fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

venerdì 16 novembre 2012

Gestione dei boschi


Nell'acquisizione dei due ettari di terreno per la nostra cascina ci siamo trovati a
gestire un ettaro di bosco ceduo in riva.
Il bosco presentava 40 querce d'alto fusto ed un troppo fitto sottobosco di nocciolo,
impraticabile ed asfittico per l'umidità. Non c'era alcuna vegetazione al suolo e
sembrava del tutto disertato dai volatili. Unica traccia un sentiero da cinghiali, un
cunicolo alto 60 cm tra la ramaglia.
Il nostro primo intervento è stato ripulire tutto dai noccioli e dalle acacie,
preservando invece carpini e frassini di qualsiasi dimensione. La pulizia è stata
rifatta per 4 o 5 anni per tirar via tutti i ributti di entrambi, poi il residuale è
stato lasciato vegetare.
Sono invece morte da sole una ventina di querce, nel corso degli anni, seccate o cadute
per il vento. Colpite per più anni successivi da una grossa infestazione di vermi
verdi, quelli che invadono anche i meli, e quindi defoliate a volte anche per due volte
nella stessa estate, si sono probabilmente indebolite o anche solo sbilanciate nella
crescita. Anche il castagno è stato lasciato o è stato lasciato pollonare anche se
sempre canceroso, ma su questi terreni purtroppo il frutto non ha il gusto che
dovrebbe.
Nel frattempo i rovi hanno ovviamente invaso le tante zone rimaste scoperte e, dopo
aver provato per qualche anno a frenarne la vitalità con falcetto e decespugliatore,
abbiamo imparato a lasciarli sfogare: in tre o quattro anni il rovo fa la sua fiammata
e poi si esaurisce da solo, la funzione cicatrizzante delle piastrine nel sangue,
lasciando un posto arricchito per successive complessità.
Il tentativo di condizionare il bosco con piantini di quercia rilevati dai terreni
circostanti è risultato fallimentare (pur con tutte le cure nel trapianto hanno
attecchito meno di due su dieci) confermando l'idea che sia preferibile passare dal
seme: nel tempo perso a trapiantare poche piante si possono invece interrare centinaia
di semi con risultati sicuramente migliori.
Questo lavoro di accudimento e pulizia ha dato i suoi frutti, a cominciare dal
ripagarci dal costo del terreno e dell'attrezzatura. Per fare due conti: ci siamo
scaldati tutti gli inverni (per una stima di 800 euro/anno) e dalla segheria sono
uscite tavole da falegnameria per un valore di 12mila euro; a fronte di un investimento
in attrezzatura consistente in trattore 60cv usato 3000 euro, carriola usata da 35q.li
2500 euro, spaccalegna verticale nuova 1300 euro, sega da trattore nuova 750 euro.

 
 


In sostanza, ora che un bosco nuovo spinge la sua chioma tra le vecchie querce ed il
sottobosco punteggiato di fiori e piante diverse comincia a popolarsi di qualcosa di
vivo... possiamo permetterci due riflessioni sulla gestione silvestre.
Nella gestione del bosco non c'è stata nessuna sedimentazione culturale, la
meccanizzazione ha semplicemente interrotto e sostituito la vecchia pratica, e cioè
l'impegno di lavoratori marginali come vecchi e bambini nella raccolta della ramaglia
secca, di utilizzo del fogliame per l'impaglio della stalla, delle ghiande per i maiali
o, nelle zone a vocazione, delle castagne. Oggi è ben difficile trovare un bosco
praticabile e nella nostra zona mi viene difficile indicare a qualcuno dove andare a
cercare funghi o farsi una passeggiata. I trattori hanno bisogno di spazio per fare
manovra ed è impensabile che qualcuno che ha investito 100 o 200mila euro in
attrezzatura non cerchi di ripagarsela in fretta: ogni inverno il manto boschivo viene
traforato dai lotti dove si fa legna, lotti che dopo venti o trent'anni dall'ultimo
taglio stavano appena faticosamente riavendosi, che vengono nuovamente rasati a zero e
devono ricominciare tutto daccapo infestandosi di rovi noccioli e acacie.
E non è questione neppure di regole da seguire: già esiste la prescrizione di lasciare
"le quinte", cioè una certa percentuale di piante giovani per il ripopolamento, ma da
un lato semplicemente non viene rispettata perché nessun preposto controlla, oppure chi
la segue non se ne chiede il senso e seleziona inevitabilmente piante inadatte: la
questione non è tanto quella di lasciare l'esatta percentuale numerica, quanto quella
di identificare le "madri", le piante in grado di produrre seme e di popolare dunque in
breve tempo le nuove radure aperte.
D'altronde le istituzioni dal dopoguerra ad oggi non hanno offerto esempi di
lungimiranza: le ferrovie hanno sparso per tutta la penisola l'acacia usandola per
impiantare le sue massicciate, mentre la forestale ha promosso con perseveranza il pino
cembro e molti agricoltori negli anni hanno sprecato tempo ed energie per sgomberare i
boschi da querce carpini e frassini ed ogni essenza autoctona per far posto a questa
conifera che, fuori dal suo habitat, è cresciuta male e neppure è usabile da
riscaldamento con la resina che sporca e incendia i camini: boschi silenziosi, senza il
volo di un uccello, a file ordinate come le tombe di un mausoleo...
In sostanza, il condizionamento di un bosco è più un lavoro di pazienza che di potenza,
ma abbiamo anche verificato che è possibile ed economicamente ragionevole. L'ultima
foto dimostra quanto il bosco superficiale sia conseguenza della geologia sottostante:
nello stesso piatto le ghiande piccole sono quelle del nostro bosco, su terreni che
sono un deposito alluvionale pietroso ricoperto da uno strato di argilla eolica, a
confronto con i frutti di un substrato con una componente calcarea.
Prossimamente racconteremo in dettaglio la nostra esperienza sul legno da ardere e da
falegnameria.


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