fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

sabato 28 settembre 2013

Fukuoka e Caprilli





Federico Caprilli 1869-1908                          Masanobu Fukuoka 1913-2008

Che cos'hanno in comune un agronomo giapponese e un militare italiano? Il coraggio di buttare via le certezze della tradizione e l'intelligenza per ritrovare un rapporto più diretto con la realtà.
Caprilli, non è certo un intellettuale: nella vita si distingue solo per le doti equestri e la capacità amatoria. La sua irriverenza gli preclude ogni carriera militare e i casi della vita gli negano perfino un funerale ufficiale oltre alla riconoscenza storica. Gli italiani non lo sanno, ma si può dire che tutto il mondo monta "all'italiana", e quando vedete per esempio una gara ad ostacoli, ebbene quelli saranno tutti salti nello "stile caprilliano".
Sì, per quanto possa sembrare sconcertante, fino al tribolato avvento del “metodo naturale” inaugurato da Caprilli, i cavalieri di tutti gli eserciti erano convinti che il cavallo non potesse fare il salto se non “aiutato” dal cavaliere: buttare indietro le spalle e tirare in bocca il cavallo per alzargli la testa, ovviamente causandogli forti sofferenze ed oltretutto impedendogli di guardare dove mettere i piedi.
Così è stato addestrato Caprilli, il quale però i cavalli li guarda e si accorge che quando saltano da soli fanno tutt’altro: incurvano la schiena e guardano per terra dove atterrare. Decide quindi di provare ad assecondare quel gesto ed il suo “metodo” è un risultato indiscutibile che finisce per imporsi a livello mondiale in ogni competizione: mentre gli altri faticavano a saltare un metro e mezzo, lui ne salta due con disinvoltura… All’inizio del novecento ben trentatre stati manderanno i loro ufficiali di cavalleria in Piemonte, alla scuola di cavalleria di Pinerolo, per apprendere il nuovo metodo.

Quello che Caprilli fa con i cavalli, Fukuoka lo fa con la terra. Anche lui è addestrato al vecchio metodo: studia ed inizia a lavorare da agronomo in un epoca di trattori e chimica. Ma è capace anche di guardare la natura ed accorgersi di un paradossale accanimento: enormi sforzi di petrolio e tecnologia… per riprodurre, male, quello che la natura fa spontaneamente, cioè accrescersi, autofertilizzarsi.
Fukuoka applica di fatto il principio della micorrizzazione: seminando trifoglio e altre leguminose, evitando di arare ma sotterrando legno e pacciamando la superficie si occupa di preservare e incentivare la complessità dell’humus. Della salubrità e delle qualità organolettiche delle produzioni dell’agricoltura naturale abbiamo già parlato in questo blog.
In tutti e due i casi la novità è rappresentata da un criterio di “non azione”, un criterio che permette di usare la complessità dell’animale come della terra.
Ma questo concetto di “non azione” è anche stato l’oggetto di un fraintendimento che ha preso un’intera generazione di aspiranti contadini naturali. Sono più quelli che hanno buttato palline di argilla su terreni sterili producendo il nulla… di quanti si sono resi conto che ci va almeno una decina d’anni di lavoro per ottenere quel substrato ottimale di terra che poi non tocchi e non muovi più.
Lo stesso dicasi per Caprilli. Col suo metodo generazioni intere di figli di buona famiglia hanno potuto credere di saper cavalcare solo perché il loro cavallo gli faceva saltare facilmente un metro e mezzo, senza rendersi conto che quel metodo implicava anche la presa in considerazione della serenità complessiva dell’animale, cosa che puoi ottenere solo perdendo personalmente un mucchio di tempo dietro di lui.
Se qualcuno è incuriosito dal personaggio Caprilli, può leggere “Quando l’automobile uccise la cavalleria” di Giorgio Caponetto, ed. Marcos y Marcos. Oltre alla simpatica e breve vita del tenente toscano vi troverete anche le origini della Fiat, una bella fetta di casa Savoia e la vicenda ancora tutta da chiarire della morte violenta di due giovani: il Conte Emanuele di Bricherasio ed il suo amico del cuore Federico Caprilli. Non è un capolavoro della letteratura ma è ben documentato storicamente, ed allora potrete anche intuire perché questo Caprilli, sotto sotto, non lo vuole proprio rivendicare nessuno!

