fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

martedì 31 dicembre 2013

Dell'inizio e della fine


La civiltà dell'individualismo è iniziata
quando ci siamo rassegnati a vivere con degli sconosciuti.
Forse potrebbe concludersi quando si ricominciasse a cercare l'intimità,
a pretendere di raggiungere l’intimità come normale livello di relazione:
l’intimità, la fiducia, la reciproca disponibilità a ricondursi costantemente
al realismo di una vita onesta.
Ma questo patto di realismo è possibile
solo grazie alla condivisione di una cultura riferita alla forma della specie,
alla condivisione di uno stile di vita e di un’alimentazione tesi alla salute e all’autonomia,
e quindi la composizione di una stessa chimica, una comunanza di corpi e di odori…

forse di spiriti!

giovedì 26 dicembre 2013

Rivoluzione ecologista?


La civiltà ci alleva ad un ordine mentale romanzesco, al bisogno di sentirsi partecipi di una storia, e questo si riflette anche nella religione (la storia della salvezza) come nell'ideologia (il successo individualista o la lotta di classe, la liberazione).

Questo mi fa pensare che non sia lecito rappresentarci una qualche futura fine della civiltà. Abbiamo visto che la modernità va riassorbita e che si può uscire dalla storia, la civiltà allora può forse solo essere sopita, non debellata ma messa da parte,  senza mai dimenticarne il pericolo, sempre latente, insito nei nostri limiti.

Dobbiamo cambiare immaginario. In un proposito ecologico non c'è lotta politica, non c'è storia della liberazione e non c'è promessa di salvezza. Nel riferirsi alla sua forma, l'umano può solo trovare modo per scendere da quei treni in corsa... e tornare ad occuparsi della sua vita.

domenica 22 dicembre 2013

La resurrezione è fantascienza!





Se la modernità è una religione,
la fede nella scienza corrisponde
alla fede nella resurrezione.
Così l'esercizio letterario che la circonda,
la fantascienza,
corrisponde alla pluralità dei vangeli
e al sottobosco degli apocrifi.

Fuori dalla realtà... tutto si assomiglia!


mercoledì 18 dicembre 2013

La famiglia felice




Lui e lei si fanno casa. In apparenza la dimostrazione della validità dell’individualismo. Lei è contenta della virilità del marito che le ha regalato un bel nido.
In realtà lui si è fatto aiutare dal rumeno di turno, dall’uomo di fatica come dal progettista. Ma la sera lui non li invita nel letto di sua moglie… non possono avere quella pretesa, li ha già pagati, e magari i soldi non erano neppure i suoi, ma dei genitori!
Poi lei si è fatta ingravidare, ma non perché ha maturato un sano desiderio di maternità, che potrebbe gestire col suo gruppo femminile facendosi aiutare da madre sorelle e amiche, ma all’opposto, per emanciparsene, ecco perché viene fuori tutto ‘sto bisogno di case! Poi lei guarderà la sua bambina e le dirà sei una principessa, con questo intendendo sei una troia e farai carriera… ma fuori di qua!
Questo è la struttura attuale delle società di genere. Siamo una specie sociale e socialmente elaboriamo i nostri comportamenti. L’individualismo è solo un falso ideologico, un insincero fermarsi all’apparenza delle cose, perché fa comodo, per debolezza. Queste sono le dinamiche realmente in atto, il problema è solo esplicitarle e decidere cosa farne.
Ancestralmente la spontanea convivialità maschile fa il gruppo, ma questo costringe le donne del gruppo a stare assieme forzando la loro tendenza disaggregante in una gerarchia propriamente matriarcale, di potere femminile. Quando però la grande madre cede, allora vince la dispersione: ogni donna si accaparra un uomo e se lo porta gelosa un po’ più in là. Da qui in avanti, se gli uomini non sanno opporvisi perché può essere venuto meno anche il fattore maschile, aggregante, cioè l’esecrato desiderio omosessuale, ecco la frittata è fatta, voilà la Civiltà!

