La rivista Boundaries è al 9° numero (www.boundaries.it - 1.Contemporary Architecture in
Africa, 2.Architectures for Emergencies, 3.Architectures of Peace, 4.The Other
City, 5.Architecture and Recycling, 6.Container Architecture, 7.Free
Architecture, 8.Architecture and Utopia).
"Do it yourself architecture", il titolo di questa monografia. A parlare non è più l'architetto dei piani regolatori, delle ville a
schiera, dei grandi complessi residenziali, ma un laureato disoccupato
costretto a ridefinire il suo ruolo: la professione di un tecnico al servizio
dell'istanza del costruire e dei soggetti che la esprimono.
"Nel mondo "sviluppato" si è favorita una diffusa
resistenza, anche culturale, all'idea che le persone possano realizzare da sole
un alloggio dignitoso, salubre e solido; un alloggio, più semplicemente, che
consenta di godere delle gioie essenziali della vita."
Quattordici progetti da tutto il mondo, accomunati dalla mancanza
dell'architetto, più che dalla sua presenza: esperienze di autocostruzione,
co-housing, biblioteche, scuole ed edifici comunitari. Altri materiali, altre
tecniche costruttive, una gestione collettiva del costruire. Sembra la fine del
monopolio tecnico ed estetico del mondo occidentale, per la riconquista delle
capacità di autonomia e, più in generale, di umanità.
"Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le iniziative
autonome non sono un pericolo per l'ambiente, né di scarsa qualità, e
rispettano i migliori criteri di sicurezza: nella maggior parte dei casi i
risultati dei progetti di co-housing e di autocostruzione sono più sostenibili,
esteticamente gradevoli e funzionali dell'equivalente prodotto nel mercato
immobiliare di massa."
La riconquista di autonomia nel costruire, dunque, è la migliore delle
dimostrazioni di come l'assetto individualista sia superato. Limite di questa
rivista o, se vogliamo, limite della specializzazione professionale
dell'architetto, è l'evitare di porsi la questione fondamentale: qual'è lo
spazio della forma umana?
Questa interessante rivista può esistere proprio perché le forme sociali
dei decenni passati, la famiglia mononucleare dell'individualista e la relativa
villetta a schiera, sono superate. L'esigenza di una reale vita sociale si
presenta all'orizzonte e sarà in grado di cambiare radicalmente la nostra
concezione dell'abitare. Al riguardo vi ricordo le riflessioni che avevamo
iniziato qualche tempo fa con il post "Architettura ormonale".( 8 febbraio 2013)
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