fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

domenica 28 aprile 2013

Il Cuculo, un esempio naturalistico dell'individualismo e della sua riproduzione


Il pregio di avere una casa nei boschi è che dalle finestre si può spesso assistere a
spettacoli interessanti.
Come quella volta che la sagoma inconsueta di un uccello attira la nostra attenzione:
era un cuculo, un giovane, che nei rami bassi dietro la cucina svolastrava goffo, come
fanno tutti alla loro prima lezione di volo.
Lo assistevano i genitori adottivi, due cinciallegre, sfiancate sicuramente dalla dura
stagione di lavoro per nutrirlo ma evidentemente orgogliose del loro gigantesco
figliolo. Queste avevano chiamato parenti e amici a dare una mano. In tutto erano cinque
a fare il tifo perché quello si alzasse in volo...



Sono spettacoli che fanno riflettere. Provate ad immaginare la vita del cuculo. Salutati
i piccoli genitori passerà tutto l'anno per conto suo a farsi gli affari suoi (è ghiotto
di processionaria, quel bruco che infesta gli alberi). Solo a primavera qualcosa gli
verrà in mente e si metterà a sbraitare il suo "cucù" per tutti i boschi finché non
troverà compagnia.
Ma quando l'uovo è pronto da deporre, la cucula si guarderà attorno e cercherà un nido
"conveniente". Spesso cioè, almeno dalle informazioni che ho trovato, queste scelgono
la specie da cui sono state allevate producendo quindi un sorta di tradizione
famigliare.
Un altro dato interessante è la qualità di "figlio unico". Un riflesso nervoso
involontario si attiva poco dopo la schiusa: sfiorato sulla schiena fa uno scatto
indietro... Inevitabile dire che, uno alla volta, tutti i suoi fratellini verranno
catapultati giù dal nido, liberandogli la piazza! I genitori quindi, per un cuculo, non
sono che piccole entità premurose che s'affannano per la sua ipertrofia...
Che dire? Non c'è bisogno di spiegare la metafora: l'individualismo non ce lo siamo
inventati noi e il cuculo sembra illustrarcelo perfettamente.
In natura è difficile inventarsi qualcosa di radicalmente nuovo. Quando l'umano perde la
sua vocazione sociale non può che scivolare verso l'altro modello possibile:
se vogliamo fare la vita dei cuculi...

mercoledì 24 aprile 2013

Fotovoltaico nella Vauda

Sono stato, due giorni fa, ad una manifestazione contro la costruzione di un grosso 
impianto fotovoltaico a terra in un area protetta qui vicino (Riserva della Vauda)
Che tristezza, la giornata era piovosa ma non era la pioggia... era il tono sommesso, la 
debolezza della flebile protesta. Mentre tutti si guardava allo scempio dei 500mila 
pannelli che sarebbero venuti a coprire 70! ettari di terreno (dovremmo ovviamente 
vietare qualsiasi copertura del suolo fino a che ci sarà un angolo di tetto libero da 
qualche parte!), io guardavo il prato e pensavo "ma questa è già una tecnologia, sono 
pascoli,fieno e mais: tutto per la vacca sacra dell'allevamento".




Certo, è fortemente verosimile che dietro ci sia il solito intreccio di interessi, 
corruzione e tangenti, ma il punto non è questo. La debolezza della protesta stava nel 
non vedere l'evidenza di quel confronto di tecnologie.
"Difendere l'ambiente perché noi ci sentiamo ormai persi e che almeno si salvi lui", 
ecco questo mi sembra il mezzo ambientalismo che ci possiamo permettere quando non 
vediamo la sedia su cui siamo seduti.
Pensiamo di dover difendere l'ambiente dalla nostra presenza, facciamo appello ai nostri 
consimili di tirarsi via di lì, di smetterla di far danni... Spesso serve solo per 
pulirci la coscienza, ma comunque non basta.
Difendiamo il territorio con la nostra presenza, dovremmo invece dire. Opporre 
interessi agli interessi, non ideali. Questo sarebbe maggiormente efficace: l'ecologia 
si fa solo cambiando stile di vita. Possiamo fare tutte le leggi che vogliamo, ma le 
leggi regolano le nostre debolezze e i nostri limiti, non le nostre capacità di 
autonomia.
Ci va gente che torni a trovare interesse per il territorio e che possa dimostrare un 
modello di insediamento e sussistenza realistico. Ecco allora che il riconoscimento di 
questo vivere alternativo può rappresentare una richiesta politica legittima e 
culturalmente forte da contrapporre a questo come ai tanti altri tentativi di fottere 
l'ambiente e le risorse di tutti.