Ora questi, aggregazione-dispersione (vedi il post “Maschio e femmina” dove abbiamo smascherato lo stereotipo, anche scientifico, riguardo a spermatozoi e ovulo), sono due tasti a disposizione della specie, ciascuno pertinente ad un fattore ambientale diverso (c’è un mondo da popolare, oppure c’è da attuare un controllo demografico), la complessità in questo caso sarebbe il contemplarli entrambi nelle nostre valutazioni e gestirli, invece che farsene gestire.

venerdì 13 dicembre 2013

Pericolo populista

Con le ultime affermazioni di Grillo, la pretesa di un reddito di cittadinanza, il movimento cinque stelle sta mostrando il suo volto populista. Vediamo di capire perché.
Fino ad un certo punto le nazioni industrializzate si sviluppano sfruttando le proprie energie. E' vero che le materie prime continuiamo a rubarle al terzo mondo però, perlomeno nella trasformazione, un po' di lavoro lo mettiamo anche noi. Un po' di ricchezza che il capitalista si porta a casa col solito gioco: il proletariato non tesaurizza nulla e restituisce l'intero stipendio nel ciclo consumista.
Se fino a quel certo punto l'impresa investe sul suolo nazionale è perché lo trova ancora conveniente. Ma il conto si complica perché nel frattempo si moltiplicano altri lavori, e questi evidentemente non produttivi ma "di privilegio", redistributivi: terziario, burocrazia, certificazioni, tecnici di qualunque specialità e servizi di dubbia utilità ma indispensabili... per impiegare tutta 'sta gioventù che abbiamo fatto studiare!
Fatto sta che ormai, anche se è diventato impossibile distinguere, tra i lavori,  cosa renda e cosa no, l'impresa i suoi conti li ha fatti e ha deciso di delocalizzare.
Quel certo punto è stato superato. Mediamente, in Italia, il lavoro non è più produttivo, e questo ci pone senza ambiguità dalla parte del privilegio, dalla parte degli sfruttatori dell'ambiente e del lavoro altrui.
Decade ogni sorta di autogiustificazione, la sinistra non può più pretendere di rappresentare gli sfruttati e sarebbe, finalmente, la volta buona di smascherare la vera fonte delle nostre economie: non l'onesto frutto del lavoro ma... la fottitura!
E di questo Grillo mi sembra consapevole, il problema sono le conclusioni che trae: viviamo di rapina? Bene, spartiamo il bottino!
Questo soltanto può significare un reddito di cittadinanza: una consapevole associazione a delinquere che pretende di spartire il bottino!
Leggetela un po' come volete, ma questa è l'atmosfera che si respira in Italia. Berlusconi e Grillo si trovano nel dare per scontata la fottitura, imboniscono masse già consapevoli del fottere e, tutti assieme, potremmo a breve iniziare a pretendere esplicitamente la fottitura, a richiedere alla nazione uno sforzo imperialista...

giovedì 12 dicembre 2013

Masochismo d'impresa

C'è un'impresa liberista, quella della cazzoneria individualista, sempre tesa a corteggiare le idiozie del mercato, è quella del modello teorico: domanda e offerta, selezione naturale ed espansività illimitata.
Poi si potrebbe tentare di descrivere un'alternativa socialista: equilibrio retributivo e creatività su prodotti sensati...
Ma qui da noi, in Italia, a voler descrivere l'attività economica in termini sessuali, se ne potrebbe identificare un terzo tipo: l'impresa masochista!




Pagare una partita iva come reazione ad un'insicurezza sociale, chi sono? sono un imprenditore!
Bisogno di essere sempre sotto pressione per lavorare, e malvolentieri, aspetto di essere in ritardo, così poi corro!
L'inevitabile tendenza a chiedere aiuto e tirare nella merda i soccorritori, c'è lavoro... tutti assunti.
E infine impiccarsi di debiti e stupirsi sempre, quella volta l'anno, quando arriva la cartella esattoriale!

domenica 8 dicembre 2013

La natura della droga

La modernità è un peso che ci spartiamo tutti quanti, una tensione cui nessuno può dirsi esente.
La risposta a questo carico si chiama droga, chimica ovviamente  ma anche alimentare (il caffè, lo zucchero, l'alcool...) o persino comportamentale (ritualità religiosa, fruizione televisiva, sport, gioco d'azzardo...).
Ho sempre il sospetto quando sento qualcuno parlare moralmente di droga (quella che ho appena lasciato, quella da cui vorrei tanto staccarmi, quella degli altri...), il sospetto che, tappata una falla, se ne apra inevitabilmente un'altra, magari solo meno appariscente ma forse più deleteria ancora.
Il problema è ovviamente male impostato, se usiamo la stupidità di un criterio morale: i devoti continueranno a farsi senza ammetterlo, mentre per gli emancipati ormai è la droga  il Bene... e di largo consumo!




