fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

martedì 6 dicembre 2022

Agamben - Patto di complicità senza il reo

 

Vorrei condividere con voi qualche riflessione sulla situazione politica estrema che abbiamo vissuto. E se un giorno gli storici indagheranno su quello che è successo sotto la copertura della pandemia, risulterà, io credo, che la nostra società non aveva mai raggiunto un grado così estremo di efferatezza, di irresponsabilità e di  disfacimento.

Ho usato a ragione questi tre termini, che sono oggi legati in quello che si chiama un nodo borromeo, cioè un nodo in cui ciascun elemento non può essere sciolto dagli altri due. E se, come alcuni non senza ragione sostengono, la gravità di una situazione si misura dal numero di omicidi e delle uccisioni, credo che anche questo indice risulterà molto più elevato di quanto si è creduto o si finge di credere.

Prendendo in prestito da Lévi-Strauss un’espressione che lui usava per l’Europa nella seconda guerra mondiale, io credo che si potrebbe dire che la nostra società: “ha vomitato se stessa”. Per questo io penso che non vi è oggi per la nostra società una via di uscita dalla situazione in cui è caduta, a meno che qualcosa o qualcuno non la metta da cima a fondo in questione.

Ma non è di questo che volevo parlarvi, mi preme oggi piuttosto interrogarmi insieme a voi su quello che abbiamo fatto finora e su quello che possiamo continuare a fare in una tale situazione. Io condivido infatti pienamente le considerazioni contenute in un documento, che qualche giorno fa è stato fatto circolare, quanto all’impossibilità di una rappacificazione. Il fatto è che non abbiamo davanti a noi semplicemente degli uomini che si sono ingannati, che hanno sbagliato  o hanno professato per qualche ragione delle opinioni erronee che noi potremmo cercare di correggere. Chi pensa questo si illude: abbiamo di fronte a noi qualcosa di diverso, una nuova figura dell’uomo e del cittadino, per usare due termini famigliari alla nostra tradizione politica. Si tratta in ogni caso di qualcosa che ha preso il posto di quella coppia - l’uomo e il cittadino -  e che vi propongo di chiamare provvisoriamente con un termine tecnico del diritto penale: il “complice”. A patto di precisare che si tratta di una figura molto particolare di complicità, complicità per cosiddire assoluta nel senso che cercherò ora di spiegare.

Nella terminologia del diritto penale il complice è colui che ha posto in essere una condotta che di per sé non costituisce reato, ma che contribuisce all’azione delittuosa di un altro soggetto: il reo.

Noi ci siamo trovati e ci troviamo di fronte a individui, anzi a un intera società che si è fatta complice di un delitto il cui reo è assente o comunque, per essa, innominabile. Una situazione cioè paradossale in cui vi sono solo complici ma il reo manca. Una situazione in cui tutti, dal Presidente della Repubblica al semplice cittadino, dal Ministro delle salute al semplice medico, tutti agiscono sempre come complici e mai come rei. Credo che questa situazione ci può permettere di leggere in una prospettiva nuova  il senso del punto a  cui siamo: il contratto sociale ha assunto cioè oggi la figura, vera estrema figura, di un “patto di complicità senza il reo”, e questo reo assente coincide con il sovrano il cui corpo è formato dalla stessa massa dei complici, e non è perciò altro che l’incarnazione di questo generale “esser complici”, cioè “piegati assieme”.

Una società di complici è più oppressiva e soffocante di qualsiasi dittatura, perché chi non partecipa delle complicità - il non complice - è puramente e semplicemente escluso: non esiste, non ha più un luogo nella città.

C’è però anche un altro senso in cui si può parlare oggi di complicità ed è la complicità non tanto fra il cittadino e il sovrano, quanto anche e piuttosto, fra l’uomo e il cittadino. Voi ricorderete che Hannah Arendt ha mostrato quanto la relazione, così importante, fra questi due termini - l’uomo e il cittadino - sia ambigua: nella dichiarazione dei diritti, lei ha mostrato, in realtà in questione è l’iscrizione della nascita cioè della vita biologica dell’individuo nell’ordine giuridico e politico dello stato-nazione moderno. I diritti sono attribuiti all’uomo solo nella misura in cui questo è il presupposto, immediatamente dileguante, del cittadino: l’uomo deve diventare il cittadino, l’uomo esiste se diventa cittadino.

