fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

lunedì 6 agosto 2012

Alcool, le Ragioni del Farsi



<< Nel pallido chiarore del mattino vi invito a contemplare una distesa di rovine, il cervello di un alcolista: la sostanza grigia abrasa su vaste superfici corticali; crollata la sostanza bianca; smantellata la corteccia prefrontale, un tempo sede della conoscenza; la distruzione del cervelletto, che va ad aggravare  il disastro cognitivo e motorio che colpisce il cervello; l'ippocampo, dimora della memoria, trasformato in un amnesico campo incolto... >> (Jean-Didier Vincent, Viaggio straordinario al centro del cervello, Salani 2008, p.206)
Questa è la cruda descrizione  degli effetti dell'alcool fornita fornita da un neurologo francese (tra l'altro estimatore del vino!). Se non vi basta date un'occhiata alle enciclopedie divulgative mediche degli anni '70 e avrete descrizioni analoghe mentre, se guardate attualmente su internet, scoprirete tutti i miracolosi effetti positivi del bicchiere a pasto, tener lontano l'infarto etc.
Certo, potete dire che un consumo moderato... etc. etc. Purtroppo ad un uso moderato non può che corrispondere un moderato passar la carta vetrata sulla corteccia cerebrale!
E se a questo danno sommiamo le altre patologie (magari non legate direttamente all'alcool ma conseguenti all'indebolimento che questa intossicazione comporta) e il danno sociale dei 7000 caduti sulle strade italiane (circa la metà sarebbero conseguenza  della guida in stato di ebrezza), abbiamo un panorama complessivo.
Nel tentativo di comprendere un fenomeno così importante nella nostra vita vorrei evidenziare alcuni dati (e tra parentesi non sono una verginella scandalizzata, ma posso vantare un consumo al limite della dipendenza che si è protratto dai 16 ai 24 anni).



Come si inizia...
Dal sito www.famigliacristiana.it  Famiglia News presenta un'anteprima dei risultati di un'indagine dell'osservatorio permanente "Giovani e alcool" della Società Italiana di Medicina dell'adolescenza, condotta su un campione di duemila studenti della scuola media inferiore. La ricerca rivela che il primo incontro con l'alcool "è avvenuto in famiglia per il 58% dei ragazzi a cui si aggiunge un 14% con altri parenti, solo il 18% fa la prima esperienza con gli amici e l'8% non ha mai assunto alcool. Da questi dati possiamo evincere che, di quanti hanno sperimentato l'alcool, l'80% lo ha fatto in famiglia. Sono i dati non di una generica complicità, ma di una vera e propria induzione."

E come si finisce...
"L'alcolismo è la manifestazione più evidente di un equilibrio famigliare "disfunzionale" che provoca sofferenza in tutti i membri della famiglia. I comportamenti dei membri di una famiglia, dov'è presente un alcolista, sono contemporaneamente risposta e causa dell'abuso." (dal sito www.asl.milano.it)

Uso sociale
Per l'uso sociale dell'alcool non abbiamo bisogno di ricerche scientifiche. Il dato generale per la nostra specie è che il 60% dei maschi ed il 30 % delle femmine ne fanno uso. E' evidente a tutti l'uso della sostanza nella socializzazione dell'umano: con una bottiglia tra me e l'altro riesco a costruirmi una dimensione di intesa affettiva.

Alcool e fatica
L'uso di alcolici come compensazione della fatica: bere per ottundere il disagio fisico e mentale delle fatiche eccessive di certi lavori. L'Inghilterra della rivoluzione industriale che moltiplica per 15 il suo consumo di zucchero è un dato analogo. Il bottiglione di vino all'ombra, conforto della fienagione sotto il sole di agosto, potrebbe essere il simbolo di quest'uso, convertito oggi nel rito dell'aperitivo dopo la giornata di "sbattimento" del moderno urbanizzato.

