fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

domenica 15 settembre 2013

Modernità islamica

Non si riesce a criticare la religione quando si è religiosi a propria volta. Così il mondo occidentale, appena emancipatosi dalle proprie cristianità, non sembra capace di riconoscere all'islam la  responsabilità delle violenze in corso.
Il perché mi sembra chiaro: abbandonata la parrocchia, la modernità si è solo spostata al supermercato! Il consumo rappresenta la religione della modernità globalizzata, e religiosi continuano a dimostrarsi i suoi comportamenti.
Qui si dice che è la religiosità, di per se stessa, l'insana "tecnologia" sociale che sta distruggendo il pianeta.
Ecco, stralciato da Stato di Grazia, un tentativo di inquadrare la modernità islamica.



Anche a riguardo della sua fondazione il discorso va approfondito perché, a fianco della virtualità monoteista, “la crudeltà del fondamentalismo islamico è che permette solo a un popolo – gli arabi, il popolo originario del Profeta – di avere un passato e luoghi sacri, pellegrinaggi e onoranze della terra. Questi luoghi sacri arabi diventano i luoghi sacri di tutti i popoli convertiti. I convertiti devono sbarazzarsi del proprio passato; a loro non si chiede altro che una fede purissima (se mai è possibile una cosa simile): islam, sottomissione. La forma più intransigente di imperialismo.” (Naipaul V.S., op. cit.)
Virtualità e sradicamento – i due “salti di livello” che abbiamo identificato come elementi essenziali d’una modernità conclamata – dall’islam sono promossi assieme e fin da subito. In sostanza la fondazione di un’ideologia per l’elite, nell’islam viene a coincidere con il pieno coinvolgimento dell’intera popolazione. Nella sottomissione si tradiscono assieme corpo e parola. E questo allora può forse spiegare un particolare atteggiamento nei confronti della realtà, in primo luogo di quella delle reali fonti di sostentamento della comunità. “Al punto più basso delle opzioni possibili stanno le campagne, che sono anche la realtà meno nota nonostante, ieri come oggi, la maggioranza della popolazione sia contadina.” Misconosciuti i contadini, così come la loro aggregazione territoriale di base: “il villaggio non ha visibilità storica. Se lo si definisce, lo si fa in negativo, quell’agglomerato che non possiede le caratteristiche della città, i simboli del potere, le grandi strutture pubbliche, il tribunale.” (Scarcia Amoretti B., Un altro medioevo, il quotidiano nell’islam, Laterza, Bari 2001)


Il fraintendimento è che il problema non sta nel capire quando e in che misura il mondo islamico potrà mai pervenire ad un’idea “edulcorata” di modernità… quanto la cruda constatazione che “la modernità è islamica”, di per se stessa, nei suoi elementi fondanti!
Avendo optato per la teo-tecnologia monoteista nella sua versione pura, gli islamici sono stati moderni fin da principio. La sottomissione al dio virtuale contempla il radicale tradimento della realtà, del corpo e della parola, conversione istantanea e complessiva: un solo atto di fede riassume le due tappe che il cristianesimo ha messo a principio e compimento, intervallate da una storia millenaria ma di fatto “inessenziale”.


L’economia del mondo islamico è caratterizzata dalla centralità del commercio e dalla superiorità di questo nei confronti non solo del lavoro agricolo, ma anche dell’artigianato, del lavoro manuale ed in generale di qualsiasi attività produttiva. “Dove non esiste mercato in senso proprio, significa che non si è ancora entrati nella civiltà vera (…) Il mercato per sussistere, ha bisogno di intraprendenza, di iniziativa: al suo trionfo deve necessariamente contribuire uno spirito capitalistico che punti al profitto.” (Scarcia Amoretti B., op. cit.)


E con questo veniamo quindi a toccare il punto di maggior attrito con la società occidentale, il fatto cioè che il corano non è per nulla ambiguo nel presentarci una visione del mondo tripartita: il “noi islamico” si contrappone al “resto infedele”, a sua volta distinto tra i “fratelli del libro” e “gli altri”. Il destino degli altri è genericamente e tragicamente l’oggetto del semplice dominio biblico. “Altro” è il mondo da sfruttare, il saccheggio della risorsa naturale, il selvaggio da ridurre in schiavitù… in piena corrispondenza con il generale comportamento della modernità.
Ed anche il rapporto con quanti si è costretti a riconoscere come complici è della stessa natura di quanto agito in pratica dal mondo occidentale. I “kafiruna”, gli infedeli ebrei e cristiani, i “fratelli del libro”, sono l’ossessione costante del corano, tanto che una gran parte del testo sacro è spesa nel predirne ogni male e dannazione… ciononostante sono quelli con cui si può trafficare e vanno “rispettati”, un rispetto che ne regolamenta la caccia.
Ma la tensione di quella “caccia” è quanto accomuna tutti i monoteismi. E forse proprio la necessità, per entrambe le parti, di tener alta quella “tensione tecnologica” è all’origine, emblematicamente, dell’eterno e irrisolvibile conflitto israelo-palestinese.
In realtà ogni espressione identitaria moderna, negando un’effettiva comprensione dell’altro e di se stessi, comporta un “sentirsi più belli degli altri”: dal nazionalismo al farsi portatori di pace, d’umanesimo o di “guerra preventiva”. L’altro da sfruttare è uno dei due elementi essenziali alla tecnologia del fottere, ma fin qui nulla di nuovo.
Il problema sta nel dichiararlo. L’occidente ha speso l’ultimo secolo almeno, nel tentativo esegetico di “ripulire” il suo testo sacro, e nel montare il suo apparato ideologico per negare l’evidenza della fottitura, a se stesso prima che agli altri. Ed ora che quello sforzo aveva forse prodotto il giusto “lucchetto teologico”, in una moderna società dove laicità, rispetto e democrazia sono “indiscutibili”, appunto perché ideali… ora l’islam presenta il conto!
Il monoteismo presenta il conto, il monoteismo della virtualità, che rappresenta il cuore della modernità stessa. Il problema è dell’occidente, sua la scelta di “credere alla propaganda”… l’islam, correttamente, s’è limitato a sfruttarla.

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