fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

lunedì 25 novembre 2013

Storia minima dell'umanità


Prima non facevamo danni, poi abbiamo cominciato a farli!

Questo l’essenziale della storia naturalistica dell’umana specie. A scuola ci hanno insegnato che l’oggi è frutto di una sudata evoluzione. “Progresso” però potrebbe essere solo il nome pietoso che diamo alle nostre stampelle: oggi abbiamo l’ospedale perché prima non eravamo capaci a farlo… oppure: l’ospedale ce lo siamo costruito solo oggi perché fino a ieri eravamo capaci di tenerci in salute da soli!
Fate un po’ voi, è solo (?) una questione di interpretazioni. Qui stiamo provando a verificare la seconda ipotesi, ce la suggerisce la razionalità e quel poco di esperienza della vitalità che si scopre tornando ad una sana alimentazione e ad uno stile di vita rispettoso della nostra forma animale. Ma ricominciamo…

C'è un prima, molto lungo, naturalisticamente complesso e sostenibile, e poi c'è un dopo, tecnologicamente potente ma destinato inevitabilmente a concludersi con l'esaurirsi delle risorse che sta sfruttando.

Di quel prima non sappiamo molto, è tutto da ricostruire con l'immaginazione ma, questo, è un esercizio comunque utile alla ricerca di altri stili di vita. Il dopo, cioè l'oggi, è solo da rileggere, crudamente, come sommatoria di semplificazioni. Di ogni cosa che ci sembra un frutto del progresso dovremmo chiederci cosa viene a sostituire, di quale complessità è l'involuzione. Facciamo degli esempi.
La soddisfazione esistenziale del nostro antenato non lascia molte tracce archeologiche, è invece l'inizio di elaborate sepolture e ritualità ad indicare un sopraggiunto problema di identità di fronte alla morte.
Oppure l'elaborata gestione delle risorse stagionali di un raccoglitore, che è intestimoniabile a differenza dei primi granai e villaggi stanziali neolitici, delle fortificazioni per proteggerli e delle inevitabili strutture di potere per amministrarli.
Ma, soprattutto, diversa doveva essere la definizione ed il gioco sociale delle identità di genere. Se la famiglia è la semplificazione generatrice dell'ipertrofia consumista (riassumendo: lui procura ciò che lei chiede, senza possibilità di critica), per l'ancestrale dobbiamo immaginare la dimensione collettiva di un branco dove uomini e donne sono socializzati dal loro gruppo di genere prima di ogni possibile gioco di coppia, una dimensione dove ancora si eserciti la responsabilità ecologica di chiedersi il senso degli obiettivi e commisurare i mezzi impiegati.
Fin qui il tentativo di qualificare l'esperienza attuale in relazione ai dati storici conosciuti. Poi si apre tutto il campo delle interpretazioni. Cosa sta facendo l'umano, perché sta giocando a mettere in pericolo la sua stessa esistenza? E' una specie che sta sperimentando la saturazione ambientale e poi forse troverà un suo equilibrio? E' un individuo in crisi? Una crisi adolescenziale che prepara ad una futura adultità?

Queste sono domande che diventano interessanti nella prospettiva di immaginare alternative alla vita moderna, alla civiltà storica, al suo paradigma della virtualità e alla sua etica del fottere. Ma, per tutti, resta l'essenziale, cioè un criterio di comprensione di ciò che stiamo facendo: corriamo pure in ospedale, quando serve, ma ricordiamoci che per tanto tempo siamo stati in grado di farne a meno!


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