fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

venerdì 4 maggio 2012

L'Utopia dell'Ecovillaggio



Sarebbe bello esistesse davvero, nascosta in qualche bosco, una
radura di convivialità serena, autosufficiente, consapevole. Un
posto, il posto giusto che rigenera e conforta l'individuo, sperso e
ancora frastornato dal chiasso, ferito d'abbandono. Sappiamo cosa
critichiamo, e allora perché non dovrebbe essere semplice fare
altrimenti? Qui s'usa il consumismo, e allora noi saremo frugali;
qui vige la proprietà, e noi metteremo in comune; qui s'impone la
maggioranza ma noi vorremmo essere tutti d'accordo...

Nell'immaginare un futuro mondo ecologico, "risolto" dal nostro male
di vivere come dalla violenza globalizzata, due sono le strade: una
vede l'ostacolo nella scarsa consapevolezza del singolo, e si
scoraggia nell'impossibilità di convincere tutti; l'altra confida
nel coinvolgimento collettivo di un nuovo modello sociale, e si
agita inquieta cercando la formula giusta.

Di questa natura è la proposta dell'ecovillaggio: una riforma
sociale capace di offrire il contesto adatto alla crescita della
persona, per una vita più sana, pulita e giusta.

E qui sta forse il limite intrinseco di un'esperienza che, seppure
minima o addirittura "sporadica" in italia, rischia di fare il suo
maggior danno nel bruciare l'intero campo della ricerca di nuovi
stili di vita e modi di stare assieme. Un limite non nei propositi
ma nei presupposti, in ciò che dà per scontato: la società.

Partire da una sostanziale accettazione dell'idea di società è
deleterio quanto l'accettazione dell'idea di coppia: la Società, 
come patto di sopportazione tra "non intimi", è conseguenza 
necessaria della Famiglia, invece troppo intima, che quel tipo di 
individui produce. Così è nella realtà dei fatti, questo è ciò che
siamo in grado di fare in certe condizioni, ma è di quelle
condizioni che siamo qui appunto a discutere.

La questione ecologica, il danno della modernità, è dunque un
problema di natura intima nel rapporto tra umano e ambiente? Ma di
che "intimità" parliamo? Qual'è la cosa di cui siamo più ritrosi a parlare?
La sessualità? Sì, se lì intendiamo il posto dei nostri maggiori impacci...

Se intendiamo "intimità" la disponibilità a riconoscerci, e
chiederci reciprocamente, onestà sui nostri "limiti" (che dovrei
citare unitamente ai pregi, da sottrarre al gioco dell'elogio, ma
questo è cosa sottile mentre è il riconoscere le proprie debolezze e
le proprie complicità che brucia!), allora non accetto che venga
circoscritta alla particolare profondità di un rapporto di coppia.
No, questa "intimità", quest'essere consapevoli dei propri limiti, è
il livello che pretendo da una qualunque convivenza. E' lo stile di
casa per chi mi viene a trovare. Qualcuno lo potrà trovare
indecente, ma a casa mia non ci sono regole, ne' assemblee:
ci sono io!

Questo potrebbe essere il criterio di un mondo non individualistico:
dovremmo fare delle nostre case un posto dove si riconosca la realtà
dall'ideologia, dove si coltivino individui consapevoli e dove la
sincerità valga come moneta di scambio in tutti i rapporti con gli
altri. La salute dell'individuo e la vitalità del suo "branco",
possono allora proiettarsi attorno a sé in una "società intima", una
società di adulti consapevoli di se stessi, e dunque "potenzialmente
intimi".

Non ci sono alternative: se non è l'individuo a produrre le forme
sociali, allora è la Società a formare gli individui, con le sue
regole e tutte le sue rigidezze. La salute, ovviamente, è il
discrimine.

Solo se siamo in grado di un confronto diretto con l'altro, possiamo
pensare di giungere a condividere una cultura della cura di sé (il
riferirsi ad un'idea di forma dell'umano come il solo criterio
legittimo per stare assieme, per nutrire un tessuto sociale, per
aggregare cultura e complessità umana), altrimenti, nonostante le
migliori intenzioni, potremo solo riformulare vecchie regole
producendo nuove contraddizioni.

Così è, nella pratica, che la maggioranza democratica non è affatto
turbata dal consenso assembleare di un ecovillaggio. Così il
comunitarismo si rivela solo un'altra forma di dipendenza. Così la
fantasia è scarsa da non sapersi inventare altro che un commercio di
carne, olio e vino buono del sud... (limiti invalicabili dello
slowfood mediterraneo).

Nel tempo in cui l'idealità democratica si dimostra ormai frusta,
corrosa di corruzione, l'ecovillaggio compare come una delle tante
forme di "insignorilimento" che spuntano come funghi nella provincia
dell'impero globalizzato, fianco a fianco con la corte cintata della
villetta a schiera e le sue telecamere.

L'umano va socializzato, è vero - altrimenti si produce proprio
l'esasperazione di quell'individualismo che critichiamo - ma non è la
retorica dell'utopia a poterlo fare. Lo può solo la cruda realtà ed
il confronto con l'adultità di chi ci sta intorno.




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