fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

sabato 13 luglio 2013

L'amore molesto

Elena Ferrante, chi è?
Nessuno lo sa, uno pseudonimo che protegge la privacy di una scrittrice o di uno scrittore. Ma questo non ci interessa, il fatto che l'autore non voglia presentare una sua immagine pubblica non muta il valore della sua opera.
L'amore molesto, Il giorno dell'abbandono, La figlia oscura, L'amica geniale, La Frantumaglia, Storia del nuovo cognome.
A parte La Frantumaglia, libro-intervista sullo scrivere che non ho trovato molto interessante, tutti gli altri lavori sono romanzi di "genere", nel senso che l'autore indaga il genere femminile.
Ne L'amore molesto (da cui l'omonimo film di Martone) il rapporto madre-figlia si esprime all'ombra di un riferimento virile: tutte e due finiranno per cedere al fascino  del vecchio boss malavitoso.
Ne La figlia oscura una spiaggia e l'estate fanno da palcoscenico ad una violenta lotta di gerarchia femminile.
Ne Il giorno dell'abbandono (qui la versione filmica è di Roberto Faenza) la separazione di una coppia serve all'analisi del femminile e di ciò che ne resta, quando le viene sottratto il maschile.
L'amica geniale indaga il femminile e il suo ruolo nel contesto di mafiosità napoletana.
Devo ancora leggere l'ultimo, Storia del nuovo cognome, in cui ovviamente mi aspetto di trovare altri elementi ancora di questa sincera fotografia del femminile contemporaneo.
Di fronte a questo panorama il lettore non potrà che fare i complimenti all'autore per le sue capacità di svelare una condizione che sfugge, per lo più, alle donne stesse. Potrà anche spingersi oltre e identificare i tratti di questo femminile come i sintomi di una condizione nevrotica, come il prezzo della destrutturazione sociale del femminile. Gli uomini cioè, sciolti dal sociale, si disperdono in nulla, in effimere cazzonerie, mentre il femminile invece, fa quella roba lì: il quadro svelato dalla Ferrante, un panorama che non saprei definire altro che "disperato".
Ma questa è, fondamentalmente, la disperazione che già il postmoderno nasconde sotto il suo consumismo. Se vogliamo andare oltre dobbiamo affrontare il nodo di quella desocializzazione, e provare ad immaginare quindi una dimensione sociale della sessualità e della fertilità femminile. Ma per farlo è indispensabile, ovviamente, una percezione realistica del femminile e delle tensioni che lo muovono.
Per la fisiologia dei nostri corpi, se il maschile è da intendersi convergente, cooperativo e conviviale (al di là di ogni stereotipo, la scienza oggi è costretta a riconoscere questo nel comportamento degli spermatozoi), il femminile è allora da leggersi divergente e "parcellizzante" (nel senso che ad ogni utero interessa volgere a sé le risorse disponibili). E questa tendenza, che socialmente è una spinta ad una frammentazione familista, a livello individuale si presenta come un dato di pura e semplice violenza. La società delle donne può allora rappresentare il modo ragionevole di contenere quella violenza, di irregimentarla in una strutturazione gerarchica finalizzata a gestire la demografia.
Il maschile invece, alla violenza ci arriva quando si lascia desocializzare, sposandosi e quindi entrando nell'orizzonte della struttura gerarchica delle mogli e delle loro aspettative. Quell'uomo, ora aggressivo e competitivo, è disponibile alla violenza che gli deriva da quel tradimento. La gerarchia (sia quella interna ai ranghi di un esercito, sia quella tra gruppi sociali o etnici), proiettata sul maschile, diventa allora inevitabilmente un presupposto di massacri e genocidi.
La guerra è vecchia quanto... la monogamia!


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