fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

venerdì 23 marzo 2012

Debolezza: la genesi del potere


Cara sinistra,
lo so che sei sensibile al discorso della forma. Da un lato giustamente mi ricordi l'eugenetica nazista: era per costruire un uomo nuovo, per plasmarne la forma, che nei lager si eliminava il difforme. Dall'altro lato però non puoi permetterti di affrontare esplicitamente il discorso perché l'idea d'una forma di riferimento non è compatibile coi propositi edonisti che nascono, inevitabilmente sembra, dovunque degli ex sfruttati assurgono a nuove avanguardie del progresso.
E' vero che i totalitarismi sono spesso stati l'espressione estrema di un potere che si esercita sulla forma. Si comincia col potere sovrano sulla vita e sulla morte dei propri sudditi e si arriva fino ad identificare un multiforme "biopotere" come somma di tutte le agenzie che s'occupano o anche solo influenzano le condizioni di vita e d'allevamento d'un popolo. Al limite, se proprio costretti ma recalcitranti, si può ammettere che anche il "regime" della modernità presenta in certo modo alcuni di quei tratti...
Ma il punto non è questo, la questione non sono le tante strutturazioni che può assumere il potere, quanto la sua genesi. Evitare l'indagine sull'origine del potere equivale a riconoscergli uno "statuto speciale" che, per chi ha rifiutato l'ipotesi d'una natura umana fondamentalmente malvagia, non può che essere di natura addirittura metafisica!
Calma. Forse il problema è solo che la critica di sinistra ha teso storicamente a sessualizzare la questione (sopraffazione, sadismo), mentre proprio l'accezione di potere "costruttivo" ne mette in luce un altro aspetto: il dittatore (o l'istituzione) è la grande mamma d'una massa d'infanti che gestisce, coerentemente, col biopotere del latte!
Allora, che si tratti di sadismo collettivo o di infantilismo sociale diffuso, mi sembra che entrambi i casi mostrino un soggetto "in regressione". Perché una popolazione arriva ad esprimere un simile disagio? Non sarà forse, banalmente, per debolezza?
Quando un popolo si emancipa da una classe sfruttatrice ne conquista i simboli e le pratiche (i fagiani del conte). Prende a fare cioè tutto ciò che, a suo tempo, ha costruito chimicamente ed esperienzialmente il suo oppressore, e si rende a sua volta oppressore di altri popoli.
Il problema, cara sinistra, non è solo individuare razionalmente che il carnivorismo è imperialista, ma capire come fa ad esserlo: la carne trasforma chi la mangia, accellera il metabolismo e dunque affatica l'organismo ed intorbidisce la consapevolezza. Questa è l'origine dell'imperialismo, questo è il modo in cui tutti possono partecipare all'imperialismo. E vi possono partecipare in entrambi i ruoli, oppressore e vittima, indifferentemente. Non è forse verosimile pensare che anche l'oppressore sia tale per debolezza? Che chi raccoglie una delega di potere lo faccia per nascondersi una sua personale impotenza?


La delega di potere è direttamente proporzionale alla debolezza individuale.

Questo è ciò che nessuno dice e che va spiegato bene, perché il soggetto cambia nella storia ma la dinamica resta uguale: il figlio del contadino che non ce la fa più a zappare va in fabbrica, il figlio dell'operaio che non regge più le otto ore in piedi va a fare l'impiegato, ed il figlio dell'impiegato magari non va più bene neppure a scuola... E' la debolezza fisica degli italiani che chiama l'immigrato a faticare al nostro posto!
L'origine del potere non sembra interessare gli intellettuali. Questi partono sempre dalla grecia ma forse era proprio lì nella "polis" che lo si dava per scontato e che la questione poteva allora ridursi a quali forme di gestione adottare.
Forse dovremmo parlarne in termini più da materie scientifiche che umanistiche. La realtà dialettica di potere-debolezza è un po' come il ciclo dell'acqua, gira, non ha inizio e non ha fine. Possiamo chiederci se sia il privilegio ad indebolire o se è la debolezza a compensare, accumulando ricchezza a sua volta fonte d'invidia...
Ma la questione è che ora sappiamo che debolezza e potere sono inscindibili facce della stessa medaglia e che se ci auguriamo un mondo senza potere nell'aria dobbiamo saperlo esercitare da qualche altra parte.

Solo quando gli individui si occupano della forma (equilibrio e salute, non doping e superuomo) la collettività è realmente potente (senza esprimere esteriormente strutture di potere).

Torniamo così alla forma. L'unica accezione positiva di potere (che vada al di là della propria personale vitalità) possiamo riconoscerla in una relazione di fisiologica dipendenza come quella di un bambino che rischia di mettersi in pericolo quando ancora non è in grado di sapere bene quello che fa. Lì abbiamo il potere e il dovere d'intervenire. E' un esercizio attivo del limite: lasciar sperimentare tutto il possibile solo vigilando sui rischi più seri.
Questo è tutto il potere indispensabile ad un adulto per allevare un cucciolo, oltre dobbiamo imparare a chiamarlo debolezza e a non coltivarne più il fascino.

1 commento:

  1. Ciao,

    sono Michele, uno studente di filosofia, ho letto con interesse le tue valutazioni sul potere.
    Il potere di stabilire la realtà, questo mi sembra essere il nocciolo della questione, almeno per quanto riguarda i filosofi di professione. Ti segnalo a questo proposito
    dal Blog di Gianni Vattimo del 19/8/2011:


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