fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

lunedì 26 agosto 2013

Giardini d'infanzia

1° scena
Serata progettuale: una famiglia per bene vuole restaurarsi uno spazio adiacente alla
casa e trasformarlo in un giardino, adatto alla crescita della loro bambina. Sono le tre
di notte quando l'amico del mio compagno se ne va, sul tavolo una bella tavola a colori
illustra il progetto: quel mucchio di sterpaglie diventerà un prato verde con una
staccionata in legno, un gazebo, una vasca da tre metri con carpe koi... un piccolo
paradiso insomma, per qualunque bambino.
La sera dopo il mio compagno va a presentare il progetto alla mamma. La cliente gliel'ha
presentata una sua amica, maestra elementare, c'è anche lei alla riunione.
Al ritorno chiedo al mio compagno come è andata, e lui mi dice: bene dal punto di vista
tecnico bene, senza saperlo abbiamo indicato in progetto un gazebo che hanno già, coma
hanno la staccionata in legno e le pietre per il sentiero. Penso che non avremo problemi
a prendere il lavoro. Lo strano è la serata che ho passato... a presentare il progetto
negli spazi che la bambina di tre anni ci ha concesso, sai quella scenetta: adulti al
tavolo e bambina che arriva con la sua bambolina e si sente in diritto di interrompere
il discorso, al che la mamma parla come si parla ai bambini oggi, cioè le spiega in
termini razionali che noi siamo lì per lavorare, al che la bambina sparisce... per
ripresentarsi dopo trentasette secondi con un  altro giocattolo a cui segue una altro
discorsino razionale... Quando siamo andati via ho detto alla mia amica maestra che per
fortuna non avevo figli ma che se li avessi avuti e se si fossero comportati così... gli
avrei gentilmente staccato le orecchie! E lei mi dice: "i miei figli infatti così non
l'hanno mai fatto. Ma ti dirò di più, in questo momento all'Università di Torino, quando
hanno da fare dei test sui bambini, mi chiamano e vengono a farlo con i miei. Dicono che
con i miei ci riescono e con gli altri no, e sai perché? Perché semplicemente nelle mie
classi io non ho mai tollerato che i bambini parlassero uno sull'altro e ho sempre
proibito il dire volutamente delle stupidaggini."

2° scena
Penelope ha le unghie troppo lunghe, non vogliamo ancora ferrarla ma bisogna comunque
dargli una limata. Chiamiamo un maniscalco, donna, che arriva con marito uruguaiano e
figlio di venti mesi, tanto biondo da essere quasi bianco.
Questo, appena sceso dalla macchina, va a fare conoscenza coi cani: ha solo venti mesi
ma vediamo benissimo che sa come ci si presenta ad un cane. Subito dopo è attirato dalle
capre. Queste invece non accettano le presentazioni, al che si mette ad inseguirle per
il cortile: le caprette saranno anche solo nane ma, di fatto, risultano alte come lui! I
genitori guardano attenti ma non intervengono.
Quando tiriamo fuori la cavalla, la madre piglia il bambino, preventivamente, e lo
piazza tre metri più in là dicendogli semplicemente "stai lì". Penelope è una brava
cavallina, ma questa è comunque la prima volta che qualcuno traffica coi suoi piedi e
quindi c'è un po' di tensione nell'aria: il marito recita un mantra tranquillizzante per
cavalli in uruguaiano, il mio compagno la trattiene cercando di far valere la sua
autorità e lei, la cavallina, scopre subito lo scherzo tipico per il maniscalco, tu mi
alzi un piede e io mi appoggio, cioè ti scarico sopra tutto il mio gentil peso! La
maniscalca, indifferente, regge il gioco e continua l'operazione...
Alla fine mi giro ed il pargolo è ancora lì, perfettamente immobile, nel posto esatto
dove è stato posizionato.
Dico alla madre "ma non si è mosso di un millimetro!", e lei mi dice "ma certo, lui lo
sa che deve stare lì!"

