Con le ultime riflessioni attorno all’ipotesi di una genesi sessuale del disequilibrio
ecologico, siamo arrivati ad identificare il nocciolo del problema
nell’individualismo: l’individualismo come desocializzazione, come forma
tradita dell’umano che così svincola ogni suo comportamento dalla
consapevolezza e dalla misura che potrebbe invece trarre dal confronto sociale
e dalla natura maggiormente intima delle sue relazioni personali.
Cominciamo dal maschile. E chi mai dovrebbe socializzarli questi uomini,
in un mondo ragionevole? I finocchi, i ricchioni, e chi sennò? E subito, al
primo sbocciare della pubertà, che poi sarebbe troppo tardi!
Stai descrivendo un ricchione che insidia i ragazzini, mi direte,
proprio il peggio dell’immaginario! Sì certo è solo uno stereotipo ma, come
tale, indicativo delle rigidezze della nostra cultura. E forse proprio perché
quella, la socializzazione maschile, è davvero una questione centrale, è anche
diventato difficile immaginarla come cosa ragionevole.
Con le donne un ragazzo può solo fare l’esperienza di perdere la verginità, nel senso di
perdere l’aspetto socializzante della sua virilità, cioè diventare
irrimediabilmente individualista. La sua virilità, invece, andrebbe coltivata
dagli altri uomini ed in specifico da qualcuno che quella virilità potesse
davvero desiderarla.
Non voglio qui provare ad esporre una coniugazione ragionevole di
termini quali ammirazione, emulazione, fascino… che potrebbero disegnare le
geometrie seduttive e seducenti di un tessuto sociale sano. Mi basta notare
come già negli anni settanta, agli inizi del movimento gay, qualcuno cercava l’effetto
provocatorio e dirompente di una nuova consapevolezza omosessuale. Non solo io esisto ma, esistendo, cambio le carte
in tavola! Banalizzando, toccare il culo
ai maschi li avrebbe aiutati a scoprire il rimosso e tornare al bambino perverso e polimorfo che aveva
teorizzato Freud.
Ora, io non penso che Freud avesse visto giusto (tutti potenzialmente
bisessuali), sono ricchione da quando posso ricordare e non mi sembra di
patirlo come limite ne’ di nascondere chissà quali rimossi. Soltanto non mi
sembra che la questione sia quella dei nostri gusti sessuali e di come ce li
formiamo, ritengo semplicemente che la sessualità non si limiti a quello. Lo
stesso discorso che si può fare per l’alimentazione, a volerne vedere la
complessità: non ci sono solo i nostri gusti, c’è anche e soprattutto l’effetto che fa il cibo che decidiamo di
mangiare.
Qual è allora la complessità della sessualità? Non lo so di certo io, ma
penso che dovremmo cominciare a guardarla in modo più rilassato, cominciando a
considerare un aspetto di banale comunicazione. Perché di solito, se pensiamo
in termini di comunicazione, non ci si chiede con chi mi piace parlare, ma sono
capace a parlare, mi capita mai di parlare con qualcuno? Oppure ancora un
aspetto di composizione sociale: la sessualità non come qualcosa che solo ogni
tanto si accende e si consuma, ma come qualcosa di sempre attivo nel
determinare il tono e il senso delle nostre relazioni.
Ma torniamo alla rassegna di ciò che questa società ritiene esecrabile.
Se ai ricchioni va riconosciuto il ruolo di animatori del gruppo maschile (il principio aggregante della
società degli uomini), secondo me al femminile, attorno alla figura della troia, si gioca la tendenza disgregante:
la troia rappresenta il principio dispersivo quando sfugge all’autorità e al
controllo demografico esercitato dalla società delle donne.
Nell’alveo della civiltà, purtroppo, la prostituzione diventa funzionale
al mantenimento dell’istituzione famigliare, estrema compensazione di un insano
esclusivismo sessuale. Per l’ancestrale dobbiamo invece immaginarne una
versione ragionevole, fisiologica
com’è d’uso chiamarla qui, e questa immagine può essere quella di una temporanea
dispensa dall’autorità femminile che una donna può prendersi, in certi momenti
della sua vita, per tirare il fiato dalla tensione costante che si genera fra
donne organizzate in una struttura matriarcale: cambia dieta, si maschilizza
(ai limiti dell’infertilità) e si butta nell’attivismo potendo partecipare, e
temporaneamente godersi, la convivialità maschile (analogamente mi sembrerebbe
un fattore di complessità che anche gli uomini facessero, prima o poi nella
vita, un’esperienza nel gruppo delle donne, anche solo per capirne qualcosa di
più, al di là della figa!).
Alla fine dei conti l’ecologia non è tanto un problema tecnico, ma un
problema sociale, il problema di una società costruita su certi tabù mentali e
sclerotizzata da una scarsa immaginazione. Secondo me l’ecologia è ancora
un’opzione possibile all’umano, ma ad un prezzo che può sembrarci carissimo: al
prezzo intero della “cultura”, cioè dell’intero orizzonte di ciò che sembra
normale… a chi vive dentro il pregiudizio della civiltà.
Il problema non è scopare (con chi e come),
ma essere sani abbastanza... da averne voglia!
L’omosessualità è esecrata, le troie sono sfruttate!
C’è un’asimmetria tra i due sessi:
il problema della socializzazione maschile è solo quello di riconoscerne
il desiderio,
il problema della socializzazione femminile, invece, è riconoscerne il
patimento!
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