Chi sostiene una critica radicale alla civiltà si trova in una posizione
di solitudine culturale pressoché assoluta. Le reazioni personali allo scandaloso punto di vista della forma
umana (l’autoaffermazione della salute sulle mille malattie possibili) possono
essere due: democristiana o moderna.
Chi ti accusa di essere impietoso rispetto ai limiti inevitabili dell’esperienza
umana (o peggio ancora, chi subito corre a cercare di rinfacciarti i tuoi),
questi è il democristiano. Con lui non si discute: “non generalizzare” dice, “ciascuno
ha i suoi tempi per maturare…”; non cerca di vincere lui, cerca piuttosto di
ammosciare l’avversario!
Oppure c’è l’autodifesa della modernità, che già ha nome e si chiama postmoderno:
abituarsi non tanto alla pluralità dei punti di vista quanto all’irresponsabilità
di starci in mezzo senza mai prendere posizione, perché scegliere qualcosa
significherebbe rinunciare al resto, all’infinito orizzonte dell’edonismo
possibile!
Dal canto loro le ideologie ufficiali della modernità non sanno che
ribattere. In tutti questi anni (per quel che mi riguarda dal 2007, da quando è
uscita la provocazione culturale di “Stato di Grazia”) nessun marxista ha
voluto respingere l’accusa di rappresentare soltanto la versione popolare dell’imperialismo.
Alla stessa maniera nessun liberista ha reagito all’affermazione della natura
sociale della specie (l’individualismo è fisiologico sì, quando hai il mal di
pancia!).
Ma neppure nessun anarchico è corso entusiasta nella prospettiva di
indagare la genesi di quel potere che ha tanto in astio (ciascuno di noi,
anarchici compresi, genera potere nella misura della sua debolezza e della sua
dipendenza dal moderno stile di vita).
Uscendo poi dall’ambito più strettamente politico la delusione arriva
anche dal fronte femminista e omosessuale. Alcuna donna s’è difesa dall’accusa
d’essere il mandante del crimine edipico (nell’esclusivismo sessuale “lui fa
quel che lei chiede”, la famiglia come associazione a delinquere, di stampo
mafioso o consumista che sia), ne’ alcun omosessuale s’è incuriosito per l’unica
domanda fondamentale frutto della sua stessa emancipazione: qual è il ruolo
sociale della fisiologica componente omosessuale di una popolazione?
Lascio un attimo aperta l’ultima questione per notare come, anche se
personalmente ferisce, tutta questa latitanza intellettuale non fa che
sottolineare la necessità e l’urgenza di un altro punto di vista, deideologizzato
e finalmente realistico della forma dell’umana specie, per riaggregare un
tessuto sociale capace di invertire la rotta e riparare i danni.
Sarà questo il fantomatico ecovillaggio del futuro (di un ritrovato
futuro, perché per ora il problema è che siamo tutti senza futuro), sarà questa l’organizzazione dell’autonomia e della
salute, la coltivazione dell’umana complessità?
Non lo so, so solo che chiunque voglia provarci si troverà di fronte,
ineludibile, proprio la questione che prima abbiamo lasciato in sospeso: il
ruolo del desiderio omosessuale nel mondo che ci immaginiamo.
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