Ora l’emergere in pianta stabile nel nostro tempo (Arendt usa la figura del “rifugiato”) dell’uomo come tale, cioè dell’uomo spogliato del carattere di cittadino, è la spia di una crisi irreparabile in quella finzione dell’identità fra l’uomo e il cittadino su cui si fondava la sovranità dello stato moderno.

Quel che noi oggi abbiamo di fronte è una nuova configurazione di questo rapporto: in cui l’uomo non trapassa più immediatamente e dialetticamente nel cittadino ma stabilisce con questo, col cittadino, una particolare relazione: nel senso che l’uomo, con la natività del suo corpo, col suo corpo, fornisce al cittadino la complicità di cui ha bisogno per costituirsi politicamente, e il cittadino da parte sua si dichiara complice della vita del corpo di cui assume cura. 

Avrete capito che questa complicità di cui sto parlando è la biopolitica: realtà che ha oggi raggiunto la sua estrema e speriamo ultima configurazione.

Ecco allora che la domanda che volevo porvi è questa: in che misura noi possiamo oggi ancora sentirci obbligati in questa società? E se, come credo malgrado tutto, ci sentiamo in qualche modo ancora obbligati, secondo quali modalità ed entro quali limiti possiamo rispondere a questa obbligazione, e quindi parlare pubblicamente?

Non ho una risposta esauriente a questa domanda, posso soltanto dirvi come il poeta, ricordate: codesto solo oggi posso dirvi quel che non siamo, posso soltanto dirvi quel che so di non poter più fare. Ecco, quel che io oggi non mi sento più di poter fare: io non posso più, di fronte a un medico o a chiunque denunci il modo perverso in cui è stata usata in questi due anni la medicina, ecco non posso non mettere innanzitutto in questione la medicina stessa. Se non si ripensa daccapo a che cosa è progressivamente diventata la medicina, e forse l’intera scienza di cui questa vuol far parte, non si potrà in alcun modo sperare di arrestarne la corsa letale.

E ancora: io non posso più, di fronte ad un giurista o a chiunque denunci il modo in cui il diritto e la costituzione sono stati manipolati e traditi, ecco io non posso non rimettere in discussione la stessa Costituzione e lo stesso diritto. E’ forse necessario, per non parlare del presente, che vi ricordi che ne’ Mussolini ne’ Hitler ebbero il bisogno di cambiare le costituzioni che vigevano in Italia e Germania, ma trovarono anzi in esse i dispositivi di cui avevano bisogno per instaurare i loro regimi.

E’ possibile cioè che il gesto di chi cerca oggi di fondare sulla Costituzione e sui diritti la sua battaglia sia già sconfitto in partenza. Se ho evocato questa mia duplice impossibilità non è infatti in nome di vaghi principi metastorici o filosofici, ma al contrario come la conseguenza inaggirabile di un’analisi della situazione storica. Dobbiamo analizzare bene la situazione storica in cui ci troviamo. E’ come se certe procedure o certi principi in cui si credeva o piuttosto si fingeva di credere, avessero ora mostrato il loro vero volto che non possiamo omettere di guardare. (Sia chiaro non intendo con questo svalutare o considerare inutile il lavoro critico che abbiamo svolto e che certamente anche oggi, nella riunione odierna si continuerà a svolgere di sicuro con rigore ed acutezza. Questo lavoro può essere utile, ma solo tatticamente: sarebbe dar prova di cecità identificarlo con una strategia a lungo termine).

In questa prospettiva resta molto ancora da fare e potrà essere fatto solo lasciando cadere senza riserve concetti e verità che davamo per scontati. Il lavoro che ci sta davanti può cominciare, secondo una bella immagine di Anna Maria Ortese: solo là dove tutto è perduto, tutto perduto, senza compromessi e senza nostalgie.

 

Giorgio Agamben: intervento all’incontro “Le faux sans réplique” organizzato da Generazioni Future il 28/11/2022 a Torino

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