
occuparsi... nel tempo libero della società occidentale
privilegiata.
E' vero che un pensiero debole in teoria dovrebbe servire a
permettere il riconoscimento dell'Altro - il dio amabile, il
cristianesimo di carità di Vattimo - ma di fatto, nella vita
consumista dei nostri tempi, l'Altro si riduce a strumento per la
propria egopatia, elemento indispensabile ma secondario per la
triangolazione io-altro-dio, per giungere all'essenza
dell'essente! Il nuovo galateo rivendicato per la convivenza
democratica rischia quindi di ridursi a sancire l'ineluttabilità
dell'individualismo come unica relazione possibile nella vita
moderna. E l'alterità di dio, da "misura del mondo", rischia
tragicamente di scivolare in "alterigia".
Non scorretto forse, ma sicuramente impraticabile, il pensiero
debole è pericoloso come un assegno in bianco: chiunque può
scriverci sopra il prezzo di una qualunque assurdità suggerita
dall'incoscienza consumista!
Né debole né forte, il pensiero dovrebbe servire per capire i
limiti della nostra forma nell'ambiente: mentre l'infinito è tutto
da dimostrare, l'impellenza ecologica mostra chiaramente che
viviamo nel finito.
L'impasse concettuale della metafisica può essere superato solo da
questa radicale consapevolezza. Un pensiero debole, cioè non-
violento e finalmente non più metafisico, avrebbe senso solo come
pensiero del limite, consapevolezza della forma... sennò è
mestiere per filosofi, o peggio, è la definizione di un nuovo look
per l'imperialismo!

(dal settimanale Riforma del 11/5/2007)

venerdì 30 marzo 2012

La sessualità dell'individualismo


"Tempo d'estate" di J.M. Coetzee, ci offre una descrizione antropologica dell'assetto sessuale della borghesia bianca sudafricana che vale per tutte le borghesie del mondo: una sessualità esercitata tra le parentesi del lecito e dell'illecito, dove l'ipocrisia si traduce in un "notevole stress psichico" e la vita prende tinte fosche...

<<Nel mondo degli affari - tra poco le dirò di più su mio marito e il suo lavoro - gli uomini sono tenuti, o almeno così era allora, ad avere mogli presentabili, e di conseguenza le mogli sono tenute ad essere presentabili; presentabili e accomodanti, entro certi limiti. E' per questo che, anche se si arrabbiava quando gli raccontavo delle avances dei suoi colleghi, mio marito continuava ad avere con loro rapporti cordiali. Niente reazioni indignate, niente scazzottate né duelli all'alba, solo di tanto in tanto un attacco di furore muto e astio tra le pareti domestiche.
Tutte queste storie di chi andava a letto con chi in quel piccolo mondo chiuso adesso, a ripensarci, mi sembrano più fosche di quanto chiunque sarebbe stato disposto ad ammettere, più fosche e più sinistre. Agli uomini piaceva e al tempo stesso dava fastidio che le loro mogli fossero desiderate da altri uomini. Si sentivano minacciati, ma al contempo eccitati. E anche le donne, le mogli, erano eccitate; dovevo essere cieca per non vederlo. Eccitazione ovunque, tutto era avvolto da una libidinosa eccitazione.
...
Mark non voleva che andassi a letto con altri, ma al tempo stesso voleva che gli altri vedessero che donna aveva sposato e lo invidiassero per questo. Immagino che anche i suoi amici e colleghi la pensassero allo stesso modo: volevano che le mogli degli altri soccombessero alle loro avances e che le loro mogli fossero caste - caste e affascinanti. Da un punto di vista logico non aveva senso. Come microsistema sociale era insostenibile. Eppure si trattava di uomini d'affari, astuti, intelligenti (in un altro senso della parola), uomini che conoscevano i sistemi, che sapevano quali erano sostenibili e quali no. E' per questo che dico che il sistema del lecito e dell'illecito di cui tutti loro partecipavano era più fosco di quanto fossero disposti a riconoscere. Secondo me poteva continuare a sussistere solo a prezzo di un notevole stress psichico e solo fintantoché si rifiutavano di ammettere quello che a un qualche livello dovevano sapere.
...
Come credo di averle detto, John era solo il mio terzo uomo. Tre uomini, e li ho lasciati tutti per via del sesso. Una triste storia. Dopo quei tre ho perso interesse per i sudafricani bianchi, per i maschi sudafricani bianchi. Avevano in comune qualcosa che mi riusciva difficile identificare chiaramente ma che in qualche modo collegavo con il lampo sfuggente negli occhi dei colleghi di Mark quando parlavano del futuro del paese - come se ci fosse una cospirazione di cui tutti facevano parte per creare un futuro falso, trompe-l'oeil, laddove prima nessun futuro sembrava possibile. Come se l'otturatore di una macchina fotografica si aprisse per un istante per rivelare la falsità che avevano dentro.>>  Einaudi 2010, pp.26,51