mercoledì 17 aprile 2013

Igiene personale


In un post precedente sulla spazzatura, abbiamo preso in esame lo stile di vita nella
produzione di rifiuti. Qui vorrei analizzare la produzione di rifiuti relativa
all'igiene personale.
Incominciamo con una considerazione di specie: siamo l'unico animale ad avere un intero
apparato tecnologico relativo alla pulizia del culo... tutti gli altri se la cavano
senza!
E' una mancanza di creatività, la nostra. I cani hanno col loro defecare un rapporto
molto complesso. Viviamo in un bosco, ma tutte le sere dobbiamo farci un giro per
consentire ai cani una "missione di caccia" che, tra le sue finalità, ha anche quella
non secondaria di svuotare gli intestini ad almeno 100 mt da casa, precauzione non
irrilevante per della cacca puzzolente di carnivoro. In certi anni abbiamo avuto anche 5
cani ma non abbiamo mai avuto feci in cortile. Altro discorso sono i cuccioli che,
finché tali, non la fanno in cortile ma, di preferenza, direttamente sul tappeto
persiano che c'è in soggiorno!
Le capre hanno un rapporto diverso con le loro deiezioni. Essendo le fatte dei pallini
della dimensione di un pisello, asciugano in fretta e finiscono per rappresentare un
ottimo giaciglio isolato dal terreno. Le capre non si fanno quindi alcun problema sul
dove cagare, ed infatti le fanno di preferenza sul marciapiedi davanti a casa dove amano
bivaccare.
L'altra erbivora del branco invece, Penelope la cavalla, ha deciso di non sporcare il
suo box (per la nostra gioia) e quindi esce sempre nel campo... se non piove. Ma tenete
presente che finché è stata qui con altre cinque cavalle la facevano, tutte e
indifferentemente, fuori e dentro. Così ora dobbiamo rinnovare l'impaglio al box solo una
volta al mese, con la produzione di un ottimo materiale per l'orto.
Alla fine devo ammettere di provare una certa vergogna nei loro confronti, per essere
l'unico qui che la risolve semplicistica: la fa in casa e poi tira l'acqua. Ma, al di là
dell'impianto idraulico, mi interessa qui la questione della carta igienica.



L'istituzione della carta igienica e la sua ovvietà, per i tempi moderni, dimostra
quanto ormai sia cosa rara, in realtà, la produzione di feci sane. Dove per "sane"
intendo che "non abbisognano di pulizia dopo il loro passaggio".
Perché se la carta igienica viene data ormai per scontata, lo è anche un'idea di umano
che produce cattivi odori. I piedi si sa, puzzano, lo stesso dicasi delle ascelle e, in
genere, del sudore. Quindi la doccia tutti i giorni e deodoranti, nelle più svariate
forme, e profumi.
Anch'io ho condiviso questi "pregiudizi" sull'umano e adottato quelle precauzioni
sociali, ed è stato con vero stupore che a 24 anni, cambiando radicalmente
alimentazione, mi sono accorto che potevo abbandonarli.
Togliendo insaccati, carne, latte e formaggi, i miei piedi hanno smesso di puzzare e
l'odore del sudore sparisce quando questo si asciuga. La frequenza dei lavacri è
diventata quasi stagionale: molti bagni estivi nella vasca delle carpe e qualche rara
doccia d'inverno, un pezzo archeologico di sapone di aleppo sul bordo del lavandino e
qualche goccia di shampo da un flacone che avrà già più di un anno... ed è finita lì. Se
invece la tua alimentazione è sbagliata, puoi lavarti fin che vuoi ma la puzza non te la
levi!
In merito a questo può essere interessante dotarsi di uno strumento di autodiagnosi del
repertorio culturale cinese, che lega gli odori alle condizioni degli organi interni
(vedi anche il post sull'autodiagnosi del volto).



