fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

sabato 24 marzo 2012

Manifesto per una Filosofia di Specie


La scuola ci abitua all'idea che di filosofie ne esistano tante ma che, in generale, la loro successione storica rappresenti un lavorio di perfezionamento teso ad una maggiore consapevolezza del nostro stare al mondo.
Nella classe accanto un professore un poco più avvertito tiene a farci capire come ciascuna corrente di pensiero sia relativa, e spesso giustificativa, di bisogni identitari e di interessi particolari, di tensioni sociali o anche solo di semplici diatribe interne al mondo accademico.
A noi qui basta pensare che chiunque, nella coerenza dei suoi comportamenti, interpreta un certo posizionamento, a prescindere dal fatto di rappresentarselo.
Chi cerca un'alternativa ecologica può chiedersi quale fosse la filosofia delle tante generazioni di umanità che hanno preceduto i tempi storici. Deve immaginare un momento in cui la piena partecipazione al mondo naturale s'accompagnava ad un apparato cognitivo che era già il nostro. Può concepire un comune atteggiamento della specie articolato localmente in riferimento ai diversi habitat. E può infine ritenere che, spogliandosi criticamente delle accezioni ideologiche degli attuali contesti culturali, a tale atteggiamento si possa tornare, consapevoli dell'esperienza "civile" intercorsa e dei suoi limiti.
Consapevole della genesi e del portato di un posizionamento che, dall'inizio dei tempi storici, omologa l'esperienza umana in un sommarsi di semplificazioni sociali e tecnologiche vieppiù incompatibili con l'ecosistema, l'umano può "passare oltre" tornando ad occuparsi della propria forma.
In base alla propria salute, e senza bisogno di alcun misticismo, l'umano può dirsi autocosciente della forma che incarna. L'autocoscienza è possibile perché ciascuno ha pari accesso alla propria corporeità e può confrontarne in ogni momento la definizione con gli altri, a patto di muoversi con reciproca sincerità in un contesto consapevole della possibile fottitura.
Questa "forma" è l'unico riferimento cognitivo valido che abbiamo a disposizione per comprendere il mondo. In essa parla una valenza soggettiva individuale quanto complessiva di specie, nella sua unitarietà si riflette l'intero fenomeno biologico quanto la più generale coerenza del mondo fisico.
L'autocoscienza della forma può ricucire la triste lacerazione storica tra verità rivelate e riduzionismo scientifico. L'intera parabola della civiltà può essere letta in questi termini: quell'umano che comincia a considerarsi figlio dell'unitarietà, è destinato a ridursi in una singolarità lanciata alla cieca. O in questi: l'ancestrale patto di onesta adesione al piano della realtà viene tradito dall'adesione religiosa, rotta questa si libera un individuo malato e disorientato che non può che omologarsi nelle forme della modernità.
Ma, per quanto degenere figlio della sua razza e per quale demente ideologia possa aver indossato, chi è ancora vivo è per forza di cose ancora unitario, e in quanto tale va considerato. Ognuno deve considerarsi filosofo di se stesso, per evitare che qualcuno lo faccia per professione svendendo gli ultimi pezzi di realtà che ha sotto i piedi!
Un "Manifesto per una Filosofia di Specie" non rappresenta una nuova scuola di pensiero, ma è l'avvertenza che non ci può essere nulla di creativo in culture identitarie e distintive. Creativo può essere solo un confronto "intimo" tra i tanti modi di stare al mondo.

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