Sono stato, due giorni fa, ad una manifestazione contro la costruzione di un grosso
impianto fotovoltaico a terra in un area protetta qui vicino (Riserva della Vauda)
Che tristezza, la giornata era piovosa ma non era la pioggia... era il tono sommesso, la
debolezza della flebile protesta. Mentre tutti si guardava allo scempio dei 500mila
pannelli che sarebbero venuti a coprire 70! ettari di terreno (dovremmo ovviamente
vietare qualsiasi copertura del suolo fino a che ci sarà un angolo di tetto libero da
qualche parte!), io guardavo il prato e pensavo "ma questa è già una tecnologia, sono
pascoli,fieno e mais: tutto per la vacca sacra dell'allevamento".
Certo, è fortemente verosimile che dietro ci sia il solito intreccio di interessi,
corruzione e tangenti, ma il punto non è questo. La debolezza della protesta stava nel
non vedere l'evidenza di quel confronto di tecnologie.
"Difendere l'ambiente perché noi ci sentiamo ormai persi e che almeno si salvi lui",
ecco questo mi sembra il mezzo ambientalismo che ci possiamo permettere quando non
vediamo la sedia su cui siamo seduti.
Pensiamo di dover difendere l'ambiente dalla nostra presenza, facciamo appello ai nostri
consimili di tirarsi via di lì, di smetterla di far danni... Spesso serve solo per
pulirci la coscienza, ma comunque non basta.
Difendiamo il territorio con la nostra presenza, dovremmo invece dire. Opporre
interessi agli interessi, non ideali. Questo sarebbe maggiormente efficace: l'ecologia
si fa solo cambiando stile di vita. Possiamo fare tutte le leggi che vogliamo, ma le
leggi regolano le nostre debolezze e i nostri limiti, non le nostre capacità di
autonomia.
Ci va gente che torni a trovare interesse per il territorio e che possa dimostrare un
modello di insediamento e sussistenza realistico. Ecco allora che il riconoscimento di
questo vivere alternativo può rappresentare una richiesta politica legittima e
culturalmente forte da contrapporre a questo come ai tanti altri tentativi di fottere
l'ambiente e le risorse di tutti.
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