fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

sabato 31 marzo 2012

Il pensiero debole del post-imperialismo


Caro Gio,

siamo tutti ecologici, o almeno vorremmo esserlo, ma conoscendo il
tuo passato di militanza in quello che all'epoca ci sarebbe
addirittura piaciuto chiamare "fronte" omosessuale, mi è strano
pensarti ora come fautore di un pensiero nuovamente "forte" come
quello che proponi, con questa idea di permetterti d'immaginare
"come ha da essere" l'uomo.


Caro Andrea,

noi occidentali possiamo ringraziare d'essere nell'unico punto
sicuro di un bosco incendiato: là dove la fiamma devastante è già
passata!
Il postmoderno è stato un fine corsa critico, non storico. L'idea
di un fine corsa storico è solo l'ultima possibile ideologia
giustificativa del privilegio ("la storia finisce qui, al
raggiungimento del mio privilegio: signori, mettetevi in coda!"),
mentre è più realistica la versione d'una completata ricognizione
critica dei limiti dell'esperienza moderna o più in generale della
civiltà.
E' vero che questa è stata l'epoca dei tanti movimenti di
liberazione o comunque ripensamento su ogni aspetto del vivere
civile: imperialismo, rapporti tra i sessi, rapporti di classe,
multiculturalismo, etica, ecologia. Ma è anche vero che il
movimento numericamente vincente è stato uno ed inequivocabile:
l'omologazione consumista. Omologazione cui tutti, anche gli
attivisti (nei momenti di riposo), sembrano indulgere.
Ma se l'esperienza postmoderna può essere letta come la voglia di
sbarazzarsi delle ultime rigidezze della tradizione, come il
completare le pulizie di casa fin negli angoli, non si può avere
la pretesa che il fatto di sgombrare un appartamento ci dia nuovi
mobili per arredarlo.
Invece è quanto fa l'esistenzialismo: qualcuno che confonde lo
strumento critico con la capacità costruttiva, qualcuno che si
adatta dunque a vivere tra le macerie, con mucchi di mattoni e
calcinacci come mobilia.
"Tutto è relativo, tutto è questione di interpretazione", ma è
come un commerciante che arriva a vendere la sua licenza
commerciale, o come un carcerato che, riuscito a saltare il muro,
non sa che direzione prendere...
No, la perdita di identità non mi sembra un fatto su cui si possa
basare una nuova identità.
La fiammata della modernizzazione ci ha emancipati, radicalmente,
come individui, e questo ci mette in condizione di fare scelte
prima impossibili.
Io dico solo: proviamo ad usare questo vantaggio.


Grazie al tuo intervento posso ripescare un articolo con cui nel
2007 presentavo il mio libro alla nostra comunità.

Il pensiero debole del post-imperialismo

Esce in questi giorni, in occasione del Salone del Libro di Torino
(10-14 maggio), un saggio di Giovanni Jalla - "Stato di Grazia,
fondamentalismo della modernità", Edizioni Clandestine, con
prefazione del filosofo Costanzo Preve. Pubblichiamo qui una
riflessione dell'autore sulle tematiche affrontate nel suo lavoro.