venerdì 23 agosto 2013

Valdesi: il sinodo dell'autismo

Fin da bambino sentivo che se avessi dovuto prendere seriamente in considerazione la
questione della "fede" avrei corso il rischio di farlo appunto seriamente e, nella
versione protestante, a tu per tu con l'assoluto senza mediazioni di sorta, non avrei
certo avuto quei falsi pudori che annusavo nei correligionari: io, dio, lo sarei stato
davvero!
Perché questo è, nei fatti, il protestantesimo: vedere il mondo dal punto di vista di
dio e agire come tale. Non fare la pecorella, come ogni buon cattolico, ma fare il
pastore, prendere il posto del creatore o, perlomeno, sentirsi increati... Delirio di
onnipotenza? L'incomunicabile punto di vista di un autistico?
Questo a livello fondamentale poi, certo, il protestante in carne ed ossa deve darsi un
vestito un poco più rassicurante, una misura opportunista per stare in mezzo agli altri,
e magari profumarsi con due gocce di genialità... giusto per ripagare la società della
propria assenza umana.
A questo punto i miei correligionari direbbero che non ho fatto bene il catechismo
perché, se è vero che la rivoluzione protestante si scrolla di dosso le mediazioni del
prete e della chiesa, non necessariamente diventa nazismo o patologia psichiatrica. E
questo proprio perché resta la mediazione fondamentale: dio che si fa uomo, il figlio di
dio, il cristo e la storia di Gesù... A questo ribatto solo che l'essere ricchione mi ha
vaccinato precocemente: ho sempre avuto degli ideali maschili più dignitosi di quel
poveraccio che si fa fottere sulla croce!
Ma torniamo al protestantesimo e al suo ruolo nella genesi di questa modernità
globalizzata e del suo specifico soggetto, l'individualista. L'individualista è
semplicemente un individuo che per debolezza, se spogliato di quel senso di opportunismo
sociale e non premiato da particolari colpi di genio... arriva a corrispondere al
prodotto patologico  della chimica consumista e della famiglia anaffettiva: un bambino
autistico!
Quindi, se pur è vero che non è indispensabile esser stati protestanti per divenire
moderni, è certo che il protestantesimo non poteva produrre altro che modernità.

giovedì 22 agosto 2013

Protestantesimo sconosciuto

Se l'individualismo può essere inteso come la capacità di sopportare una situazione di
stress, il problema del protestantesimo è che l'ha invece preso come condizione normale
cui allevarci i bambini!
La vita moderna di una società industriale è il contesto materiale originato
dall'individualismo e, ovviamente, riproduttore dello stesso.
Il protestantesimo invece è una pura agenzia culturale che si occupa di generarlo,
quell'individualismo, di per se stesso e prima di ogni sua possibile concreta applicazione.
Pensate a tutti i paesi dell'europa settentrionale: lì si nasce e si muore
individualisti, anche senza bisogno d'essere capitani d'industria!


E' strano, per la mia biografia di protestante in un paese cattolico e per il mio
distacco critico dalla cultura famigliare, riconoscere ogni tanto un poco di nostalgia
per tutto ciò che odora di calvinismo, nostalgia per l'anaffettività... Eppure ai carcerati anche
questo succede, affezionarsi alla propria cella!
Ma il problema non è tanto la mia nostalgia, quanto invece il disinteresse e l'ignoranza per
il fenomeno protestante in cui tanti continuano ad ostinarsi, oggi, in Italia.
Mi sembra una voluta ignoranza, il rifiuto di scegliere tra modernità ed ecologia,
l'ambiguità di chi è ancora perso dietro a sogni di sviluppo sostenibile.

sabato 17 agosto 2013

Aggiornamenti dall'orto

Quest'anno l'orto sta dando buoni risultati, da un lato per la terra sempre più ricca,
dall'altro per essere rimasto senza concorrenza, qui in zona, per un periodo molto
piovoso che ha disturbato il momento degli impianti primaverili.
Al riguardo ricordo che qui stiamo usando due sistemi colturali per correggere i limiti
di un terreno argilloso: interro di legno (segatura, sfalcio, cortecce ramaglia
sottobosco...) ogni volta che si fa una nuova proda e, di conseguenza, sopraelevazione
delle radici delle piante dal piano dove in caso di pioggia annegherebbero.
La combinazione tra altezza dell'orto e processi di micorrizzazione, indotti dal legno
sotterrato, sta producendo ottimi risultati. I pomodori che vedete in foto sono riusciti
quest'anno a superare le virosi e ci hanno ancora una volta dimostrato che sui tempi
lunghi è più importante impegnarsi nel miglioramento della qualità del terreno piuttosto
che inseguire le singole malattie. Piante cresciute in condizioni ottimali non hanno
nulla da invidiare per qualità e quantità alle produzioni industriali. (Siamo stati
rallegrati da pomodori "cuore di bue" da 1 kg!)







