fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

martedì 5 marzo 2013

L'arte fa bene?

Non mi capita spesso, non più di due o tre volte l'anno, di uscire dai boschi e andare 
in città per qualcosa di culturale, ma ieri sera l'invito a partecipare alla claque del 
concerto di un amico (unito al fatto che mi passavano a prendere) ha fatto sì che 
raggiungessi il castello di Rivoli con la prospettiva, oltre al concerto, del 
vernissage e di una visita gratuita alla galleria d'arte moderna.



Col vernissage chiudiamo in fretta, non so bene con quale criterio popolar-slowfood un 
intero maiale era stato macellato e spalmato nelle più svariate forme sul bancone del 
bar: nulla di commestibile! Stendiamo un velo pietoso anche sul concerto. Il rock 
nostalgico, riflesso dalla parete da 30cm di cemento armato della novella ed acclamata 
ristrutturazione del castello (già discretamente brutto in origine), era tante cose... 
ma nulla a che vedere con la musica.
Restava la galleria: tre piani di scale, enormi stanzoni riscaldati, ed una sequenza di 
installazioni.










Malcontati siamo in mille e io devo ammettere di non essere il visitatore giusto. Ma
non per il tipo di opere, non mi faceva una grossa differenza fosse stata una mostra
fotografica o un'esposizione di quadri di Dégas, è che non riesco proprio a capire
cos'è che devo prendere, e mi resta sempre il dubbio che sia un limite mio e che gli
altri 999 stiano invece godendo come dei mandrilli.
Al che li guardo, più interessato a loro che ai reconditi significati delle opere.
Sorprendentemente, in questo luogo d'arte e creatività, ci trovo una stupenda
omologazione: cinquantenni con barba e pizzo, signorine trentenni vestite di nero!
Tutti con quell'odore di chiesa e di contrito rispetto, non una battuta un lazzo o una
risata: la presenza del Sacro!
Non so voi ma a me questo "sacro" stimola un compenso di materialità tanto che, di
fronte ad una vasca per terra con dentro un po' d'acqua, dopo un primo pensiero che due
tartarughine verdi ci sguazzerebbero bene, la mano scivola attratta da un materiale,
sarà piombo? Sì, e di fatti quello si deforma, mellifluo... Oh cazzo, con la mia
impronta l'opera d'arte non è più quella di prima!
Capisco che l'urgenza di una comunicazione possa prodursi in forma d'arte... non
capisco cosa dovrebbe darmi la "fruizione" artistica: 'che mi fa bene se passo un'ora
al giorno a guardare questo circolo di scarpe!?
Io non nego che dietro un'opera d'arte ci sia un impegno (fosse anche solo per mettere
assieme un mucchio di stracci). Qualcuno avrà dovuto esasperare qualche circuito
neuronale per arrivare a quest'opera: ricerche specialistiche, ma fruibili
semplicemente sul web, indicano che una cosa innocente come la visita ad un museo è già
di per sé una piccola fonte di eccitazione. E forse la ridondanza dell'opera d'arte
religiosa ha proprio questa spiegazione: in un'epoca dove non esisteva la televisione,
e pure le immagini erano rare (non c'erano riviste, foto e cartoline illustrate), la
noia mortale di una messa veniva mitigata dal fulgore vitalista dell'immagine (e noi
calvinisti ne eravamo perfettamente coscienti: in una chiesa valdese il massimo della
distrazione è il tubo della stufa!).
Questo è l'effetto dell'opera di un artista, che lo è diventato esasperando il suo
individualismo, su degli spettatori che cercano nell'arte la vitalità che gli manca.
Ma questa fisiologia non quadra con la facile spiegazione dell'arte contro la guerra
(Guernica in testa). Vi ricordo che Napoleone, che pacifico non era, non riusciva a
trattenersi dal rapinare tutta l'arte che incontrava, e che ad Hitler arrivavano ancora
treni pieni di quadri quando ormai era chiuso nel suo bunker...
Il settore interessato è quello dell'individualismo, dell'esasperazione degli organi.
Forse l'insegnante di educazione artistica non ve ne ha parlato ma se leggete la
biografia di qualche impressionista (provate ad esempio con la vita di Renoir) vi
renderete conto da quanto alcool era innaffiata l'opera dell'impressionismo. Qualche
esperienza l'ho fatta anch'io (tranquilli, non da pittore, ma da semplice alcolista) e
vi posso assicurare che certe gradazioni alcoliche sono parecchio "impressioniste"!
Un amico, dalla buona cultura, un giorno mi ha fatto vedere un catalogo di
espressionisti. Al fondo c'erano i ritratti degli autori, e lui mi ha chiesto "cosa
trovi di comune in tutte queste facce?" Era evidente, avevano tutti dei menti molto
pronunciati. E allora? gli chiedo, che attinenza ci può essere con la produzione
artistica? Alcuna finché non accostiamo dei dati scientifici curiosi del tipo che "il
mento cresce" ai salmoni quando vanno in calore, così come ai ciclisti quando
esagerano con gli steroidi. Conclusione? Possiamo dedurre che questo gruppo di pittori
si fosse radunato sulla condivisione di una "esasperata cazzoneria". Mi diceva, "guarda
i loro colori, sempre violenti e con la predominanza del rosso, guarda la loro
ricercata mancanza di armonia, è la dialettica marte-venere: tutto ciò che è dinamico
penetrante veloce violento, dialettico a ciò che è morbido e armonioso".
Quindi basta con le fiabe, l'arte una funzione ce l'ha... ma è quella di una
stimolazione nervosa, sia in chi la produce che in chi ne fruisce.
In tempi ancestrali possiamo immaginare che dei bravi padri di famiglia, in logica
apprensione per i loro figli di fronte alla pericolosa esperienza di una prima caccia
grossa, e ben consapevoli del meccanismo fisiologico dell'empatia, preferissero
avvicinare per gradi la prole all'impatto psichico del confronto con bestie pesanti
qualche quintale!


In questo periodo sto vivendo qualcosa di simile con una cavallina, pur simpatica e
dolce, ma tutta da domare! Vorrei averla io una caverna come Léscaux, che mi abituasse
ad averci a che fare con quei tre o quattro quintali che, vi assicuro, possono
diventare all'improvviso molto "disordinati".
In tempi ancestrali questo poteva essere il senso neurologico della manifestazione
artistica: addestramento all'empatia con l'altro (la bestia grossa) e col proprio corpo
(la reazione viscerale che comporta); e non la guerra, perché allora la guerra la
facevi per mangiare, col bisonte e non contro l'altro.
E' oggi che l'arte è guerra. Nel tempo della civiltà l'arte si configura come esercizio
ed esasperazione guerresca, ed è così perché qui stiamo all'interno di una dimensione
individualistica: uno che alza il tiro... e molti che vogliono farselo alzare!

Quindi l'arte non fa bene, di per sé. "Fà", questo sì, come qualsiasi droga. Dobbiamo
solo scegliere se ci interessa coltivare l'estetica ed in quale verso, che posto
riconoscerle in un nuovo stile di vita.
Una proposta: facciamoci belli... stando in salute!

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