L’occidente è così abituato al suo individualismo che fatica a immaginare
risposte comportamentali diverse. La “normalità” dell’Africa è invece la
dimostrazione di un’altra impostazione.
<< Qui però siamo in Africa, e il felice nouveau riche non
può dimenticare l'antica tradizione del clan, la cui norma fondamentale
prescrive di dividere tutto quel che si possiede con i propri confratelli, con
gli altri membri del clan ossia, come si dice qui, con i propri cugini (in
Europa il legame tra cugini è ormai debole e vago, mentre in Africa un cugino
in linea di madre conta più di un marito). Per cui se hai due camicie, danne
una al cugino; se hai una ciotola di riso, dagliene la metà. Chi infrange
questa regola è esposto all'ostracismo, all'espulsione dal clan, alla
terrificante condizione di isolato. In Europa, e ancor di più in America,
l'individualismo è un bene apprezzato; in Africa è sinonimo di disgrazia e di
maledizione. La tradizione africana è collettivista, perché lo stare in un
gruppo concorde era l'unico modo di far fronte alle avversità naturali sempre
in agguato. E una delle condizioni di sopravvivenza del gruppo è precisamente
la condivisione di ogni minimo bene posseduto. Una volta qui in Africa fui
circondato da una torma di bambini. Avevo una sola caramella: la posai sul
palmo della mano. I bambini guardavano immobili. Finalmente la bimba più grande
prese la caramella, la schiacciò con delicatezza tra i denti e ne distribuì
equamente un pezzetto per ciascuno. >>
da "Ebano" di Ryszard Kapuscinski.
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