La modernità è un peso che ci spartiamo tutti quanti, una tensione cui nessuno può dirsi esente.
La risposta a questo carico si chiama droga, chimica ovviamente ma anche alimentare (il caffè, lo zucchero, l'alcool...) o persino comportamentale (ritualità religiosa, fruizione televisiva, sport, gioco d'azzardo...).
Ho sempre il sospetto quando sento qualcuno parlare moralmente di droga (quella che ho appena lasciato, quella da cui vorrei tanto staccarmi, quella degli altri...), il sospetto che, tappata una falla, se ne apra inevitabilmente un'altra, magari solo meno appariscente ma forse più deleteria ancora.
Il problema è ovviamente male impostato, se usiamo la stupidità di un criterio morale: i devoti continueranno a farsi senza ammetterlo, mentre per gli emancipati ormai è la droga il Bene... e di largo consumo!
No, farsi di qualcosa è semplicemente uno strumento che ci è possibile: trasformarsi, compensare, sopportare... uno sforzo in ogni caso, una risposta alle incongruenze della vita che facciamo.
Avrei paura di una generazione "che non si droga", dove mai potrebbe mettere quella tensione? In realtà continuiamo tutti a farci e di qualunque cosa, ma è la percezione dell'intera questione che può venir meno: drogarsi non è più un fenomeno importante, non è più un fenomeno, un'oggetto di attenzione...
I sintomi invece sono segnali che vanno rispettati e ascoltati. Proibire è semplice, ma non fa altro che ributtarci direttamente nel mondo del fottere e della delinquenza. Il difficile è ammettere: ammettere a noi stessi quello che stiamo facendo, in primo luogo, e poi ammettere ed indagare la natura della "falla" di umanità che l'origina.
Già Freud parlava del disagio della civiltà: noi, semplicemente, non si ritiene inevitabile quel disagio ne' quella civiltà!
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