Questo è ciò che carica l'individualismo. Questo è il mondo dell'individualismo: borghesi o aspiranti tali. E non come fenomeno marginale, ma è proprio la parte migliore, quella produttiva, è l'assetto dell'uomo che ha lavorato sodo per il progresso...
Mi sembra che Coetzee ci dica: Signori, io con questa "carica" sono capace di prendere il Nobel, ma è con il mio autismo che non so cosa fare!

mercoledì 28 marzo 2012

Autonomia e salute


Sotto forma di intervista vi proponiamo l'opera di un gruppo di medici degli anni '30.
Questi scrivono un manuale, ad uso popolare (40mila copie, tante per l'epoca), che ci presenta una medicina decisamente olistica, preventiva, applicabile fruttuosamente da chiunque tenesse in conto la propria salute. Non possiamo non notare l'affinità con la macrobiotica e la naturopatia in genere.
Negli anni '30 medico e paziente accettano la salute e la malattia come responsabilità dell'individuo. Con gli anni '50 la medicina perde ogni idea di limite e comincia a promettere miracoli di ogni sorta. L'opera preventiva viene in fretta dimenticata ed ogni responsabilità del paziente viene cancellata dal fatalismo.
L'asservimento della scienza medica agli interessi economici diventa sempre più sfacciato: il bicchiere di vino e l'olio d'oliva che fan bene, la dieta del gelato, il cartone del latte della centrale distribuito alle elementari e, soprattutto, lo sponsor... 1lt e 1/2 di acqua minerale al giorno!
La ricerca di criteri ragionevoli per tenersi in salute viene sostituita dalla fondazione di miriadi di associazioni finalizzate al recupero di fondi per la ricerca scientifica.

Questo vostro è un manuale popolare, più che alla cura si rivolge alla prevenzione. Allora, come tenersi fuori dai guai?
Per resistere agli attacchi dei microbi, ci vuole un sangue buono. Come tutti i tessuti e tutti gli organi del corpo, il sangue è fatto dei materiali introdotti nell'organismo. Per avere buon sangue occorrono tre cose: buon nutrimento, aria e acqua pura. Sono pure necessari il sonno, il riposo, l'esercizio, ma il principale fattore della salute è un buon nutrimento. Non è possibile fare buon sangue con cattivi alimenti. Il corpo umano è dotato di una meravigliosa forza di adattamento, ma non ha il mezzo di trasformare in sangue puro e ricco gli alimenti di qualità inferiore. L'apparato digestivo non crea i suoi alimenti, può soltanto trarre il miglior partito possibile da quelli che gli sono forniti.

Quali sono gli alimenti migliori verso cui dovremmo rivolgerci?
Il regime alimentare dato all'uomo da Dio, all'origine del mondo, si componeva di cereali, legumi e frutta. Questi alimenti racchiudono gli elementi necessari per mantenere vigoroso il corpo. Nel loro stato naturale sono schietti e sani. La loro varietà è grande abbastanza per soddisfare tutte le esigenze di clima, di stagione, di temperamento e di occupazioni. Tutti i gusti personali ne possono essere soddisfatti.

Come possiamo fare a scegliere? Ci vuole suggerire una dieta?
Il buon senso vuole che ognuno, in materia di alimentazione, scelga da una lista di cibi riconosciuti sani, quegli alimenti che più gli si confanno, poiché non a tutti può convenire la stessa alimentazione.

Qualche suggerimento in cucina?
Il miglior metodo per cucinare è il più semplice. Le miscele complicate, le pietanze grasse o molto impepate, e i pasticcini, non sono adatti per nessuno. Il buon senso indica una piccola varietà di cibi per ogni pasto. Tutti gli elementi nutritivi devono essere rappresentati, altrimenti ne andrà di mezzo la salute. Un nutrimento che racchiude tutti gli elementi nelle debite proporzioni, ben preparato e mangiato convenientemente, dovrebbe bastare per mantenere in salute. L'osservazione di tutte le altre regole d'igiene, non è tale da compensare l'assenza di un regime razionale.