Per chi è direttamente interessato a questi argomenti, per l'autoproduzione o per farne
una piccola attività, possiamo dare dei parametri anche economici.
Noi in questo momento forniamo settimanalmente un pacco di verdura assortita ad una
decina di nuclei famigliari, mentre gli esuberi vanno ad una ragazza che sta avviando
un'attività di rivendita nei mercati locali (anche lei ha l'orto ma tenete conto che per
"pagarsi una giornata" di mercato bisogna smerciare la verdura di almeno due o tre, se
non quattro orti come i nostri.
La dimensione dei mille metri quadri, vendendo la verdura ad una media di 1,30 euro, ci
rende annualmente intorno ai 3mila euro. Ma siamo certi che ulteriori miglioramenti del
terreno, l'integrazione di sabbia, l'uso costante di pacciamatura a paglia e a trifoglio
(il metodo Fukuoka), possano nei prossimi anni portarci fino a 5mila euro: un reddito
minimo ma sufficiente allo stile di vita a cui la campagna induce!

venerdì 9 agosto 2013

L'eterosessualità non esiste

L'eterosessualità della coppia biblica fonda il monoteismo occidentale sul tradimento
della dimensione sociale della specie umana.
Adamo ed Eva stanno di fronte al dio che li ha "creati", cioè li ha strappati al
riferimento collettivo del proprio genere sessuale. Sono soli, proprio come se fossero
davvero il primo uomo e la prima donna della Storia!




Potremmo dire che nella mentalità monoteista la Civiltà emerge in opposizione ad una
primitiva bestialità proprio in ragione di questo processo di individualizzazione.
E in questo senso il familismo e l'eterosessualità sono norma religiosa: nel
ricongiungimento con l'altra irriducibile parte della corporeità umana sta
l'allucinazione di ricomporre la divinità del proprio individualismo.
La Civiltà Eterosessuale è di per se stessa ingestibile ed inquinante. E l'eterosessualità
è "artificiosa" quando si incastra nella famiglia e si riproduce nell'individualismo:
uomini e donne persi in un perenne corteggiamento, che facilmente perdono
anche gli amici e, con essi, ogni misura di sé.
Non esiste l'eterosessualità... esistono solo uomini tristi, incapaci di stare con gli
altri uomini!

