fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

domenica 3 novembre 2013

Cambiare il mondo

Chi sostiene una critica radicale alla civiltà si trova in una posizione di solitudine culturale pressoché assoluta. Le reazioni personali allo scandaloso punto di vista della forma umana (l’autoaffermazione della salute sulle mille malattie possibili) possono essere due: democristiana o moderna.
Chi ti accusa di essere impietoso rispetto ai limiti inevitabili dell’esperienza umana (o peggio ancora, chi subito corre a cercare di rinfacciarti i tuoi), questi è il democristiano. Con lui non si discute: “non generalizzare” dice, “ciascuno ha i suoi tempi per maturare…”; non cerca di vincere lui, cerca piuttosto di ammosciare l’avversario!
Oppure c’è l’autodifesa della modernità, che già ha nome e si chiama postmoderno: abituarsi non tanto alla pluralità dei punti di vista quanto all’irresponsabilità di starci in mezzo senza mai prendere posizione, perché scegliere qualcosa significherebbe rinunciare al resto, all’infinito orizzonte dell’edonismo possibile!
Dal canto loro le ideologie ufficiali della modernità non sanno che ribattere. In tutti questi anni (per quel che mi riguarda dal 2007, da quando è uscita la provocazione culturale di “Stato di Grazia”) nessun marxista ha voluto respingere l’accusa di rappresentare soltanto la versione popolare dell’imperialismo. Alla stessa maniera nessun liberista ha reagito all’affermazione della natura sociale della specie (l’individualismo è fisiologico sì, quando hai il mal di pancia!).
Ma neppure nessun anarchico è corso entusiasta nella prospettiva di indagare la genesi di quel potere che ha tanto in astio (ciascuno di noi, anarchici compresi, genera potere nella misura della sua debolezza e della sua dipendenza dal moderno stile di vita).
Uscendo poi dall’ambito più strettamente politico la delusione arriva anche dal fronte femminista e omosessuale. Alcuna donna s’è difesa dall’accusa d’essere il mandante del crimine edipico (nell’esclusivismo sessuale “lui fa quel che lei chiede”, la famiglia come associazione a delinquere, di stampo mafioso o consumista che sia), ne’ alcun omosessuale s’è incuriosito per l’unica domanda fondamentale frutto della sua stessa emancipazione: qual è il ruolo sociale della fisiologica componente omosessuale di una popolazione?
Lascio un attimo aperta l’ultima questione per notare come, anche se personalmente ferisce, tutta questa latitanza intellettuale non fa che sottolineare la necessità e l’urgenza di un altro punto di vista, deideologizzato e finalmente realistico della forma dell’umana specie, per riaggregare un tessuto sociale capace di invertire la rotta e riparare i danni.
Sarà questo il fantomatico ecovillaggio del futuro (di un ritrovato futuro, perché per ora il problema è che siamo tutti senza futuro), sarà questa l’organizzazione dell’autonomia e della salute, la coltivazione dell’umana complessità?

Non lo so, so solo che chiunque voglia provarci si troverà di fronte, ineludibile, proprio la questione che prima abbiamo lasciato in sospeso: il ruolo del desiderio omosessuale nel mondo che ci immaginiamo.

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