fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

martedì 14 agosto 2012

Maschio e femmina


Un cucciolo gioca, un adulto interdice.
Il cucciolo si ferma, la serietà del tono lo blocca.
Il cucciolo non può sapere l'entità del pericolo, è un divieto acritico, ma lui lo fa suo, così come mangia ciò che gli si porge.
Il limite è interiorizzato, ora potrà fermarsi da solo rispondendo ad un comando interno, un protocollo che s'è dato e che seguirà d'ora in avanti, almeno fino a quando non si sentirà abbastanza sicuro da metterlo in discussione... Ma questa è un'altra storia.
Qui mi interessa notare come quel limite interiorizzato possa rappresentare l'origine fisiologica del simbolico. Un comando, dapprima reale e poi solo più rappresentato dentro di noi, che può incidere sulla nostra forma, sugli atteggiamenti e sulla personalità: in una certa misura, da adulti saremo quegli uomini e quelle donne che avremo avuto attorno crescendo.
Questa è la constatazione per cui alla cultura si può riconoscere un'accezione meno accademica e più apparentata alla natura: dalla fisiologica dipendenza infantile all'adulta indipendenza, ma nell'ordine di una forma prestabilita dalla trasmissione culturale. Così impariamo le strategie del nostro gruppo sociale e, prima ancora, radichiamo le nostre identità di donne e di uomini.