Suggerimenti a tavola?
Masticazione. Masticando si digerisce bene. Lo stomaco non ha denti, perciò la masticazione deve farsi in bocca. Si può dire che più gli alimenti stanno in bocca, meno stanno nello stomaco. La cattiva abitudine di inghiottire parte degli alimenti non bene masticati, può causare disturbi su tutto il percorso del canale digerente.
Quando bere. Non bevete mangiando, ma tra un pasto e l'altro. Se lo stomaco è dilatato, meglio bere soltanto 5 o 6 ore dopo. Un mezzo bicchiere di acqua fredda, bevuta mangiando, ritarda la digestione di una mezz'ora.
Regolarità. Per i pasti va usata la maggiore regolarità. L'abitudine di mangiare a tutte le ore turba il migliore apparecchio digestivo e può produrre un deperimento generale. La digestione si fa male, soprattutto se si fa una vita sedentaria: si perde l'appetito e il piacere di mangiare. Tre pasti al giorno sono sufficienti; per alcuni ne bastano due, e fra un pasto e l'altro non si dovrebbe mangiare.
Moderatezza. Mangiar troppo è spesso causa di malattia. Il nutrimento non dipende tanto da ciò che si mangia, quanto da ciò che si digerisce. L'eccesso di cibo non è soltanto una perdita, ma un male per la costituzione che subisce un danno pericoloso. Il vuoto e la fame che certe persone sentono, sono il lamento di uno stomaco affaticato che ha bisogno di riposo. Infine gli alimenti non utilizzati fermenteranno e si decomporranno nel tubo digerente, e questo risultato dell'attività dei microbi, sarà il punto di partenza di una auto-intossicazione le cui conseguenze si faranno presto sentire.

Davvero basterebbero questi pochi criteri per tenersi in salute? E i medici?
Se le malattie sono molte, le condizioni essenziali di salute sono poche, ma bisogna riconoscerle e adottarle se noi vogliamo avere buoni risultati. I medici riconoscono che la salute ha la sua sorgente fuori dalla medicina; che è sottoposta a leggi con le quali dottori e malati possono cooperare, ma di cui nessuno può fermare il corso. Queste leggi ci assicurano la possibilità di una vita più o meno lunga e accrescono e conservano le forze vitali ricevute fin dalla nascita.

La salute è dunque in mano alla nostra responsabilità. Ma che dobbiamo fare quando non siamo stati capaci di gestirla?
La salute è il risultato del fatto che l'uomo s'è messo in armonia con le leggi naturali. Se ci siamo ammalati per aver trasgredito queste leggi naturali, bisogna riesaminare il nostro metodo di vita.

sabato 24 marzo 2012

Manifesto per una Filosofia di Specie


La scuola ci abitua all'idea che di filosofie ne esistano tante ma che, in generale, la loro successione storica rappresenti un lavorio di perfezionamento teso ad una maggiore consapevolezza del nostro stare al mondo.
Nella classe accanto un professore un poco più avvertito tiene a farci capire come ciascuna corrente di pensiero sia relativa, e spesso giustificativa, di bisogni identitari e di interessi particolari, di tensioni sociali o anche solo di semplici diatribe interne al mondo accademico.
A noi qui basta pensare che chiunque, nella coerenza dei suoi comportamenti, interpreta un certo posizionamento, a prescindere dal fatto di rappresentarselo.
Chi cerca un'alternativa ecologica può chiedersi quale fosse la filosofia delle tante generazioni di umanità che hanno preceduto i tempi storici. Deve immaginare un momento in cui la piena partecipazione al mondo naturale s'accompagnava ad un apparato cognitivo che era già il nostro. Può concepire un comune atteggiamento della specie articolato localmente in riferimento ai diversi habitat. E può infine ritenere che, spogliandosi criticamente delle accezioni ideologiche degli attuali contesti culturali, a tale atteggiamento si possa tornare, consapevoli dell'esperienza "civile" intercorsa e dei suoi limiti.
Consapevole della genesi e del portato di un posizionamento che, dall'inizio dei tempi storici, omologa l'esperienza umana in un sommarsi di semplificazioni sociali e tecnologiche vieppiù incompatibili con l'ecosistema, l'umano può "passare oltre" tornando ad occuparsi della propria forma.
In base alla propria salute, e senza bisogno di alcun misticismo, l'umano può dirsi autocosciente della forma che incarna. L'autocoscienza è possibile perché ciascuno ha pari accesso alla propria corporeità e può confrontarne in ogni momento la definizione con gli altri, a patto di muoversi con reciproca sincerità in un contesto consapevole della possibile fottitura.
Questa "forma" è l'unico riferimento cognitivo valido che abbiamo a disposizione per comprendere il mondo. In essa parla una valenza soggettiva individuale quanto complessiva di specie, nella sua unitarietà si riflette l'intero fenomeno biologico quanto la più generale coerenza del mondo fisico.
L'autocoscienza della forma può ricucire la triste lacerazione storica tra verità rivelate e riduzionismo scientifico. L'intera parabola della civiltà può essere letta in questi termini: quell'umano che comincia a considerarsi figlio dell'unitarietà, è destinato a ridursi in una singolarità lanciata alla cieca. O in questi: l'ancestrale patto di onesta adesione al piano della realtà viene tradito dall'adesione religiosa, rotta questa si libera un individuo malato e disorientato che non può che omologarsi nelle forme della modernità.
Ma, per quanto degenere figlio della sua razza e per quale demente ideologia possa aver indossato, chi è ancora vivo è per forza di cose ancora unitario, e in quanto tale va considerato. Ognuno deve considerarsi filosofo di se stesso, per evitare che qualcuno lo faccia per professione svendendo gli ultimi pezzi di realtà che ha sotto i piedi!
Un "Manifesto per una Filosofia di Specie" non rappresenta una nuova scuola di pensiero, ma è l'avvertenza che non ci può essere nulla di creativo in culture identitarie e distintive. Creativo può essere solo un confronto "intimo" tra i tanti modi di stare al mondo.

