Prima non facevamo danni, poi abbiamo cominciato a farli!
Questo l’essenziale della storia naturalistica dell’umana specie. A
scuola ci hanno insegnato che l’oggi è frutto di una sudata evoluzione. “Progresso”
però potrebbe essere solo il nome pietoso che diamo alle nostre stampelle: oggi
abbiamo l’ospedale perché prima non eravamo capaci a farlo… oppure: l’ospedale
ce lo siamo costruito solo oggi perché fino a ieri eravamo capaci di tenerci in
salute da soli!
Fate un po’ voi, è solo (?) una questione di interpretazioni. Qui stiamo
provando a verificare la seconda ipotesi, ce la suggerisce la razionalità e
quel poco di esperienza della vitalità che si scopre tornando ad una sana
alimentazione e ad uno stile di vita rispettoso della nostra forma animale. Ma
ricominciamo…
C'è un prima, molto lungo, naturalisticamente complesso e sostenibile, e
poi c'è un dopo, tecnologicamente potente ma destinato inevitabilmente a
concludersi con l'esaurirsi delle risorse che sta sfruttando.
Di quel prima non sappiamo molto, è tutto da ricostruire con
l'immaginazione ma, questo, è un esercizio comunque utile alla ricerca di altri
stili di vita. Il dopo, cioè l'oggi, è solo da rileggere, crudamente, come
sommatoria di semplificazioni. Di ogni cosa che ci sembra un frutto del progresso
dovremmo chiederci cosa viene a sostituire, di quale complessità è
l'involuzione. Facciamo degli esempi.
La soddisfazione esistenziale del nostro antenato non lascia molte
tracce archeologiche, è invece l'inizio di elaborate sepolture e ritualità ad
indicare un sopraggiunto problema di identità di fronte alla morte.
Oppure l'elaborata gestione delle risorse stagionali di un raccoglitore,
che è intestimoniabile a differenza dei primi granai e villaggi stanziali
neolitici, delle fortificazioni per proteggerli e delle inevitabili strutture
di potere per amministrarli.
Ma, soprattutto, diversa doveva essere la definizione ed il gioco
sociale delle identità di genere. Se la famiglia è la semplificazione
generatrice dell'ipertrofia consumista (riassumendo: lui procura ciò che lei
chiede, senza possibilità di critica), per l'ancestrale dobbiamo immaginare la
dimensione collettiva di un branco dove uomini e donne sono socializzati dal
loro gruppo di genere prima di ogni
possibile gioco di coppia, una dimensione dove ancora si eserciti la responsabilità
ecologica di chiedersi il senso degli obiettivi e commisurare i mezzi
impiegati.
Fin qui il tentativo di qualificare l'esperienza attuale in relazione ai
dati storici conosciuti. Poi si apre tutto il campo delle interpretazioni. Cosa
sta facendo l'umano, perché sta giocando a mettere in pericolo la sua stessa
esistenza? E' una specie che sta sperimentando la saturazione ambientale e poi
forse troverà un suo equilibrio? E' un individuo in crisi? Una crisi
adolescenziale che prepara ad una futura adultità?
Queste sono domande che diventano interessanti nella prospettiva di
immaginare alternative alla vita moderna, alla civiltà storica, al suo
paradigma della virtualità e alla sua etica del fottere. Ma, per tutti, resta
l'essenziale, cioè un criterio di comprensione di ciò che stiamo facendo:
corriamo pure in ospedale, quando serve, ma ricordiamoci che per tanto tempo
siamo stati in grado di farne a meno!
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