domenica 4 agosto 2013

Ragionando di ecovillaggi

Caro Antonio,

tu chiedi quali basi servano per una convivenza di gruppo, le economie certo devono
essere concrete e "sincere" (nel senso di basarsi sulle capacità personali e non su
privilegi acquisiti, di famiglia, titolo di studio etc.) e in quanto all'ideologia è
meglio fare bene attenzione che non se ne radichi alcuna per non rischiare di perdere il
realismo che mi sembra necessario per un'alternativa al vivere moderno.
Ma il problema vero è che quando arriviamo a constatare razionalmente che sarebbe più
ecologico vivere associati, spesso non siamo consapevoli delle nostre reali capacità
relazionali. Il problema vero è la nostra personale voglia di relazione che, in genere
nella modernità, è decisamente scarsa!
Allora, normalmente sono disponibili delle tipologie di relazione: il partner o gli
amici. Col partner si ha di solito un rapporto di intimità, con esso si prendono le
decisioni importanti della propria vita, si sceglie cosa mangiare e dove andare in
ferie, come educare i figli... Mentre l'amicizia conserva in genere una funzione di
sfogo, di gratuità, di "purezza": gli amici si frequentano per puro piacere ma, in
genere, non ci si va a vivere assieme, spesso si riservano degli ambiti autonomi e
circoscritti per i propri amici e per le attività ludiche attorno a cui ci si ritrova.
Ora, non penso assolutamente che la particolare intimità di una relazione di coppia sia
da buttare, né che nell'ecovillaggio del futuro siano da bandire le amicizie. Penso solo
che, oggi, la dimensione delle nostre personalità, e quindi la distanza che possiamo
permetterci fra gli uni e gli altri, sia più grande di quella che potrebbe legare un
gruppo di persone attorno ad un focolare.
In sostanza, una recondita forma sociale richiede il suo respiro ma noi, per le nostre
rigidezze, sappiamo rispondergli solo in modi spesso stereotipi, coppia o amicizia,
ciascuno dei quali mancante di qualcosa.
Attorno ad un focolare penso che si possa stare solo a condizione che ciascuno risponda
per sé. Questa è la differenza da una qualsiasi famiglia, gente che non si è scelta e
che ci costringe ad un grosso e inutile sforzo edipico per distaccarcene e poter
crescere. Rispondere per sé significa dunque un'adesione personale, ma a che cosa?
La scelta dello stile di vita mi sembra la cosa che può unire un gruppo, ma in una
logica in cui non si esprimano gusti personali (inevitabilmente divergenti) quanto
invece si ricerchi una comprensione della comune forma biologica, la forma della specie
umana, di ciò che gli serve fisiologicamente e del cibo più appropriato alla gestione
della sua salute e autonomia (e questo è invece un processo convergente!).
Non si tratta di formulare un codice di regole, ma di identificare un criterio che
permetta di ragionare su tutte le cose che compongono uno stile di vita,
un'elaborazione, questa, sempre viva e sempre potenzialmente ridiscutibile di fronte a
nuove esperienze personali.
Ma è qui il difficile, perché se uno mi dice, ad esempio, che lui latte e formaggi li
digerisce proprio bene e si sente in ottima forma... che posso dirgli io? Che si sbaglia
e che è ottenebrato dal suo stesso alimento, che si sta raccontando un sacco di palle e
che, cosa più grave, le sta contando a me ed io questo non lo posso accettare...?
E chi sono io per dirgli questo? Se non sono il suo partner che diritto ho io, "da
fuori", di dire che si sbaglia?
Per questo "non accettiamo coppie" nel senso che non vogliamo né possiamo fare "cose
serie" (come appunto parlare di convivenze ed ecovillaggi) con qualcuno che si riservi
per sé e all'interno di un'intimità di coppia la decisione capitale su cose tipo cosa
mangiare e come allevare i figli.
Allora mi sembra indispensabile individuare un fulcro centrale attorno al quale
inventarsi, o meglio, riscoprire un alternativo patto sociale "di branco" (un po' di
sana animalità a sostituire termini di progresso e civiltà...). E questo fulcro mi
sembra che non possa essere altro che la condivisione degli strumenti essenziali per
coltivare l'autonomia e la complessità della forma umana.
Attorno a questa "condivisione culturale" (e all'attivo e costante lavorìo per
ottenerla) possono allora starci tanto i singoli che vogliano cercare delle buone
ragioni per stare con gli altri, quanto delle coppie che riconoscano la loro
strutturazione come un limite e vogliano provare ad immaginare la loro relazionalità in
senso più duttile e complesso.
Buoni propositi per il futuro, questi. Ora come ora le persone che gravitano qua attorno
hanno un solo pregio: non si sono fatte prendere dall'ideologia e dal velleitarismo. Non
abbiamo fondato né una Comunità (che ruota attorno al rispetto di qualche
regola,idealistica o religiosa che sia) né una Comune (dove invece ci si trova nel senso
del "liberi tutti"... di andare dietro i propri gusti). Siamo semplicemente andati a
vivere vicino: tre insediamenti nel raggio di dieci km che si trovano nell'alimentazione
(sostanzialmente criteri macrobiotici) e collaborano lavorativamente (scambiandosi ore
di lavoro, competenze e attrezzature). Un gruppo di uomini che, per ragioni diverse,
sono arrivati a sperimentare una forma sociale del maschile, collaborativa e
spontaneamente conviviale.
Allora è proprio  abbandonando l'idea della centralità della coppia che è possibile
qualcosa di diverso. Sottraendosi alle aspettative delle proprie "mogli" gli uomini
possono guardarsi tra loro per provare a ricalibrare, in senso ecologico, il proprio
attivismo virile e sperimentare la propria capacità di prendersi cura di qualcosa di
vivo (un orto, un figlio, un compagno di lavoro, una tavolata da sfamare...).
Alternativo all'individualismo, il riferimento al proprio genere sessuale può già essere
un passo verso il recupero di complessità. In ogni caso l'elaborazione collettiva di una
maschilità ragionevole deve venire prima del gioco individuale delle relazioni (prima in
senso logico ma anche temporale se pensi al gruppo dei pari, quel gruppo di amici che
tradizionalmente si scioglie quando tutti si fanno la fidanzata e poi si sposano).
Purtroppo la nostra esperienza si limita a questo: scorgere che una "società degli
uomini" è possibile ed immaginarne il portato. Per le donne penso che sia analogo ma non
speculare, per la particolare conflittualità e per la voglia di gerarchia che le
caratterizza.
Per tutti, uomini e donne, è però analogo l'aiuto che può dare un riferimento
impersonale come quello della "condivisione culturale degli strumenti di autonomia": se
già stiamo assieme per una qualche ragione, allora poi siamo più rilassati per provare a
fare delle nostre relazioni qualcosa di più complesso del solito "noi contro al mondo".