venerdì 23 marzo 2012

Caro Devis - Pecoranera


Caro Devis-pecoranera,

ho finito ora di leggere il tuo libro. Vorrei darti un bacio in fronte per quanto scrivi bene. Bravo, sei un narratore nato, hai una professione in mano. Trova tante altre storie interessanti da raccontare, e auguri!
Ora però vorrei parlare del punto che lasci aperto e cioè come e con chi costruire l'alternativa.
Riassunto per gli altri lettori: Devis è un ragazzo che si è vestito della bandiera anarco-individualista per sfidare gli stereotipi ed i limiti culturali del suo paese friulano. Ha tratteggiato un progetto di frugale autosufficienza contadina ed ora è un uomo, sicuramente ricco d'esperienza, che si chiede come continuare.
Il problema è la condivisione. Va bene lavorare e mangiare assieme (e già bisogna decidere come lavorare e cosa mangiare, che non è poco!) ma poi ci sono altre questioni tipo i soldi: si fa cassa comune o ciascuno si tiene i suoi salvo contribuire alle spese? Cosa si considera legittimo svago e quanto costa? Per qualcuno magari basta un tocco di fumo, qualche altro invece non rinuncerebbe alle ferie al mare... Oppure i bambini: chi e come li alleva, tutti si considerano genitori o i naturali rivendicano la patria potestà? E la coppia: va bene se due stanno assieme ma poi non è che pretendono di fare le loro valutazioni e di prendere per conto loro le decisioni su tutto quanto sopra?
Per questo dico che serve un riferimento super partes attorno cui raccogliere i criteri ed i pezzi d'esperienza che si dimostrino realistici, e quindi liberi da ideologie.
Condividere l'idea che solo la nostra forma, la forma della specie, possa rappresentare quel riferimento comune: questo non ci dà le risposte ma perlomeno ci mette in condizioni pulite ed agevoli per provare a sperimentarci.
Ho paura che costruire un nuovo tipo di relazioni tra noi sia più difficile di qualunque tecnica o settore ecoalternativo. Forse sul termine o sulla storia dell'anarchia ho qualche riserva, ne riparleremo, ma dell'individualismo possiamo farcene qualcosa.
E' vero che la condizione individualista è il preciso portato della modernità (il consumista è il primo che rivendica l'assoluta libertà di scegliere dove meglio sputtanarsi i soldi) però noi potremmo sfruttarla all'inverso. Manteniamo preziosa la nostra indipendenza ed usiamola per sperimentarci con cautela.
Iniziamo pure da relazioni di buon vicinato, prendiamola calma, non rischiamo di bruciare tutte le nostre aspettative in allettanti quanto affrettate ipotesi di comunitarismo: teniamo conto dei nostri limiti reali.

