fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

domenica 4 agosto 2013

Ragionando di ecovillaggi

Caro Antonio,

tu chiedi quali basi servano per una convivenza di gruppo, le economie certo devono
essere concrete e "sincere" (nel senso di basarsi sulle capacità personali e non su
privilegi acquisiti, di famiglia, titolo di studio etc.) e in quanto all'ideologia è
meglio fare bene attenzione che non se ne radichi alcuna per non rischiare di perdere il
realismo che mi sembra necessario per un'alternativa al vivere moderno.
Ma il problema vero è che quando arriviamo a constatare razionalmente che sarebbe più
ecologico vivere associati, spesso non siamo consapevoli delle nostre reali capacità
relazionali. Il problema vero è la nostra personale voglia di relazione che, in genere
nella modernità, è decisamente scarsa!
Allora, normalmente sono disponibili delle tipologie di relazione: il partner o gli
amici. Col partner si ha di solito un rapporto di intimità, con esso si prendono le
decisioni importanti della propria vita, si sceglie cosa mangiare e dove andare in
ferie, come educare i figli... Mentre l'amicizia conserva in genere una funzione di
sfogo, di gratuità, di "purezza": gli amici si frequentano per puro piacere ma, in
genere, non ci si va a vivere assieme, spesso si riservano degli ambiti autonomi e
circoscritti per i propri amici e per le attività ludiche attorno a cui ci si ritrova.
Ora, non penso assolutamente che la particolare intimità di una relazione di coppia sia
da buttare, né che nell'ecovillaggio del futuro siano da bandire le amicizie. Penso solo
che, oggi, la dimensione delle nostre personalità, e quindi la distanza che possiamo
permetterci fra gli uni e gli altri, sia più grande di quella che potrebbe legare un
gruppo di persone attorno ad un focolare.
In sostanza, una recondita forma sociale richiede il suo respiro ma noi, per le nostre
rigidezze, sappiamo rispondergli solo in modi spesso stereotipi, coppia o amicizia,
ciascuno dei quali mancante di qualcosa.
Attorno ad un focolare penso che si possa stare solo a condizione che ciascuno risponda
per sé. Questa è la differenza da una qualsiasi famiglia, gente che non si è scelta e
che ci costringe ad un grosso e inutile sforzo edipico per distaccarcene e poter
crescere. Rispondere per sé significa dunque un'adesione personale, ma a che cosa?
La scelta dello stile di vita mi sembra la cosa che può unire un gruppo, ma in una
logica in cui non si esprimano gusti personali (inevitabilmente divergenti) quanto
invece si ricerchi una comprensione della comune forma biologica, la forma della specie
umana, di ciò che gli serve fisiologicamente e del cibo più appropriato alla gestione
della sua salute e autonomia (e questo è invece un processo convergente!).
Non si tratta di formulare un codice di regole, ma di identificare un criterio che
permetta di ragionare su tutte le cose che compongono uno stile di vita,
un'elaborazione, questa, sempre viva e sempre potenzialmente ridiscutibile di fronte a
nuove esperienze personali.
Ma è qui il difficile, perché se uno mi dice, ad esempio, che lui latte e formaggi li
digerisce proprio bene e si sente in ottima forma... che posso dirgli io? Che si sbaglia
e che è ottenebrato dal suo stesso alimento, che si sta raccontando un sacco di palle e
che, cosa più grave, le sta contando a me ed io questo non lo posso accettare...?
E chi sono io per dirgli questo? Se non sono il suo partner che diritto ho io, "da
fuori", di dire che si sbaglia?
Per questo "non accettiamo coppie" nel senso che non vogliamo né possiamo fare "cose
serie" (come appunto parlare di convivenze ed ecovillaggi) con qualcuno che si riservi
per sé e all'interno di un'intimità di coppia la decisione capitale su cose tipo cosa
mangiare e come allevare i figli.
Allora mi sembra indispensabile individuare un fulcro centrale attorno al quale
inventarsi, o meglio, riscoprire un alternativo patto sociale "di branco" (un po' di
sana animalità a sostituire termini di progresso e civiltà...). E questo fulcro mi
sembra che non possa essere altro che la condivisione degli strumenti essenziali per
coltivare l'autonomia e la complessità della forma umana.
Attorno a questa "condivisione culturale" (e all'attivo e costante lavorìo per
ottenerla) possono allora starci tanto i singoli che vogliano cercare delle buone
ragioni per stare con gli altri, quanto delle coppie che riconoscano la loro
strutturazione come un limite e vogliano provare ad immaginare la loro relazionalità in
senso più duttile e complesso.
Buoni propositi per il futuro, questi. Ora come ora le persone che gravitano qua attorno
hanno un solo pregio: non si sono fatte prendere dall'ideologia e dal velleitarismo. Non
abbiamo fondato né una Comunità (che ruota attorno al rispetto di qualche
regola,idealistica o religiosa che sia) né una Comune (dove invece ci si trova nel senso
del "liberi tutti"... di andare dietro i propri gusti). Siamo semplicemente andati a
vivere vicino: tre insediamenti nel raggio di dieci km che si trovano nell'alimentazione
(sostanzialmente criteri macrobiotici) e collaborano lavorativamente (scambiandosi ore
di lavoro, competenze e attrezzature). Un gruppo di uomini che, per ragioni diverse,
sono arrivati a sperimentare una forma sociale del maschile, collaborativa e
spontaneamente conviviale.
Allora è proprio  abbandonando l'idea della centralità della coppia che è possibile
qualcosa di diverso. Sottraendosi alle aspettative delle proprie "mogli" gli uomini
possono guardarsi tra loro per provare a ricalibrare, in senso ecologico, il proprio
attivismo virile e sperimentare la propria capacità di prendersi cura di qualcosa di
vivo (un orto, un figlio, un compagno di lavoro, una tavolata da sfamare...).
Alternativo all'individualismo, il riferimento al proprio genere sessuale può già essere
un passo verso il recupero di complessità. In ogni caso l'elaborazione collettiva di una
maschilità ragionevole deve venire prima del gioco individuale delle relazioni (prima in
senso logico ma anche temporale se pensi al gruppo dei pari, quel gruppo di amici che
tradizionalmente si scioglie quando tutti si fanno la fidanzata e poi si sposano).
Purtroppo la nostra esperienza si limita a questo: scorgere che una "società degli
uomini" è possibile ed immaginarne il portato. Per le donne penso che sia analogo ma non
speculare, per la particolare conflittualità e per la voglia di gerarchia che le
caratterizza.
Per tutti, uomini e donne, è però analogo l'aiuto che può dare un riferimento
impersonale come quello della "condivisione culturale degli strumenti di autonomia": se
già stiamo assieme per una qualche ragione, allora poi siamo più rilassati per provare a
fare delle nostre relazioni qualcosa di più complesso del solito "noi contro al mondo".

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