Tutte le civiltà sembrano iniziare con un grande lavoro di osservazione
astronomica. Cinesi, caldei, indiani, egizi e amerindi: tutti sono stati in
grado di identificare le stelle fisse e dunque sfruttare il preciso
orientamento geografico che esse permettono.
La stella polare indica il nord e, con buona approssimazione, questo può
essere bastato ad orientare il cammino nei tempi lunghi dell'evoluzione degli
ominidi.
La volta celeste ruota attorno alle stelle fisse, un po' ogni giorno, ed
in un anno completa il giro. Un qualsiasi riferimento naturale - una roccia, un
albero, la cima di una montagna - è sufficiente per rilevare quel movimento e
permettere, precisamente un anno dopo, di tornare in quello stesso luogo ad
apprezzare la conclusione di un ciclo stagionale.
Non serve matematica né telescopio, il raccoglitore guarda il cielo ed
ogni sera verifica l'approssimarsi delle stagioni: giorno più o giorno meno, non
fa grande differenza.
Le piramidi invece, o le zigurat, i templi atzechi o i menhir, rivelano
una specifica osservazione, una capacità di calcolo e previsione che vanno ben
oltre l'interesse del raccoglitore. Grandi sforzi per erigere quei monumenti
ovviamente, ma anche un "clero" capace di amministrare un calendario
astronomico precisissimo, di impressionante precisione se teniamo conto, ad
esempio, che un piccolo moto, piccolo ma essenziale nei calcoli, come la precessione
degli equinozi rappresenta un ciclo di 25800 anni! A che pro?
Quale utilità pratica poteva avere questa grande attenzione alle stelle?
Grande domanda questa, evitata però dagli storici, che sembrano dare per scontata la
bontà intrinseca di un progresso storico e dei suoi inizi.
Possiamo provare a rispondere che l'astronomia serviva semplicemente ad
autogiustificare il clero e le istituzioni che rappresentava. E questa mi sembra
essere la principale ragione pratica a spiegare la nascita di tale disciplina.
Ma anche testimonianza di un'attenzione che si sposta dall'interno all'esterno.
Dall'interno del cerchio della vita, delle sue forme e ciclicità, all'esterno
del contesto cosmico. Dall'autopercezione corporea e dalla profonda
comprensione della realtà che ne può derivare, all'osservazione del cielo che,
invece, conduce ad una conoscenza astratta e ad una potenza di calcolo da
sfruttare tecnologicamente.
Allora se è vero che non c'è civiltà senza calendario, forse, più
precisamente, non c'è civiltà senza la perdita, gravissima, della capacità di
guardarsi dentro: un tradimento di sé che paghiamo caro e che ci lascia,
confusi sotto le stelle, a guardar scorrere via il tempo!
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