Debolezza: la genesi del potere


Cara sinistra,
lo so che sei sensibile al discorso della forma. Da un lato giustamente mi ricordi l'eugenetica nazista: era per costruire un uomo nuovo, per plasmarne la forma, che nei lager si eliminava il difforme. Dall'altro lato però non puoi permetterti di affrontare esplicitamente il discorso perché l'idea d'una forma di riferimento non è compatibile coi propositi edonisti che nascono, inevitabilmente sembra, dovunque degli ex sfruttati assurgono a nuove avanguardie del progresso.
E' vero che i totalitarismi sono spesso stati l'espressione estrema di un potere che si esercita sulla forma. Si comincia col potere sovrano sulla vita e sulla morte dei propri sudditi e si arriva fino ad identificare un multiforme "biopotere" come somma di tutte le agenzie che s'occupano o anche solo influenzano le condizioni di vita e d'allevamento d'un popolo. Al limite, se proprio costretti ma recalcitranti, si può ammettere che anche il "regime" della modernità presenta in certo modo alcuni di quei tratti...
Ma il punto non è questo, la questione non sono le tante strutturazioni che può assumere il potere, quanto la sua genesi. Evitare l'indagine sull'origine del potere equivale a riconoscergli uno "statuto speciale" che, per chi ha rifiutato l'ipotesi d'una natura umana fondamentalmente malvagia, non può che essere di natura addirittura metafisica!
Calma. Forse il problema è solo che la critica di sinistra ha teso storicamente a sessualizzare la questione (sopraffazione, sadismo), mentre proprio l'accezione di potere "costruttivo" ne mette in luce un altro aspetto: il dittatore (o l'istituzione) è la grande mamma d'una massa d'infanti che gestisce, coerentemente, col biopotere del latte!
Allora, che si tratti di sadismo collettivo o di infantilismo sociale diffuso, mi sembra che entrambi i casi mostrino un soggetto "in regressione". Perché una popolazione arriva ad esprimere un simile disagio? Non sarà forse, banalmente, per debolezza?
Quando un popolo si emancipa da una classe sfruttatrice ne conquista i simboli e le pratiche (i fagiani del conte). Prende a fare cioè tutto ciò che, a suo tempo, ha costruito chimicamente ed esperienzialmente il suo oppressore, e si rende a sua volta oppressore di altri popoli.
Il problema, cara sinistra, non è solo individuare razionalmente che il carnivorismo è imperialista, ma capire come fa ad esserlo: la carne trasforma chi la mangia, accellera il metabolismo e dunque affatica l'organismo ed intorbidisce la consapevolezza. Questa è l'origine dell'imperialismo, questo è il modo in cui tutti possono partecipare all'imperialismo. E vi possono partecipare in entrambi i ruoli, oppressore e vittima, indifferentemente. Non è forse verosimile pensare che anche l'oppressore sia tale per debolezza? Che chi raccoglie una delega di potere lo faccia per nascondersi una sua personale impotenza?


La delega di potere è direttamente proporzionale alla debolezza individuale.

Questo è ciò che nessuno dice e che va spiegato bene, perché il soggetto cambia nella storia ma la dinamica resta uguale: il figlio del contadino che non ce la fa più a zappare va in fabbrica, il figlio dell'operaio che non regge più le otto ore in piedi va a fare l'impiegato, ed il figlio dell'impiegato magari non va più bene neppure a scuola... E' la debolezza fisica degli italiani che chiama l'immigrato a faticare al nostro posto!
L'origine del potere non sembra interessare gli intellettuali. Questi partono sempre dalla grecia ma forse era proprio lì nella "polis" che lo si dava per scontato e che la questione poteva allora ridursi a quali forme di gestione adottare.
Forse dovremmo parlarne in termini più da materie scientifiche che umanistiche. La realtà dialettica di potere-debolezza è un po' come il ciclo dell'acqua, gira, non ha inizio e non ha fine. Possiamo chiederci se sia il privilegio ad indebolire o se è la debolezza a compensare, accumulando ricchezza a sua volta fonte d'invidia...
Ma la questione è che ora sappiamo che debolezza e potere sono inscindibili facce della stessa medaglia e che se ci auguriamo un mondo senza potere nell'aria dobbiamo saperlo esercitare da qualche altra parte.

Solo quando gli individui si occupano della forma (equilibrio e salute, non doping e superuomo) la collettività è realmente potente (senza esprimere esteriormente strutture di potere).

Torniamo così alla forma. L'unica accezione positiva di potere (che vada al di là della propria personale vitalità) possiamo riconoscerla in una relazione di fisiologica dipendenza come quella di un bambino che rischia di mettersi in pericolo quando ancora non è in grado di sapere bene quello che fa. Lì abbiamo il potere e il dovere d'intervenire. E' un esercizio attivo del limite: lasciar sperimentare tutto il possibile solo vigilando sui rischi più seri.
Questo è tutto il potere indispensabile ad un adulto per allevare un cucciolo, oltre dobbiamo imparare a chiamarlo debolezza e a non coltivarne più il fascino.

Non vorrai mica tornare alla candela?