Esperienze di cura
Nel 1952 il dott. Humphrey Osmond cura gli alcolisti dalla loro dipendenza con l'LSD. I risultati sembrano confermare le aspettative: più del 50% dei soggetti che lo sperimentano (una sola assunzione a basso dosaggio) traggono benefici durevoli ma, con la successiva messa al bando della sostanza, questi esperimenti vengono interrotti.
Al merito non ho esperienze personali ma qualche anno fa un conoscente più anziano di me, che aveva fatto esperienze con LSD, mi ha detto: "ho avuto allucinazioni più intense sotto l'effetto dell'eccesso di fatica fisica che con l'LSD. Ciò che mi ha sorpreso non sono stati i cambiamenti percettivi delle poche ore di effetto della sostanza, quanto uno stato mentale di "indifferenza affettiva" perdurante nei due o tre giorni successivi".
Forse in questo senso si può comprendere anche come alla particolare tolleranza riservata all'alcool corrisponda l'ostracismo riservato alla marijuana.

La collettività
Lo Stato, che ha come principale fonte di spesa l'organizzazione della sanità e dell'assistenza pubblica, ha anche, nelle tasse sull'alcool, una delle sue entrate più consistenti.

Tutte queste accezioni mi sembrano accomunate da una "convergenza fenomenologica", un minimo comun denominatore: l'affetto.
L'alcool è il "surrogato affettivo" previsto dalla nostra strutturazione sociale. 
Se lo scopo dell'introduzione di questa sostanza, nella cultura della nostra specie dai tempi del neolitico, è di surrogare l'affetto, si può capire come sia stata funzionale a tutte le strutturazioni rigide che storicamente abbiamo praticato: la monogamia, la famiglia, lo stato e, in definitiva, l'individualismo.
E' un uomo tecnologicamente più potente quello che, con la semplice introduzione di una sostanza, può irrigidire le sue strutture oppure aumentare la sopportazione della fatica. La moglie sa che l'alcool con gli amici è meno pericoloso della concorrenza femminile, per l'integrità del suo ruolo come marito, anche al prezzo di una certa riduzione di ormoni, lucidità ed efficienza. La famiglia tollera l'alcool pur di nascondere le carenze affettive tra i suoi membri. Ed infine lo Stato ha il ruolo schizofrenico di curare i danni... con tasse imposte proprio sulla causa di tanta patologia.
Se questa è la funzione dell'alcool - il morbido che permette al duro di esprimere la sua potenza (per rendere l'idea provate a vedere quanti km riesce a fare senz'olio la vostra automobile!) - allora diventa comprensibile l'uso precoce (bevo perché non ho più l'affetto che si dà ai bambini, e non ancora quello che si cerca di costruirsi da adulti, l'uso estremo di una bestia sociale che si sente "fuori dal branco") così come l'uso al femminile (coincidente con la nuova assunzione di ruoli carrieristi quanto, all'opposto, l'uso compensatorio che può farne la casalinga) ed anche una diversa espressione in contesti latini o anglosassoni (che può discendere dalla diversa importanza attribuita alla famiglia). Ma, quale che sia la strada, la finalità sembra sempre essere la necessità di reggere la rigidità dell'individualismo.
Tornando all'incipit di questo post, la descrizione del cervello di un alcolista da parte di un neurologo, sembrano confermare la valenza affettiva "due monoammine, la dopamina e la serotonina che conducono la danza in cui si lascia trascinare l'alcolico debuttante... L'alcool è noto per la sua azione di consolatore e di rimedio contro lo stress e l'ansia che si esercitano in un circuito incentrato sull'amigdala cerebrale". Certo la neurologia è scienza in rapida evoluzione ma, che dopamina serotonina e amigdala rappresentino la tastiera di affetto e innamoramento, sono tutti ormai concordi.
Allora, cosa facciamo? L'etilometro della polizia stradale è già un freno, e quanto ci abbiamo messo a tirarlo! Ma una seria cura sociale di questo problema non può che passare attraverso il riesame complessivo delle strutture che lo generano, nella direzione di ricostruire una reale complessità di branco, dove il benessere e la completezza dell'individuo siano considerate il valore primario.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.