Sull'igiene possiamo anche dare uno sguardo di genere. Ad un maschile puzzone ("il
maschio ha da puzzà" come dicono a Roma, risultato di un'alimentazione prevalentemente
carnea e sapida, che non si occupa dell'igiene della famiglia e non sa manovrare la
lavatrice) si contrappone un femminile ossessionato dall'igiene al punto da produrre
danni al sistema immunitario della prole. La disperazione delle donne per "il bianco più
bianco che non si può", le ossessioni sessuali di un gioco di coppia: questo è il "gioco
di genere" che mantiene una delle più inquinanti industrie del pianeta.
In conclusione, per qualunque animale l'igiene rappresenta la continuazione in proprio
delle cure della madre e non si è mai visto un animale avere una scarsa igiene, se non
costretto in una gabbia.
Probabilmente bisognerebbe lasciare ai bambini il diritto di decidere la gestione
dell'igiene, penso che funzionerebbe come per il camminare: ci arrivi anche se non te lo
insegnano!

domenica 14 aprile 2013

Agricoltura cistercense

Paradossalmente, molti che immaginano un ritorno alla natura, o addirittura 
l'ecovillaggio, in realtà hanno in mente "la grangia" dei cistercensi.
L'ordine religioso dei Cistercensi, da Citaux il luogo di fondazione della prima 
abbazia, nasce nel 1098 da una radicalizzazione di monaci benedettini che, richiamandosi 
ad un originario principio di operosità "ora et labora", si mette a cristianizzare l'ex 
impero romano fondando ovunque nuove abbazie ma soprattutto costruendo le "grange", 
nuclei produttivi agricoli che si avvalgono delle tecnologie più aggiornate dei tempi, 
tra cui l'uso massiccio della forza idraulica, per organizzare uno sfruttamento 
razionale del territorio. In queste unità produttive vivono i "conversi", laici che si 
aggregano all'ordine per un certo tempo o per la vita, e che lavorano in cambio di 
vitto e alloggio; a questi si aggiungeranno poi dei lavoratori salariati, in seguito 
alla forte espansione e al successo ottenuto dal modello per tutta l'europa.



Proviamo ad immaginare 20 giovani che rilevano un rustico e fanno vita comunitaria, 
hanno un mulino per la farina, un torchio per l'uva o per le olive, si fanno l'orto ed 
arano il campo con il cavallo, concimano solo con letame, allevano il maiale e qualche 
capra per farsi il formaggio... sarebbero un ecovillaggio? No, sarebbero solo una 
riedizione della grangia cistercense, anche rinunciando alla messa domenicale!
Questo per dire che al di là di ogni ideologia o, in questo caso, di religione che 
possa far da legame ad un gruppo di umani, la società viene fuori da ciò che si 
produce.



E le grange certo funzionavano, perché erano in grado di stravolgere l'economia di 
sussistenza ed ogni tipo di sedimentazione culturale precedente, cioè i piccoli cereali 
che non passando dal mulino consentono l'autoproduzione ed un forte grado di autonomia 
locale. C'erano, nella colonizzazione messa in atto dai cistercensi, indubbie valenze 
politiche: fermare l'eresia catara in primis, ma anche riconquistare un popolo ad una 
gerarchia religiosa fortemente screditata e stabilizzare una penetrazione cattolica 
nella aree marginali.
I cistercensi perdono gran parte del loro potere con l'avvento del protestantesimo, 
quando il monopolio della gestione territoriale comincia a scontrarsi con le esigenze 
di una nascente borghesia.
Scompaiono le abbazie ma restano i prodotti: olio, pane e vino, carne e formaggi... e 
con essi il tipo d'uomo che vi si alleva, ed il tipo di società che quell'uomo può 
costruire.