Ora, possiamo chiederci se, alla fine del percorso formativo, quella cultura che ha preso a darci forma sia ancora in grado di interfacciare con la base fisiologica del nostro corpo. La risposta, in merito alla forma individualista contemporanea, sembra essere no!
La critica al moderno individualismo può essere allargata fino ai termini originari di critica all'ordine simbolico vigente, da molti descritto come "patriarcale": un canone di maschilità di un certo tipo, che prevarica il principio femminile ed invade l'intero campo sociale infondendo ognidove il suo segno, tronfio sovente ma anche, all'occorrenza, ammantato di neutralità.
La qualifica di patriarcale e la sua descrizione sono frutto, a mio avviso, di una semplificazione che ha reso un pessimo servizio a tutti, arenando la critica femminista e mistificando l'origine storica della civiltà.
Mi sembra fuorviante ipotizzare un originario matriarcato poi sopraffatto dal principio maschile, così come mi sembra scorretto qualificare il maschile nei termini di gerarchia, competizione, conflittualità, astrattezza.
Alcuni dati mi sembrano confutare nettamente queste concezioni. Da un lato, se indaghiamo le basi fisiologiche, il maschile sembra contrassegnato piuttosto dalla pluralità della truppa che dalla singolarità del capo: gli spermatozoi non "corrono per arrivare primi" bensì collaborano, avanzano come un flusso collettivo e chi non ha abbastanza vitalità non "soccombe" ma semplicemente cede il suo materiale ai vicini, tanto che se il numero di essi è troppo esiguo lo sperma che li veicola non riesce ad essere fecondo. Questa è un'evidenza empirica che, almeno in ambiente scientifico, ha ormai soppiantato il precedente stereotipo.
Parlando poi di stereotipi cade anche l'idea di una certa "amorevolezza" femminile: questo risulta evidente a tutti quelli che frequentano aggregazioni femminili, ma è anche ciò che emerge da un'analisi dei dati sulle violenze domestiche, dove le donne non sono da meno dei loro consorti dimostrando piuttosto un'aggressività incontrollata e maggiormente lesiva (The Anti-Feminist Online Journal).
Ecco dunque il sospetto che, non casualmente, l'ordine simbolico vigente inverta i ruoli, prescrivendo a ciascuno uno stereotipo mutuato dalla base fisiologica dell'altro.
Potremo allora permetterci di guardare con disincanto i nostri corpi e i nostri sessi? Potremo forse stupirci di un maschile di per sé socievole, collaborativo, vitale prima che razionale, coinvolgibile nell'entusiasmo per un obiettivo comune e gerarchico solo all'occorrenza, una virilità che si afferma per il realismo sui propri limiti ed un farsi adulti che limita l'ambito della competizione al confronto generazionale, così fornendo all'intero gruppo quella spinta aggiuntiva che rappresenta lo slancio vitale di ogni forma biologica?
Per questo maschile l'idea di un ordine simbolico è appunto solo astrazione, il rischio di una virilità incerta, la paura di un confronto troppo rimandato. Il maschile sottostà ad un ordine simbolico solo per debolezza, per forma incompiuta. L'edipo non è destino ma solo un incidente!
E' il femminile piuttosto, che dimostra una tensione perenne alla gerarchia, la singolarità dell'ovulo è frutto dell'espulsione di tre altre potenziali individualità (i nuclei polari durante la gametogenesi), ogni donna rappresenta nel gruppo un fattore parcellizzante nel tentativo di drenare risorse dalla sua parte, le condizioni del suo utero sono la sua priorità. Le donne non sono socievoli, patiscono i pettegolezzi, litigano e volentieri si feriscono alle spalle, ma ciononostante un meccanismo fisiologico indica precisamente un destino comune: un qualunque aggregato femminile in poco tempo sincronizza il ciclo mestruale, la comunicazione ormonale vince la dispersione e costringe a trovare delle forme di convivenza.
Ecco allora le basi fisiologiche dell'ordine simbolico della madre: il corpo femminile è sempre mutevole ma prevede anche dei meccanismi per tenere assieme, per fare corpo unico. Una donna crescendo può passare dalla condizione di figlia a quella di madre, e questa ambivalenza è sempre rivisitata, ad ogni ciclo, ad ogni gravidanza. Forse che una leader del gruppo femminile, una donna con più esperienza o magari già in menopausa, non possa servire ed essere cercata proprio per fornire un elemento di continuità, per dare una testa a quel corpo unico?
Una fertilità sincrona da coordinare, l'autocontrollo demografico da gestire in accordo con un gruppo maschile già di per sé coeso ed attivo sul fronte delle risorse, per un complessivo ed armonico inserimento della specie nell'equilibrio ambientale.
Il gruppo di genere è ciò che può dar ragione al desiderio omosessuale, il quale a sua volta non può che rappresentare il limite dell'esperienza di genere: è difficile immaginare un'intimità più che sessuale, ed il desiderio e la disponibilità a quell'intimità sono indispensabili per dare un'articolazione interna ai sessi che dia spazio alla complessità.
Il gruppo di genere è un'assunzione di responsabilità, è il riferimento essenziale di un'adultità complessa che voglia interrompere il circolo vizioso della riproduzione dell'individualismo: tutti dovrebbero potersi sentire genitori ma nessuno dovrebbe poter pensare di rappresentare il tutto per un cucciolo.
Insomma, le nostre identità sessuali non possono che spendersi in forma plurale e associata, ma questi gruppi, per evitare la complicità, devono rispettare la fondamentale asimmetria che gli è costitutiva.
E' bene dunque che l'ordine simbolico torni alla madre parché, in realtà, non è dell'uomo. Agli uomini è sufficiente quest'ammissione, l'ordine simbolico non ci appartiene e se vi cadiamo è solo per debolezza. Mentre le donne, per togliersi dalla complicità "patriarcale", hanno la responsabilità di riportare il loro ordine simbolico ad applicarsi al dato concreto, demografico, ambientale. Altrimenti ecco che il simbolico travalica i propri argini e diventa la matrice per le tante e perniciose tecnologie che la storia ci ha mostrato.
L'ordine simbolico in sostanza, tirato giù dal suo piedistallo, non è poi quella gran cosa che ci debba spaventare. Per gli uni è solo un meccanismo di ripiego, la sgradevole sensazione dei nostri sensi di colpa, il rimosso della nostra inadeguatezza; per le altre è il teatro dove inscenare la quotidiana rappresentazione della propria mutevolezza; per entrambi può essere la misura di un ragionevole riferimento biologico ed ambientale...
E non è difficile immaginare la proposta di un'orizzonte simbolico da tutti condivisibile: piantate un albero che possa diventare secolare al centro del vostro villaggio, e abbiatene cura!

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