fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

mercoledì 5 dicembre 2012

Giudizio e valutazione


Nel proporre la condivisione culturale degli strumenti per l'autonomia (gestire la
propria salute, l'alimentazione, le forme sociali) ci si trova troppo spesso di fronte
ad una reazione contrappositiva che denuncia la fondamentale paura
dell'individualismo: la paura di essere giudicati.
Ed è vero che l'affermare qualcosa, in un certo senso, vuol dire negare qualcos'altro.
Così, ad esempio, la ricerca di un'alimentazione corretta comporta inevitabilmente
anche la valutazione realistica delle scelte alimentari scorrette: zucchero, latte,
alcool, caffé, etc. sono la chimica sbagliata per il nostro corpo, ed assumere queste
sostanze è e deve tornare ad essere considerato un evidente atto di autolesionismo che
discende e comporta un assetto psicologico antivitale. Punto! Questa è la
valutazione "sociale" da fare, il patrimonio di un contesto realmente alternativo che
possa dare una misura all'individuo e ai suoi comportamenti. Poi c'è da fare i conti
dentro di sé con le ragioni di quell'autolesionismo, ma questo è pertinenza del
singolo, dei suoi tempi di maturazione e delle sue personali capacità di reggere un
certo livello di consapevolezza. La valutazione realistica di criteri alimentari
validi per tutti non corrisponde ad un giudizio sulla persona e sulla sua maturità.
Ciascuno è quello che è, ovviamente, ed il prenderlo in quanto tale è la prima mossa
irrinunciabile di un sano realismo.
La valutazione esprime interesse per qualcuno che è già con noi. E' il giudizio invece
quell'atto preventivo, estremo ed irrevocabile per cui si sceglie con chi avere a che
fare, chi va bene e chi no "in quanto tale". La selezione: rifiuto dell'altro o
accettazione.
Se queste definizioni sono corrette possiamo allora cercare di attribuire alla diversa
esperienza di genere questi atteggiamenti.
Il giudizio è delle donne. E' il femminile che decide l'opportunità di una gravidanza,
è il femminile che può rifiutare la tetta o minacciare l'abbandono. Quelle sono le
scelte irrevocabili. Il giudizio rappresenta un'opzione estrema da usarsi nei casi
limite. Nelle società tribali per esempio, oltre che nel controllo delle nascite, lo
possiamo immaginare usato come massimo strumento di dissuasione di atti criminosi (la
matriarca ti maledice e tu te ne vai senza appello), come decisione di vita o di morte
degli anziani di fronte ad una carestia, come rottura dei rapporti diplomatici e
dichiarazione di guerra.
Normalmente però si valuta, dando per scontata e salda un'accettazione di base. Anzi,
quanto più è sincera l'accettazione, tanto più profonda e magari dolorosa può
permettersi d'essere la critica. Maschile è la valutazione realistica dell'amico: è
proprio perché ti accetto, perché ti prendo per quello che sei, che ho interesse a
valutare bene "cosa" sei. La valutazione sprona a migliorare lavorando sui propri
limiti, porta efficacia e consapevolezza all'agire maschile dove invece la paura di un
giudizio potrebbe essere solo lo stimolo di un'inconsulta cazzoneria, deleteria ma
usabile strumentalmente per i soliti fini di comodità femminile.
E difatti le cose possono non andare nel verso giusto. Il femminile può abusare della
sua dotazione giudicante: ricorrere al giudizio troppo spesso, o minacciarlo ad ogni
occasione, depotenzia ovviamente quest'arma in mano alle donne, ma soprattutto produce
individui o viziati o insicuri e dunque sempre "a disposizione" di aspettative altrui.
Vivere sotto la minaccia costante d'essere giudicati, ed arrivare a ritenerlo normale,
è all'origine della fondamentale solitudine dell'individualismo: qualcuno che ritiene
d'essersi liberato dall'altrui giudizio... solo perché l'ha fatto suo, costruendosi
un'immagine di sé cui rispondere, inconsapevolmente, per il resto dei suoi giorni.
Le donne patiscono il pettegolezzo perché, in effetti, dalle altre donne sono abituate
a ricevere giudizi, ed interagiscono agli estremi della fusionalità (l'amica del
cuore) o della dominanza e sottomissione, così costruendo complicate quanto gratuite
strutture gerarchiche in ogni loro luogo di ritrovo.
Gli uomini invece possono socializzarsi "solo se" liberi dalla paura del giudizio,
altrimenti questa li spinge all'individualismo. E l'individualismo non può aprirsi
perché, se anche non è questione di soldi, uno sta sempre sulla difensiva. "Perché non
vuoi far parte del gruppo? Cosa pensi di avere di così prezioso da difendere?"
L'individualista ha da difendere l'immagine che si è fatto di se stesso, dalle
critiche e dal realismo cui la promiscuità del branco l'esporrebbe!
Potremmo dire che l'eterosessualità, la famiglia e la società nascano quando la
passione delle donne si spegne nell'opportunismo: "ti amo perché sei adeguato, perché
sai fare l'uomo e mi porti i soldi a casa". Viceversa sono io donna che sono fuori da
ogni sorta di critica proprio perché facendo coppia con lui mi sono liberata dal peso
a dal controllo della gerarchia femminile. L'altro non può essere di riferimento ad
una donna che ragiona nei termini: se mi critichi, se non mi apprezzi è perché sei
"cattivo", e se sei cattivo io posso sempre abbandonarti! Mentre forse è lì quella
particolare gratificazione che frutta la vita matrimoniale: è l'apprezzamento che
riceve dalla sua donna che dà all'eterosessuale quel senso di "beata" inconcretezza
adolescenziale ed irresponsabilità che fa della famiglia il primo fattore globalizzato
di inquinamento.
Ma la paura del giudizio non si supera negandolo, perché così facendo ci precludiamo
anche ogni possibilità di una ragionevole "valutazione". E questa è forse la
dimensione postmoderna dove la vita urbanizzata, che aveva permesso di scappare dal
giudizio della gente del paese, solleva da ogni critica l'individuo che ora è chiamato
ad "autoaccettarsi": vado bene così, vado bene così... come un mantra, fino ad
illudersi che sia così davvero e fino ad imparare a portare con noncuranza i propri
limiti, anche se sono incipienti come una pancia gonfia.
Il giudizio è delle donne, impariamo a restituirglielo; la coppia e la famiglia sono
solo il modo di trovare reciproca copertura di limiti, vizi e illusioni. Solo
prendendone coscienza possiamo cercare seriamente un'alternativa e chiedere alle
nostre relazioni quella complicità creativa che oggi manca e che è basata
sull'accettazione realistica dell'altro.
Questo maschile può allora ritrovare tutta la sua capacità di profonda accettazione
dell'altro, ma solo a a patto di poter "Valutare", e senza fare sconti, e col miglior
grado di realismo di cui siamo capaci, la propria e l'altrui condizione.

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