In questo senso  i cistercensi sono ancora tra noi. Accendete la radio e godetevi Fede 
e Tinto su radiodue a "Decanter" che passano ore intere a macinare pubblicità di vini, 
oppure apprezzate il Consiglio dei Ministri che sponsorizza l'olio della LILT, la Lega 
Italiana Lotta ai Tumori, o ancora considerate l'agricoltura biodinamica, dove i 
protestanti non hanno che raffinato il metodo di un'agricoltura fondata 
sull'allevamento e relativo letame.
Sono tutte tecnologie molto produttive, apparentemente, solo perché vanno a rispondere 
a necessità impellenti di un umano insoddisfatto, e non si contabilizzano mai i 
disastri che producono, sociali e sanitari. Per il pubblicitario il prodotto è sempre 
buono sano e onesto, è il "prodotto tipico" che in quest'italia non manca mai... Ma in 
tempi di crisi non possiamo più permetterci una scienza che asseconda le ragioni 
dell'impresa e del commercio, i prodotti vanno valutati per il loro apporto vitale e 
gravati di tasse "sanitarie" quelli insalubri, così come a terapie ed ospedali si 
preferirà una ben più economica prevenzione.
Vi faccio un esempio banale, se da noi venisse un ragazzo a dirci "voglio lavorare con 
voi", noi dovremmo "guardargli" in bocca perché, per fesso che sia riuscirà sempre a 
produrre quei due-trecento euro che gli servono al mese, ma sono le migliaia del conto 
di un dentista che non sapremmo dove prenderle! Non basta stare nella natura, dicci 
cosa vuoi produrre, dicci quanto ti serve guadagnare al mese, e non intendo per i tuoi 
sfizi ma solo per i tuoi limiti. "Quanto ti serve al mese" e quindi quale percentuale 
di fottitura dovrai tirar fuori dalla tua impresa e dal tuo prodotto, questo dovremo 
cominciare a chiederci in tempi di crisi.
Noi ad esempio, siamo diventati bravi con le melanzane: tra un mese ne metteremo 80 a 
dimora nell'orto, produrranno un ottimo raccolto come tutti gli anni... e ci porteranno 
dei soldi. Ma tutta l'acidità di questi bei frutti di solanacea diventerà malumore 
nella pancia di tanti, e questo è un costo sociale, una fottitura, grande o piccola che 
sia.
In conclusione, tornare a popolare il nostro territorio col modello cistercense 
significa continuare a far finta che la fottitura non esista. I cistercensi hanno 
colonizzato l'europa coi sacri simboli dell'olio del pane e del vino, e con la 
materialità di quelle redditizie monocolture. L'uso del pane ha sconfitto l'autonomia 
del miglio e ha reso l'agricoltore tassabile tramite il mulino, e non è stato un 
episodio marginale della storia, vista l'enorme quantità di mulini presente sul 
territorio in quell'epoca. Con la vite e con l'industria del vino si è diffusa nella 
popolazione un'abitudine dannosa per la salute. Con l'allevamento industriale abbiamo  
eletto la carne, da occasionale integrazione in una dieta cerealicola, a vero e proprio 
stile di vita!
In questa cascina possiamo essere soddisfatti del rapporto energetico tra legno e 
riscaldamento, buona parte del riscaldamento di quest'inverno è venuto dalla semplice 
pulizia dei boschi. Ma la produzione dell'orto ci sembra sana solo in parte: certo noi 
non facciamo che assecondare la richiesta dei nostri clienti, sono proprio loro a 
preferire le melanzane a più salubri cipolle e carote...
In previsione di un cambiamento diventa urgente incontrarsi per valutare qual'è il 
"tasso di fottitura" che possiamo socialmente permetterci. In questo caso la crisi può 
rivelarsi positiva.
Mi spiace di non essere più stato in grado di rintracciarlo, ma solo poco tempo fa ho 
visto un grafico della diffusione del cancro nel 1900 in Italia: una linea in costante 
crescita, ma che aveva sul suo percorso un solo picco negativo, corrispondente agli 
anni '44-'45, gli anni in cui gli italiani avevano mangiato di meno!