La Stampa del 20 marzo 2007 segnala un'attuale e forse inaspettata
rivalutazione del filosofo torinese Gianni Vattimo. Quello che ci
interessa qui notare non è tanto il profilo del suo pensiero - che
nondimeno dovrebbe interpellarci per la convinzione di esprimere
l'unica vera filosofia cristiana praticabile - quanto la portata
rispetto ai problemi reali di un mondo globalizzato e soprattutto
rispetto alla tendenza in atto negli ultimi anni: quella per cui
le cattive abitudini di sempre ora vorrebbero chiamarsi "guerra
preventiva" al terrorismo, "polizia internazionale" ma con la
divisa a stelle e strisce, "sviluppo sostenibile" e commercio
delle quote di insostenibilità...
L'omaggio a un maestro che ha portato l'ermeneutica all'egemonia
mondiale, convegni in suo onore e l'opera collettiva che filosofi
di tutto il mondo gli hanno dedicato, stanno forse a segnalare che
i paesi industrializzati - i ricchi del pianeta - cominciano a
sentire il bisogno di mettersi al riparo, dotandosi di
giustificazioni un poco più raffinate dell'arroganza americana.
Certo, l'esistenzialismo poggia su un dato incontrovertibile,
quasi banale: non si può negare a nessuno di pensare la sua
esistenza! Ma è in questa tautologia che la filosofia, autoeletta
tutrice del mondo post-metafisico, tradisce il suo proposito
mistificatorio. E' legittimo che un uomo si chieda il fatidico chi
sono?... sì, ma quando è ubriaco! Per Heidegger, invece, questa
sarebbe la specificità dell'umano. Una distinzione essenziale, che
alla filosofia dell'esistenzialismo serve per fondare il
posizionamento del soggetto occidentale moderno, l'orizzonte di
una vita spesa nel privilegio, nell'autocompiacimento della
malattia.
Finché il privilegio era del Principe, questi non si chiedeva chi
sono?, e non se lo chiedeva perché "Io sono il Principe!" è
un'autoaffermazione sufficientemente forte e indiscussa da non
aver bisogno di cercare conferme. La domanda esistenziale nasce
invece con l'accesso delle masse consumiste al ruolo imperialista
di una modernità industriale conclamata. L'esistenzialismo fa
della vita una retorica, la retorica adatta a giustificare la
propria supremazia.
Ricordiamoci che l'esistenzialismo nasce da un protestante, dal
figlio del Pastore Kierkegaard, proprio per illustrare l'orizzonte
di qualcuno la cui esistenza doveva essere talmente priva di senso
da fargli rasentare il nichilismo, salvo però non avere la forza
sufficiente, o la coerenza, per visitarlo davvero e immaginarne il
reale portato. Nel novecento quindi, invece di maturare una
radicale riflessione sulla complicità popolare nel nazismo, si
colorerà del facile antiautoritarismo di Sartre e da lì,
attraverso la contestazione del '68, potrà diventare patrimonio
ufficiale del popolo urbanizzato e industrializzato, dei figli di
chi aveva lasciato le campagne per la fabbrica.
In sostanza, invece di considerare la nascita della domanda
esistenziale come sintomo di qualcosa che non va nella modernità,
l'esistenzialismo fa dell'esistenza una nuova cosa di cui
occuparsi... nel tempo libero della società occidentale
privilegiata.
E' vero che un pensiero debole in teoria dovrebbe servire a
permettere il riconoscimento dell'Altro - il dio amabile, il
cristianesimo di carità di Vattimo - ma di fatto, nella vita
consumista dei nostri tempi, l'Altro si riduce a strumento per la
propria egopatia, elemento indispensabile ma secondario per la
triangolazione io-altro-dio, per giungere all'essenza
dell'essente! Il nuovo galateo rivendicato per la convivenza
democratica rischia quindi di ridursi a sancire l'ineluttabilità
dell'individualismo come unica relazione possibile nella vita
moderna. E l'alterità di dio, da "misura del mondo", rischia
tragicamente di scivolare in "alterigia".
Non scorretto forse, ma sicuramente impraticabile, il pensiero
debole è pericoloso come un assegno in bianco: chiunque può
scriverci sopra il prezzo di una qualunque assurdità suggerita
dall'incoscienza consumista!
Né debole né forte, il pensiero dovrebbe servire per capire i
limiti della nostra forma nell'ambiente: mentre l'infinito è tutto
da dimostrare, l'impellenza ecologica mostra chiaramente che
viviamo nel finito.
L'impasse concettuale della metafisica può essere superato solo da
questa radicale consapevolezza. Un pensiero debole, cioè non-
violento e finalmente non più metafisico, avrebbe senso solo come
pensiero del limite, consapevolezza della forma... sennò è
mestiere per filosofi, o peggio, è la definizione di un nuovo look
per l'imperialismo!

(dal settimanale Riforma del 11/5/2007)

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