Caro Sergio,

rispetto alla questione editoriale premetto che non sono la persona giusta per dare consigli: l'anno scorso la mia tiratura è stata così misera che ho paura a telefonare all'editore! Spero che il blog promozionale serva a qualcosa.
Non sai quanta rabbia mi fa pensare di essere stato tradito da tutti i miei amici di "oratorio" (all'oratorio protestante si gioca a far discussioni invece che a calcetto, la bandiera: essere responsabili del proprio stare al mondo, impegnarsi per capirlo... non sai quante serate buttate via in interminabili disquisizioni sulla rava e sulla fava!). Col tempo ho capito che, banalmente, i miei correligionari si stavano addestrando a quanto ora io critico: diventare abili internazionalisti capaci di cavalcare i tempi moderni e guidarne i destini. Che ci siano riusciti o meno, gli dà comunque fastidio vedersi portare in piazza.
Rispetto alla razionalità che ci accomuna ti voglio raccontare un po' della mia esperienza. Il libro che hai per le mani è il risultato non intenzionale di un qualcosa iniziato molto tempo prima, lo sviluppo di un'intuizione.
Avevo quindici anni e discutevo con mio padre dei limiti del progresso e della vita moderna. "Non vorrai mica tornare alla candela?" mi fa, ed io non so che rispondergli. Sì, volevo "tornare alla candela" ma non sapevo bene perché né come. Mi ci sono voluti vent'anni per capirlo e rispondergli a tono. Ora mi accorgo che il non voler capire viene prima di qualunque stringente ragionamento.
Punto secondo: io e te non siamo filosofi, siamo soltanto gente normale che vuole capire in che mondo è finita, e che usa le capacità che ha per farlo. Mentre i filosofi, che sono venali professionisti del ragionamento, spesso non si intendono molto della realtà cui quel ragionamento si riferisce.
Mi spiego. Prova ad immaginare che il contraltare della razionalità non sia banalmente la stupidità, come molti potrebbero pensare, ma la vitalità. Le cose sono concrete, intere, vive, "spingono" nella loro essenza (un atomo ha una dimensione reale perché l'elettrone "spinge" girando continuamente a marcare il territorio dei suoi orbitali), noi le possiamo distinguere definire e, astraendole, possiamo immaginare di maneggiarle. Con la razionalità noi cogliamo i limiti di un oggetto, le dimensioni, i confini esterni che ne costituiscono la forma, ma la sostanza rimane lì. La vitalità è intangibile alla razionalità e forse è per questo che il riduzionismo scientifico non può "capire" la vita, per quanti dati particolari raccolga.
La razionalità mi ha portato durezza, solitudine e alienazione da me stesso (precorrere razionalmente le esperienze non equivale a farle) ma questo avrai tutto il tempo per digerirlo e trovare i tuoi modi per sopportarlo. Voglio solo dire che se qualcuno ha qualcosa in cui è particolarmente vocato, forse non è il caso di insistere su quel tasto a detrimento di tutto il resto. La botte piscia dalla doga più bassa, mentre la sua capacità complessiva è del tutto indifferente alla doga più alta. In questo senso l'educazione protestante non mi ha fatto bene, spingendo ulteriormente qualcosa di già sproporzionato.
Comunque, si usa quel che c'è ed io non disprezzo la mia razionalità, solo ho imparato il trucco di bilanciarla con vitalità, concretezza e lavori fisici (ti scrivo nelle pause di una tranquilla mattinata di sole, circondato da cani capre e cavalli, ho già lavorato nell'orto, spalato una carretta di letame ed ora devo andare a mettere su il pranzo).
Nella mia mente bacata ti ho accostato al friulano immaginando che farebbe bene ad entrambi se vi scambiaste per un po' i ruoli (turismo esistenziale incrociato si potrebbe definire!).
Solo una cosa ancora (l'acqua della pasta sta per bollire). Se Stato di Grazia ha qualche elemento creativo è solo perché l'ho scritto assieme al mio compagno: io magari ragiono bene ma da solo sono troppo pigro indolente e ignorante per farne qualcosa di utile.
Raccontami qualcosa di te, se ti va e lasciami ancora un po' di tempo per entrare nel merito delle tue tesi.

Ciao, gj

sabato 17 marzo 2012

Dio non è ecologico

Le persone ragionevoli già sanno che la realtà è sufficientemente complessa di suo (e interessante) senza doverci mischiare un qualche dio.
Quello di cui non tutti si rendono conto è che oggi la religione si è trasformata in qualcosa di elusivo che c'è, nei fatti e nei danni, ma a cui non interessa dichiararsi.
La modernità è religiosa, di per sé stessa. Morta ogni ipotesi di Verità di riferimento, oggi neppure più si rivendica ma si dà per scontato che ciascuno si muova sui suoi binari soggettivi vietando e vietandosi qualsiasi valutazione oggettiva dei propri desideri e comportamenti.
La contraddittorietà interna al variegato mondo ecologista, come abbiamo visto, è figlia di questa religiosità, di questa complicità con il mondo che si vorrebbe criticare. Il fatto di non aver cognizione complessiva di quello che si sta facendo è esso stesso una precisa filosofia: l'ideologia della modernità.

venerdì 16 marzo 2012


Conosco un ragazzo in sicilia, un ragazzino "senza calli" ma dalla testa sveglia, capace di osar criticare il mondo nel suo complesso. E lo fa con disarmante sincerità: non accettando quel tradimento di sé che la società civile chiede a tutti prima o poi, può semplicemente riconoscere nel mondo reale un principio di unitarietà.
Lui non lo sa, per quel poco che può aver visto a quindici anni, e può anche volgere il tutto al nichilismo (posso scusarlo, in adolescenza), ma la sua è la filosofia che serve a tutti quelli che "zappano" nei vari campi alla ricerca di alternative: un principio di unitarietà è il solo riferimento che renda possibile la condivisione culturale di una reale alternativa ecologica.
Accorgendosene, forse troverà anche lui un po' di bellezza nel vivere e di concretezza nella realtà.



qualche citazione da Sergio Siracusa http://overcleft.jimdo.com/chi-sono/


<< il compito sublimato del Potere, alla fine, è soddisfare la tanta gente-pecora che ha bisogno di
pastori...