martedì 9 aprile 2013

Scelte di vita


Ciao,

sono Roberto, ragazzo di 25 anni, tesserato fresco ad ottobre e non ho mai
avuto esperienze di vita da WWOOFer o in campagna.
Mi spiego meglio: vengo da una realtà paesana dove ho sempre passato
l'infanzia in giro per le campagne in provincia di Cagliari.
Trasferitomi prima a Cagliari per il liceo, e poi a Milano per l'università,
dopo essermi laureato in giurisprudenza a dicembre sento che la strada che
vorrei percorrere è quella di un ritorno in campagna. E' da più di un anno
che mi sono avvicinato al tema della sostenibilità, leggendo di ecovillaggi,
agricoltura singergica, Fukuoka e permacultura.
Quello che vorrei fare è di concedermi un periodo di apprendimento e di
conoscenza delle realtà che lavorano con questi metodi, perchè il mio sogno
è di tornare un giorno in Sardegna dove applicare quello che imparerò in
questi anni, e di riscattare la società contadina che nella mia terra sta
morendo soggiogata dalle esigenze monocolturali di gestione del territorio,
sottomessa dai prezzi che il mercato consumistico impone. E' quello che
vedo anche nell'uliveto di famiglia, con piante che se non vengono potate
e trattate con gli insetticidi (anche se pochi), terra che se non viene
zappata e concimata, non si ottiene un raccolto che una volta venduto,
quando ci va bene, è a mala pena sufficiente per ripagare il lavoro
manuale delle persone che ci aiutano (...)
Ho letto più o meno tutto il vostro blog... ma siete sociologi o qualcosa
del genere?


Caro Roberto,

mi diverte pensare che per te potremmo essere dei sociologi. In questi anni ho spesso pensato ("spesso" è troppo, diciamo "ognitanto") a quel che ero, nel senso tradizionale cioè professionale del termine. Poi la domanda s'è spenta da sola, col tempo e con la miscellanea delle cose fatte. Quando leggi il post sulla saldatura, beh mi sento un po' un fabbro e questa, giuro, non era una delle aspettative che mi giravano nella testa da ragazzino. Sono orgoglioso dei miei serramenti come della cascina e delle persone che mi vogliono bene. Non saprei come definirmi, oggi. Se penso ai soldi, all'autonomia economica voglio dire, il mio curriculum è stato lasciare dopo due anni la facoltà di veterinaria e darmi a pedagogia... salvo poi lasciare anche quella per affannosa intemperanza giovanile e trovarmi sempre un lavoro sociale, sì, ma che avrei potuto fare con la terza media! Oggi ho il culo di essere da anni un dipendente comunale, privilegiato da un godutissimo partime che è quasi un diversivo: tre turni la settimana, giusto l'occasione di vedere qualcun'altro, fare le spese e due commissioni in città... Se però questa fosse la mia unica dimensione, mi sarei già rotto la testa contro il muro!
Per quel che riguarda veterinaria invece, per un po' di tempo l'ho rimossa dalla testa assieme ai sensi di colpa verso i miei genitori, che pure mi avevano lasciato libero di scegliere gli studi che più mi parevano, o alla paura di aver fatto una cazzata a lasciarla. Poi ad un certo punto mi sono guardato attorno e ho sorriso vedendo tutte le bestie con cui divido le miei giornate in questo piccolo villaggio nei boschi. La ricchezza della loro compagnia e la complessità sociale di cui mi danno esempio sono tesori che mi sarei probabilmente perso nella posizione del professionista-veterinario, mentre così sostengono attivamente la ricerca di questo blog attorno al concetto di forma e salute.

Diciamo che l'ansia identitaria si spegne proprio quando uno si trova in condizione di poter esigere riconoscimento (reale e non soltanto formale) in più campi. Penso allora che una volta era la norma fare tante più cose di oggi, contadini operai artigiani, e che lo si poteva per un livello di salute e vitalità che oggi neanche ci immaginiamo. La mia esperienza personale, atipica, è stato riscoprire un corpo e le sue capacità grazie alla cura dell'alimentazione e dello stile di vita. Riscoprendo questo ho anche idea quindi della dimensione mentale di quelle generazioni che ci hanno preceduto o anche di gente che abbiamo attorno oggi, come i rumeni o i cinesi o quanti altri si sbattono tutti i giorni per le loro nutrite e industriose famiglie.
Ma il familismo è una rigidezza e la vitalità che questi stranieri ancora dimostrano, la dimostrano "nonostante" quel peso sociale: stanno facendo quanto facevamo noi negli anni cinquanta, il loro è un percorso che già conosciamo (per chi vuole riconoscerlo). Non possiamo fare altrettanto, l'italia è postmoderna, la famiglia è già morta una volta. Dobbiamo ripensarla, reinventarci un nucleo sociale cui riferire i nostri sforzi quotidiani e le nostre ore di lavoro, perché questa sì mi sembra essere una caratteristica invariante del maschio adulto: lavoro volentieri se so per cosa o per chi lo faccio, se invece fosse solo per me...

