fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

lunedì 1 aprile 2024

Capire la debolezza per formulare un'alternativa al regime transumanista

 Salutisticamente consideriamo la debolezza una condizione limite prodotta dalla modernità e dalla quale prendere le distanze con pratiche virtuose.

Se ci chiediamo invece il senso del parametro debolezza nel sistema vivente siamo portati a cercarne una funzione positiva (costituente del sistema stesso, un po' come rigidezza ed elasticità sono le componenti dialettiche della consistenza di una materiale).

Paragoniamo ad esempio formica e grillo (la cicala ci svierebbe verso considerazioni morali sull'operosità che qui non ci interessano). La singola formica è molto debole e non solo sotto la suola delle nostre scarpe ma in quanto parzialità e specializzazione (il singolo individuo non si riproduce e non può vivere senza gli altri perché i corpi sono segnati da ruoli sociali molto diversi). In compenso l'intero formicaio è molto forte e tutti sanno che è impossibile liberarsene la cucina appena arriva la primavera... Se invece prendiamo il grillo il singolo individuo è grosso modo completo perché determinato solo nelle sue due varianti di genere: grillo e grilla si somigliano pure ed ognuno di loro nel riprodursi partecipa direttamente alla sopravvivenza della specie. E' l'individuo ad essere molto forte in questo caso, "sa far tutto", si industria una vita autonoma e si spartisce il territorio scavando le sue tipiche tane nei prati e relativi concerti estivi. La specie è più "debole" perché, in teoria, individuando i singolo buchi ed eliminando i singoli grilli potrei arrivare ad estinguere la grillitudine dal mio metro quadro di prato... e fare finalmente un po' di silenzio!

Ci arrivate da soli o devo suggerirvelo io che l'intera società industriale somiglia al formicaio e che invece la figura del grillo descrive meglio l'individuo di un qualunque gruppo di cacciatori-raccoglitori ancora sopravvivente in qualche angolo del pianeta? Così possiamo definire intrinsecamente più debole, perché specializzato e dipendente, l'individuo urbanizzato della società industriale a confronto con un più autonomo eclettico e resiliente individuo agreste.

Dobbiamo considerarli paritetici, sono due strategie di sopravvivenza egualmente rappresentate in natura, non dobbiamo valutarle moralmente per sceglierne una. Certo oggi tendiamo a considerarle ai loro estremi: la poesia delle culture tribali che cantano i loro melanconici addii nei documentari su Netflix, di contro all'abiezione della modernità che li sta schiacciando!

In realtà è proprio la fragilità sociale dei tribali che permette alla cieca insensibilità dei "civilizzati" di dilagare imperialisticamente. Così come per onestà dobbiamo ammettere che le grandi civiltà agricole del passato sono state possibili anche senza l'inquinamento della chimica e del petrolio.

Spesso poi l'esperienza di sé come individuo forte o debole rispetto alla società lo vediamo alternarsi durante il corso stesso della vita: un bambino è un individuo forte al centro della considerazione della sua famiglia e casa sua è il centro del mondo; la vita adulta poi ti porta fuori casa, piccolo individuo fra tanti, la scuola ti specializza, occuparti di qualcuno o diventare genitore ti limita e ti costringe ad un ruolo; poi infine l'anziano che sia riuscito a tenersi sano può tornare a considerarsi forte cioè indipendente, libero dalle precedenti responsabilità, guarda caso a molti viene in mente di tornare al paese e farsi l'orto...

Oggi assistiamo ad una quasi guerra civile che vede contrapporsi un montante regime di tutela e dipendenza di contro alla riscoperta dei valori dell'autonomia e dell'attenzione a forma e salute. Questo discorso sulla debolezza ci può far capire che sono appunto possibili e legittime due soggettività e che queste devono: ciascuna trovare il modo migliore di realizzarsi e, assieme, il modo migliore di armonizzarsi in una comunità umana organica e non contrappositiva.

La prima riflessione che mi viene in merito è che le due parti non sono speculari e simmetriche: l'una è generativa e centrale, l'altra è accessoria. Ogni "agreste" per quanto sano si coltivi può sempre rompersi una gamba ed aver bisogno di un centro specializzato, mentre nessuno, che sia "urbanizzato" proprio per fornire quei servizi, può però rivendicare di farci la vita intera in quella città. I figli si allevano in campagna, la roba che mangi viene dai tuoi parenti in provincia e da vecchio probabilmente ti verrà voglia di tornarci.

E allora? E allora vuole semplicemente dire che si applica al tema lo stesso ragionamento che dovremmo fare sul cibo: tra i due criteri possibili per scegliere cosa mangiare (cioè il gusto o l'effetto che fa un certo alimento) abbiamo da anteporre un principio all'altro e non l'inverso. Così sul cibo uno è il caso dei più che si fanno male affidandosi al gusto senza curarsi degli effetti nefasti che quelle scelte gli provocano, mentre più ragionevole  risulta certo fare l'inverso cioè prima riempire la dispensa con cibi sani e ragionati e poi ogni giorno scegliere con gusto ed istinto!

Ed allora sul dove vivere si può fare l'analogo ragionamento: non è sana una civiltà urbana che sfrutta il territorio circostante solo come fonte di cibo o magari di svago; è sana invece una civiltà agreste che arriva a dotarsi degli strumenti tecnici e culturali di cui ha bisogno e che le interessano per i fini che è lei stessa a dover dettare.

Per riassumere: la cultura e la specializzazione tecnica non possono che essere riferiti ai fini della coltivazione della specie altrimenti, fini a se stesse, diventano semplicemente mostruose cioè "fuori della forma" della nostra umanità e ai limiti della vita, mortifere.