Federico Caprilli 1869-1908 Masanobu Fukuoka 1913-2008
Che cos'hanno in comune un agronomo giapponese e un militare italiano?
Il coraggio di buttare via le certezze della tradizione e l'intelligenza per
ritrovare un rapporto più diretto con la realtà.
Caprilli, non è certo un intellettuale: nella vita si distingue solo per
le doti equestri e la capacità amatoria. La sua irriverenza gli preclude ogni
carriera militare e i casi della vita gli negano perfino un funerale ufficiale
oltre alla riconoscenza storica. Gli italiani non lo sanno, ma si può dire che
tutto il mondo monta "all'italiana", e quando vedete per esempio una
gara ad ostacoli, ebbene quelli saranno tutti salti nello "stile
caprilliano".
Sì, per quanto possa sembrare sconcertante, fino al tribolato avvento
del “metodo naturale” inaugurato da Caprilli, i cavalieri di tutti gli eserciti
erano convinti che il cavallo non potesse fare il salto se non “aiutato” dal
cavaliere: buttare indietro le spalle e tirare in bocca il cavallo per alzargli
la testa, ovviamente causandogli forti sofferenze ed oltretutto impedendogli di
guardare dove mettere i piedi.
Così è stato addestrato Caprilli, il quale però i cavalli li guarda e si
accorge che quando saltano da soli fanno tutt’altro: incurvano la schiena e
guardano per terra dove atterrare. Decide quindi di provare ad assecondare quel
gesto ed il suo “metodo” è un risultato indiscutibile che finisce per imporsi a
livello mondiale in ogni competizione: mentre gli altri faticavano a saltare un
metro e mezzo, lui ne salta due con disinvoltura… All’inizio del novecento ben
trentatre stati manderanno i loro ufficiali di cavalleria in Piemonte, alla scuola di cavalleria di Pinerolo, per
apprendere il nuovo metodo.
Quello che Caprilli fa con i cavalli, Fukuoka lo fa con la terra. Anche
lui è addestrato al vecchio metodo: studia ed inizia a lavorare da agronomo in
un epoca di trattori e chimica. Ma è capace anche di guardare la natura ed
accorgersi di un paradossale accanimento: enormi sforzi di petrolio e
tecnologia… per riprodurre, male, quello che la natura fa spontaneamente, cioè
accrescersi, autofertilizzarsi.
Fukuoka applica di fatto il principio della micorrizzazione: seminando
trifoglio e altre leguminose, evitando di arare ma sotterrando legno e
pacciamando la superficie si occupa di preservare e incentivare la complessità
dell’humus. Della salubrità e delle qualità organolettiche delle produzioni
dell’agricoltura naturale abbiamo già parlato in questo blog.
In tutti e due i casi la novità è rappresentata da un criterio di “non
azione”, un criterio che permette di usare la complessità dell’animale come
della terra.
Ma questo concetto di “non azione” è anche stato l’oggetto di un
fraintendimento che ha preso un’intera generazione di aspiranti contadini
naturali. Sono più quelli che hanno buttato palline di argilla su terreni
sterili producendo il nulla… di quanti si sono resi conto che ci va almeno una
decina d’anni di lavoro per ottenere quel substrato ottimale di terra che poi
non tocchi e non muovi più.
Lo stesso dicasi per Caprilli. Col suo metodo generazioni intere di
figli di buona famiglia hanno potuto credere di saper cavalcare solo perché il
loro cavallo gli faceva saltare facilmente un metro e mezzo, senza rendersi
conto che quel metodo implicava anche la presa in considerazione della serenità
complessiva dell’animale, cosa che puoi ottenere solo perdendo personalmente un
mucchio di tempo dietro di lui.
Se qualcuno è incuriosito dal personaggio Caprilli, può leggere “Quando
l’automobile uccise la cavalleria” di Giorgio Caponetto, ed. Marcos y Marcos. Oltre
alla simpatica e breve vita del tenente toscano vi troverete anche le origini
della Fiat, una bella fetta di casa Savoia e la vicenda ancora tutta da
chiarire della morte violenta di due giovani: il Conte Emanuele di Bricherasio
ed il suo amico del cuore Federico Caprilli. Non è un capolavoro della
letteratura ma è ben documentato storicamente, ed allora potrete anche intuire
perché questo Caprilli, sotto sotto, non lo vuole proprio rivendicare nessuno!
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