In sostanza mi sembra che tu abbia degli strumenti che non è utile per nessuno che tu lasci per la strada. Un consulente legale può sempre servire, anche in campagna, anche in un ecovillaggio. Sicuramente possono servire i soldi che può tirar su! Investi minimamente nell'avviarti all'esercizio della tua professione, fatti un po' di esperienza e indaga una di quelle geografie professionali che stanno un po' discoste, dovete ammetterlo, dalla vita della gente comune.
Non c'è da far carriera per se stessa, c'è da ingegnarsi opportunisticamente con quello che si ha. Intanto nessuno vieta ad un avvocato in erba di abitare fuori città e di passare il tempo come e con chi vuole. Importante è trovare con chi farlo e questa, mi sembra, è la questione centrale: la dimensione sociale è la sola che può evitarci di caricare la nostra vita di eccessivo "professionismo".
I ruoli sociali acquistano senso quando sono riferiti ad un insieme di cui sanno quale parte rappresentano, nella dimensione individualista invece è inevitabile che si riducano a fattore identitario: il proprio successo, una definizione certa e inequivocabile di noi stessi.

Mi sembra una forzatura che ti si imponga di scegliere tra il contadino e l'avvocato, anche perché pure il contadino, se fatto come professione, rischia sempre di perdere misura e fare i danni di un'impresa. Il contadino come ruolo sociale non ha da essere: e perché mai gli altri dovrebbero perdersi la ricchezza e la soddisfazione di guadagnarsi la pagnotta sui campi... o dovrebbero, per dire meglio, arrogarsi il diritto di scappare dalla fatica del lavoro fisico?
Perché dobbiamo ritenere che l'avvocato non si sposi al contadino? Se è solo una questione di muscoli allora  è proprio ad un sedentario che serve l'attività fisica e pratica, ma che sia reale e non solo per hobby o per sport. Certo che un contadino, visto che è già allenato, può fare anche il muratore o l'operaio, ma forse gli farebbe meglio, per la schiena come per lo spirito, coltivare altri interessi e darsi alla ricerca culturale.
La cultura è semplicemente la capacità di muoversi tra le informazioni e cavarne ciò che serve: è uno strumento utile quanto la zappa ma, forse più della zappa, è anche facile a trasformarsi in segno di privilegio ed arroganza!

venerdì 5 aprile 2013

La turca

Brava Donatella, hai ragione sul bagno alla turca (vedi il post sulla sedia), come fai 
a sapere che in casa siamo anche dotati della turca?





E' stata invero una scelta architettonica che ha riscosso uno scarso gradimento. Molti
dei wwoofer che sono venuti l'altro anno hanno infatti preferito un regolare water che
abbiamo in un altro locale.
Se sulla sedia si può discutere... sulla turca no! Scoprire le recondite ragioni che ci
hanno portato all'uso collettivo di cagare seduti richiederebbe un trattato, non un
post!
E' assolutamente evidente che la posizione fisiologica per defecare è accovacciarsi.
Mentre lo star seduti sulla tazza è correlato al passarci del tempo, come se la
condizione della stitichezza fosse la norma.
Esiste un libro di un inglese, un entomologo che a suo tempo si è appassionato alla
casa tradizionale giapponese (Morse Edward S., La casa giapponese, bur), che illustra
non solo il buco nel pavimento di legno ma anche una sorta di manubrio posto davanti al
buco che consentiva l'appiglio all'antico giapponese.
Una turca con un rubinetto di fianco che sostituisce il bidet, possibilmente in
adiacenza ad una finestra e ad una porzione di cielo, ci sembra una tecnologia
essenziale e dignitosa ma, con l'esperienza, abbiamo anche visto quanto poco sia
gradita.
L'obiezione può essere "e i vecchi?" Ma con l'epoca tecnologica in cui siamo, che
problema c'è a mettere un asse da seduta ribaltabile sopra la turca stessa, quattro
tasselli nel muro?