fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

sabato 7 giugno 2014

Fotti tu che fotto anch'io


Questa mattina su Radio Capital ho sentito l'intervista allo scrittore veneto Francesco Maino, vincitore del Premio Calvino 2013 con il libro "Cartongesso". Interpellato sulla novella tangentopoli del nordest, e non lontano dal pensiero dei grillini, è arrivato a proporre la formazione di un nuovo CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) nell'intento di una resistenza popolare all'egemonia del malaffare.




Allora, se c'è qualcosa di buono nell'epoca in cui mi sono trovato a vivere, è proprio la fortuna di non aver incontrato questo genere di processi di piazza. E la critica che mi viene da muovere non è solo alle forme del fare giustizia, ma all'impossibilità di affrontare il nocciolo della questione: il fottere, perché fottere, e perché soprattutto ci stupiamo che, in un mondo dove tutti fottono, il politico debba essere da meno!
Ad ipotizzare un processo popolare al fottere quello che più si fatica ad immaginare è la formazione della giuria. Il cittadino urbanizzato fotte il contadino, chi ha ereditato soldi e privilegi fotte chi invece non ha ereditato nulla, chi è andato in pensione a quarant'anni con la complicità del sindacato fotte le nuove generazioni... Dovremmo portare in tribunale anche mogli e figli di tutti gli imprenditori e politici corrotti? Mogli e figli in qualità di complici e mandanti?
L'indegno Craxi a suo tempo si giustificò, di fronte alla Camera dei Deputati, con un biblico "chi è senza peccato scagli la prima pietra". Ed è vero perché il peccato è anche l'accettare lo sconto del dentista sorvolando sulla fattura, o pagare in nero il lavoretto del rumeno di turno... sarebbe veramente difficile, oggi in Italia, formare una giuria popolare di cittadini davvero onesti.
L'ultimo secolo è stato speso nello sforzo, encomiabile di per sé, dell'emancipazione dell'individuo: dagli ultimi privilegi aristocratici, dalla famiglia, da religione e tradizione. Ci è piaciuta l'idea di una società che garantisca la piena libertà individuale. Ci è piaciuta talmente che ora non riusciamo più ad immaginare nulla di più complesso di un atomismo consumista!
L'individualismo può cedere, e relativamente, solo di fronte alla necessità della continuità della specie: è proprio difficile far figli da soli! Ma anche qui ci stiamo impegnando, pensate alla fecondazione assistita o ai sussidi statali (negli USA, a quanto ne so, molte madri single, nere e povere, preferiscono crescere i figli con l'aiuto dello stato piuttosto che con il partner disoccupato). L'egoismo della coppia monogama, in sostanza, non è meglio dell'individualismo del singolo. Pensate che in Italia, per arginare l'invadenza criminale del familismo mafioso, stiamo sperimentando l'efficacia (ed è questo il portato dei coraggiosi Falcone e Borsellino) del sequestro di interi patrimoni famigliari costruiti nell'illegalità.
In alternativa ad improbabili processi popolari possiamo concepire un pubblico dibattito sul nostro assetto individualista, dove non ci sono imputati da accusare ma c'è la presa di coscienza che a questo gioco, chi più chi meno, abbiamo partecipato tutti. Certo, i più volenterosi e ostinati hanno votato per vent'anni Berlusconi, che del fottere è la perfetta icona, e pure certificata da parecchi tribunali! Ma la sinistra ha anche fatto la sua parte: richiamandosi ad un presunto valore morale, la politica come servizio, ha falsificato la natura delle istituzioni. La gestione del potere in realtà è sempre gestione della debolezza, e la debolezza - cioè i limiti di una cultura, di uno stile di vita, i limiti umani, fisici e cognitivi di una popolazione - è all'origine di quella delega in bianco che il politico professionista non aspetta altro che raccogliere e trasformare in potere.
Allora, tribunali e processi non possono cambiare questo genere di cose. Il cambiamento, forse, può solo arrivare dal riconoscere l'individualismo come limite, handicap umano: l'individualismo che cede solo alla complicità di genere o che, per meglio dire, da questa si origina; perché l'individualista è sempre figlio di una famiglia e a questa può, al massimo, tornare a riferirsi, portare il bottino; perché la famiglia in realtà non è mattone di alcun ordine sociale, bensì impedimento di qualunque forma di complessità che vada al di là di un misero consumismo. Fino a poco tempo fa sembrava che il politico rubasse per il suo partito, oggi è evidente a tutti che il politico ruba per sé e per la sua famiglia... ma è anche quello che fanno tutti! Il legame sociale si è spezzato.
Se vogliamo metterla su di un altro piano non stiamo a parlare di quanto è sparito dalla cassa, ma parliamo dei valori di umanità di cui ci siamo deprivati con questa impostazione. Il fattore di genere c'è, maschi e femmine sono fisiologicamente diversi e diverso è il modo di fottere ma per tutti, alla fine, è un fottere che si ritorce su se stessi. Al mafioso e al politico corrotto possiamo solo ricordare che sono loro le prime vittime del fottere, che sono succubi della loro stessa famiglia.
Questo è l'assetto che impedisce quella comunanza di genere che è invece fondamentale in una specie sociale come la nostra. E' il matrimonio, è l'incontro complice tra due modalità del fottere che fa questa Italia criminale che oggi ci stupisce tanto: desocializzandoci dal nostro gruppo di genere, il matrimonio produce un malessere generalizzato che poi, per compensazione, ci fa sembrare normale una società basata sul fottere!
In sostanza, dovremmo considerare il politico che ruba o il criminale mafioso come un soggetto con un grave handicap umano, bisognoso quindi di assistenza: un essere che ha perso la capacità sociale, il cui individualismo lo porta ad una vita misera, lui e la sua famiglia contro al mondo intero!
Un soggetto da reintegrare nel branco umano... Peccato che il branco ancora non ci sia e che tutti, in varia misura, condividiamo la sua miseria.

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