Svegliarsi da questo sogno altro non è che seguire il Buonsenso e il proprio spirito critico per
vedere la realtà per com’è al di fuori delle nostri fallaci certezze e inutili dogmatismi. La Verità la si trova ad
intuito. Quest’ intuito non è esclusivamente animale o frutto di scrupolosi calcoli matematici, ma
deriva dalla componente Empatica.
Perché in effetti, senza la componente empatica non saremmo qui a parlare né a farci problemi, saremo tanti
automi egoisti che credono di vivere liberi mentre sono soggiogati dalla loro stessa Natura, e per di
più, non avremmo limiti verso niente, e l’avvento veloce di un Ordine Artificiale delle Cose sarebbe
inevitabile.

Perché continuare la propria esistenza se la nostra è una specie più che inutile e dannosa ai massimi livelli del consentito?
Ma l’Homo sapiens-sapiens è furbo. E’ da sempre stato furbo. E così, dopo aver evitato il
confronto con la Selezione Naturale, si è creata la bella storiella che noi siamo tutti figli di Dio, che
siamo superiori, che siamo parte di Dio e quindi dobbiamo continuare a generarci e a prolificare,
che la nostra vita è preziosa perché ce l’ha donata Dio...

Noi siamo solo un errore, un essere vigliacco, che decise in tempi remoti di instaurare un suo ordine per sopravvivere alla Selezione Naturale e scampare al Ciclo inevitabile della Vita e della Morte. Ma come ogni errore, porta dei frutti.

la cosa davvero brutale è che nella sua visione egocentrica della realtà empirica dei fatti, l'uomo vorrebbe
portarsi con sé l'intero Pianeta Terra e le creature tutte che lo abitano, distruggendo l’Armonia
primordiale dell’Ordine Naturale delle Cose e rimpiazzandolo con un fittizio Ordine Artificiale che
porterà sempre maggiori errori in maniera esponenziale fino ad un rovinoso punto di rottura in cui, fortunatamente, la Natura prevarrà di nuovo. Ma l’Ordine Naturale delle Cose parla da sé, e chi non riesce a vedere è perché non vuole vedere.

Come riuscire a credere di trovare armonia tra esseri umani e Natura, se non vi è armonia tra
esseri umani ed esseri umani, ed addirittura tra le componenti stesse che coesistono per tenere
in piedi i pilastri del nostro essere?
Questo semplicemente non ha alcun senso. Anzi, il senso è che l’Uomo ha troppo paura della
morte (individuale e collettiva) e troppo orgoglio per lasciarsi sopraffare dalle leggi realmente
inviolabili della Natura. E’ tristemente vero il detto “Come la Natura ci ha creati, la Natura ci
distrugge”. E non si tratta di voler fare il dio o altro, si tratta di accettare le cose per come
stanno, perché tutto quello che ci circonda, ricordiamoci, potrebbe cascarci addosso in un solo
attimo, e tutta la nostra convinzione di avere il controllo su tutto svanirebbe d’incanto assieme
alla nostra vita, come succede ogni attimo a migliaia di creature viventi.

L’Essere Umano in tempi remoti è divenuto cosciente di sé stesso e delle proprie azioni, ma non
doveva accadere, perché una volta che si è presa Coscienza, la Coscienza diviene Manipolatrice.
La Natura a volte compie degli sbagli, ma sa rimediare. Sa rimediare perché c’è la Selezione Naturale
a rendere giustizia, ma cosa accade quando un essere vivente, un errore, diviene così evoluto da scampare
a quest’ultima? Accade questo. Tutto quello che noi abbiamo etichettato come Storia. >>

giovedì 15 marzo 2012

<< Di temi ecologici non mi interessavo ancora. Ho già detto di come il mio sia stato più un approccio sociopolitico che ambientalista. Gli ecovillaggi, pure senza averne mai toccato uno con mano, rappresentavano a mio modo di vedere l'istantanea realizzazione delle utopie anarchiche. Anni dopo m'imbattei in un'interessante affermazione di Masanobu Fukuoka: "Bastano mille metri quadri a persona per arrivare all'autosufficienza alimentare e, se anche si dovessero ritoccare le cifre, il potere di questo pensare e lavorare "in piccolo" sarebbe più forte sia ideologicamente che operativamente di qualsiasi partito o organizzazione eversiva e per di più gestibile solamente "dal basso" senza lauree né diplomi. Perciò quella del filo di paglia è una via per abolire il capitalismo e appropriarsi dei mezzi di produzione senza passare per la stanza dei bottoni e in questo è veramente rivoluzionaria". Una frase che mi restituì il significato ultimo di quella lontana scintilla da cui tutto ebbe inizio. >>
da Devis Bonanni, "Pecoranera, un ragazzo che ha scelto di vivere nella natura", Marsilio 2012