No, farsi di qualcosa è semplicemente uno strumento che ci è possibile: trasformarsi, compensare, sopportare... uno sforzo in ogni caso, una risposta alle incongruenze della vita che facciamo.
Avrei paura di una generazione "che non si droga", dove mai potrebbe mettere quella tensione? In realtà continuiamo tutti a farci e di qualunque cosa, ma è la percezione dell'intera questione che può venir meno: drogarsi non è più un fenomeno importante, non è più un fenomeno, un'oggetto di attenzione...
I sintomi invece sono segnali che vanno rispettati e ascoltati. Proibire è semplice, ma non fa altro che ributtarci direttamente nel mondo del fottere e della delinquenza. Il difficile è ammettere: ammettere a noi stessi quello che stiamo facendo,  in primo luogo, e poi ammettere ed indagare la natura della "falla" di umanità che l'origina.
Già Freud parlava del disagio della civiltà: noi, semplicemente,  non si ritiene inevitabile quel disagio ne' quella civiltà!

lunedì 2 dicembre 2013

Circolarità

<< La modernità laicista e tecno-scientista, quella che ha dato il colpo di grazia al Dio cristiano – quanto meno a livello sociologico, fatta salva l’individualità della scelta di fede – pure ne ha conservato in vita l’eredità più coercitiva, ovvero la nozione di tempo lineare. Non è più la Provvidenza a guidare i nostri passi, bensì il Progresso. Che non va verso Dio, oramai defunto, anzi non sa proprio in che direzione andare. Va e basta. Il suo è un andamento – apparentemente – rettilineo. Procedere innanzi, sempre innanzi è la parola d’ordine della téchne, della legge dell’utile e del profitto che scandisce le opere e i giorni della nostra quotidianità sociale. Produci, consuma, crepa: ma non chiederti perché. È superfluo.
È opinione comune che la dimensione del “mistico” si collochi in un al di là inarrivabile alla maggior parte di noi, in una sorta di regno fatato in cui si trastullano santi monaci e matti da legare. Eppure, a ben guardare, è qui, è sempre stato davanti ai nostri occhi. È nel presente. E se provassimo a mettere a tacere per un po’ la nostra filodiffusione mentale, finiremmo col prestargli ascolto. Ma parliamo troppo – io per primo – e abbiamo dimenticato come si ascolta. Chi non sa ascoltare non sa dialogare. Non si connette, non si “volge in giro”, va per la tangente. E la sfericità del Tutto non ammette scorciatoie.
L’ipotesi di un tempo esistenziale ad anello, ad esempio, ci costringerebbe a ripensare – in sede di analisi autobiografica – la comune nozione di “senso di colpa” relativa al nostro passato, o di “ansia di prestazione” volta al futuro.
Se il tempo è circolare, come canta Zarathustra, tutto quello che stiamo vivendo ora, lo abbiamo già vissuto e tornerà in eterno sempre identico a se stesso. Non abbiamo alcun peccato originale da espiare, nessuna meta da raggiungere, salvo l’essere presenti a noi stessi. Torniamo ad essere innocenti come bambini, creativi coi colori che abbiamo dentro, puri con tutto il nostro bagaglio di ricordi, quieti con il nostro travaglio. >>





Caro Francesco,
è con piacere che ospito il tuo intervento perché mi aiuta a presentare un tema che mi sta molto a cuore: la circolarità, che è la grande assente nel panorama mentale della modernità, lanciata com’è nella sua folle corsa, appunto lineare ed autodistruttiva.
Mi fa piacere condividere un’impostazione realistica, perché è l’impostazione che conta: immagina quanti inutili sforzi mentali sono stati invece spesi nel cercare un senso dove il senso non c’è per definizione, laddove nella direzione materiale di una freccia si riassume anche ogni suo significato esistenziale…
Apprezzo il pragmatismo della tua offerta professionale, una consulenza filosofica servirebbe a moltissimi nostri contemporanei, forse anche un TSO filosofico non guasterebbe (Trattamento Sanitario Obbligatorio… la camicia di forza!). Tu ci avrai messo, immagino, interesse e vocazione, io mi sono messo a studiare un po’ di filosofia solo perché mi serviva per parlare di ecologia e di stili di vita, ma fa lo stesso. Tutti decidiamo i nostri comportamenti in base a qualche criterio, si tratta solo di renderli espliciti per poterci ragionare su onestamente. Nel desiderio di questo confronto, a mio parere, sta la natura sociale della nostra specie.

Spero vorrai aiutarci anche tu nello sforzo di una continua revisione, di un controllo tecnico e specialistico, dei percorsi mentali che stiamo qui cercando di solcare. In cambio troverai sicuramente molto materiale attorno alla pratica della cura di sé che spero potrà esserti utile.