Quando un migrante islamico arriva in Europa può fare una certa
esperienza della libertà, la libertà per come la intende l’occidente, cioè
libertà di consumo. Purtroppo questa pratica comporta un danno ambientale che
risulta non più sostenibile e che chiede, urgentemente, di cercare delle
alternative.
Questa libertà comporta anche, almeno nella nostra esperienza, un certo
grado di alienazione cui parte di loro risponde rifugiandosi nel
fondamentalismo d’origine.
Ora, il sistema socioeconomico occidentale – democrazia ed economia di
mercato – si basa sul fatto che la maggior parte della popolazione assume una
posizione laica piuttosto che fondamentalista (uno prima si considera cittadino
del suo stato e poi, solo dopo, seguace della sua religione o delle sue
convinzioni), questo è un requisito cui difficilmente si può rinunciare senza
far venir meno le condizioni per quella stessa libertà che sono venuti
cercando.
Inoltre, se guardiamo con attenzione lo stile di vita della modernità, dai
più è vissuto in maniera omologante ed acritica cioè, sostanzialmente: il
consumismo rappresenta la pratica religiosa reale ed universalizzante
dell’occidente, anche senza bisogno di un clero o di una teologia esplicita.
Dunque il richiamo che i fondamentalisti fanno al loro popolo in
migrazione è, in effetti, corretto: attenti, immagino dicano tutti, attenti che
lo stile di vita degli infedeli vi porterà fuori della grazia di dio. Ed è vero,
la tentazione dell’occidente rappresenta davvero la possibilità di convertirsi ad
un’altra religione, e non quella cristiana ma quella della modernità
consumista, e semplicemente, attraverso l’inaspettata ritualità di uno stile di
vita.
I nostri fondamentalisti vorrebbero quest’occidente ancora cristiano, ma
non è vero, non è più vero. I progressisti dovrebbero dire che ormai siamo un
paese compiutamente laico, ma neanche questo è vero perché, in realtà, siamo
già pienamente assorbiti nella dimensione religiosa della modernità.
L’opportunità della cittadinanza in un paese democratico sembra allora offerta
al prezzo dell’adesione alla religione del consumo. E’ vero, ma non è
obbligatorio, non è ancora religione di stato! Il supermercato è comodo ma
costa, il supermercato fa ammalare e prima ancora annoia e sono in molti, oggi,
quelli che cominciano a cercare delle alternative più salutari e più
interessanti!
L’Italia era ancora contadina nella prima metà del novecento, poi è
stata operaia in fabbrica, e poi solo più genericamente “impiegata” nel settore
terziario. Che vuol dire? Servizi, logistica, commercio, tecnici specializzati,
assistenza, istituzioni… Riassumendo vuol dire che compriamo le merci, le spostiamo,
le consumiamo… e ci facciamo assistere! Chi produce? Boh, forse è anche per
questo che siamo in crisi.
Un ciclo per noi è finito. Abbiamo colonizzato e rubato risorse, poi
abbiamo trasformato il bottino nei beni che volevamo consumare e poi ce li
siamo spartiti… fino all’ultima briciola! Oggi l’Italia non è più il paese del
boom economico, delle industrie e del posto fisso, gli stipendi sono finiti e
restano solo le ultime pensioni dei vecchi, ma da spartire con le badanti.
Oggi l’Italia è il paese del disastro, sociale e ambientale. Oggi
l’Italia è un paese che deve ricominciare a considerarsi povero e che ha
urgenza di ricostruire tutto: ritrovare una sua autonomia produttiva agricola, immaginare
una gestione del territorio un po’ più lungimirante che in passato e, condizione
essenziale, tessere una nuova rete sociale capace di fare tutto ciò.
Accomodatevi, in questo senso c’è un sacco di lavoro per tutti, oriundi
e migranti!
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