P.S.  Attento che anche l'autoproduzione ha dei limiti: quanti siamo, cosa c'è il merito (economico e salutista) di coltivare? Nel mio villaggio siamo troppo pochi, io preferisco avere un po' più di verdura da vendere per poi comprarmi il riso integrale (e il miglio, il grano saraceno, etc...). Non ti consiglio di sforzarti a mangiare tutte le patate che produci!
Conosco un giovane in friuli che coltiva il suo orto. Magari ha iniziato col piglio cazzonesco di dimostrare qualcosa a tutti i suoi compaesani, e ne posso cogliere e scusare tutto l'impaccio dettato delle sproporzioni naturali dell'adolescenza. Magari troverà delle mediazioni dovesse mai imbarcarsi in progetti più dispendiosi (mai gli scappassero dei figli...).
Certo, quell'esperienza ha dei limiti: fare qualcosa non può che escludere l'interesse per il resto. Ma chissenefrega, anche si trovasse costretto a tornare a fare l'impiegato sarebbe comunque un contadino che "fa anche" l'impiegato, sarebbe un uomo che sa zappare la terra, che sa quanto costa la vita e che dunque la può apprezzare!
http://www.progettopecoranera.it/

mercoledì 14 marzo 2012

Senza condivisione culturale non c'è alternativa che tenga

Oggi in Italia ci sono diverse esperienze che cercano alternative ai problemi posti dalla modernità.
Alimentazione, agricoltura, economia... ogni campo ha stimolato nuove pratiche e scuole di pensiero, ciascuna delle quali rivendica la riscoperta d'un pezzo di realtà e la cui somma, in teoria, dovrebbe dare l'intero d'un possibile futuro.
Purtroppo una proposta complessiva stenta a prendere forma, anzi, a ben vedere le singole esperienze spesso si contraddicono a vicenda, facciamo un esempio: tra i prodotti biologici c'è anche la carne, che il vegetariano non mangerà mai, ovviamente, anche se poi magari consuma il miele, che però il salutista considera dannoso come lo zucchero, il quale viene riabilitato e commerciato se equo e solidale, e viaggia allegramente per i mari assieme a caffè e cioccolata... e gran consumo di petrolio, alla faccia di chi apprezza i prodotti a km 0!
Ciascuno si occupa del suo settore e non sembra sentirsi interpellato dalle altrui istanze. Manca il confronto, manca un collante. E non è la somma che basta, ma un di più che è il renderle sistema, la coerenza di una reale condivisione culturale.
Qui noi suggeriamo che questa condivisione sia possibile solo intorno ad un principio di forma. Potremo cioè metterci d'accordo su cosa serve davvero all'umano solo quando saremo in grado di riconoscerlo e rispettarlo per quella che è la sua reale fisiologia.
Non è anacronistico, non si vuole scoprire una nuova verità all'epoca in cui tutte le grandi Verità sono morte. La modernità ha emancipato gli individui dalle rigidezze della Verità, solo che non ha nulla per sostituirla che non sia il supermercato: l'individuo lasciato alla sua soggettività rischia di perdere ogni misura!
No, si tratta di rivendicare la realtà d'un corpo che viene prima di ogni ideologia. Una realtà accessibile a chiunque, in ragione della sua salute e relativa sincerità.

domenica 11 marzo 2012

alternative alla storia

La storia non è progresso e noi non stiamo costruendo alcunché. La nostra condizione ci rende schiavi, la debolezza ci omologa.
Il terzo mondo è schiavo, evidentemente e nella maniera più brutale, ma anche l'occidente è schiavo del suo consumismo. Non è bello a dirsi, suona politicamente scorretto ma qui ce ne freghiamo. Qui, alla constatazione della differenza, si va cercando l'analogia. Qui la vittima è sullo stesso piano del carnefice: erano in due e noi ci chiediamo perché abbiano scelto proprio quel gioco.
Certo, in democrazia siamo schiavi solo di noi stessi, ma la coercizione della nostra gabbia dorata sembra efficace quanto la miseria e la violenza per il mondo sfruttato. Nei nostri quartieri serpeggia un'inquietudine, come d'una velata colpa, che muove alcuni alla ricerca di alternative. Attenti, la proposta non può essere quella d'uno sforzo etico, uno sforzo di triste contrizione.
Il mondo nuovo non ha bisogno di altre facce tristi, non più almeno di quanto abbia bisogno di altre sanguinose rivoluzioni.