domenica 22 settembre 2013

Sudore


Il privilegio di evitarsi la fatica
è lo scarto tra l'onestà e il fottere.

domenica 15 settembre 2013

Modernità islamica

Non si riesce a criticare la religione quando si è religiosi a propria volta. Così il mondo occidentale, appena emancipatosi dalle proprie cristianità, non sembra capace di riconoscere all'islam la  responsabilità delle violenze in corso.
Il perché mi sembra chiaro: abbandonata la parrocchia, la modernità si è solo spostata al supermercato! Il consumo rappresenta la religione della modernità globalizzata, e religiosi continuano a dimostrarsi i suoi comportamenti.
Qui si dice che è la religiosità, di per se stessa, l'insana "tecnologia" sociale che sta distruggendo il pianeta.
Ecco, stralciato da Stato di Grazia, un tentativo di inquadrare la modernità islamica.



Anche a riguardo della sua fondazione il discorso va approfondito perché, a fianco della virtualità monoteista, “la crudeltà del fondamentalismo islamico è che permette solo a un popolo – gli arabi, il popolo originario del Profeta – di avere un passato e luoghi sacri, pellegrinaggi e onoranze della terra. Questi luoghi sacri arabi diventano i luoghi sacri di tutti i popoli convertiti. I convertiti devono sbarazzarsi del proprio passato; a loro non si chiede altro che una fede purissima (se mai è possibile una cosa simile): islam, sottomissione. La forma più intransigente di imperialismo.” (Naipaul V.S., op. cit.)
Virtualità e sradicamento – i due “salti di livello” che abbiamo identificato come elementi essenziali d’una modernità conclamata – dall’islam sono promossi assieme e fin da subito. In sostanza la fondazione di un’ideologia per l’elite, nell’islam viene a coincidere con il pieno coinvolgimento dell’intera popolazione. Nella sottomissione si tradiscono assieme corpo e parola. E questo allora può forse spiegare un particolare atteggiamento nei confronti della realtà, in primo luogo di quella delle reali fonti di sostentamento della comunità. “Al punto più basso delle opzioni possibili stanno le campagne, che sono anche la realtà meno nota nonostante, ieri come oggi, la maggioranza della popolazione sia contadina.” Misconosciuti i contadini, così come la loro aggregazione territoriale di base: “il villaggio non ha visibilità storica. Se lo si definisce, lo si fa in negativo, quell’agglomerato che non possiede le caratteristiche della città, i simboli del potere, le grandi strutture pubbliche, il tribunale.” (Scarcia Amoretti B., Un altro medioevo, il quotidiano nell’islam, Laterza, Bari 2001)


Il fraintendimento è che il problema non sta nel capire quando e in che misura il mondo islamico potrà mai pervenire ad un’idea “edulcorata” di modernità… quanto la cruda constatazione che “la modernità è islamica”, di per se stessa, nei suoi elementi fondanti!
Avendo optato per la teo-tecnologia monoteista nella sua versione pura, gli islamici sono stati moderni fin da principio. La sottomissione al dio virtuale contempla il radicale tradimento della realtà, del corpo e della parola, conversione istantanea e complessiva: un solo atto di fede riassume le due tappe che il cristianesimo ha messo a principio e compimento, intervallate da una storia millenaria ma di fatto “inessenziale”.


L’economia del mondo islamico è caratterizzata dalla centralità del commercio e dalla superiorità di questo nei confronti non solo del lavoro agricolo, ma anche dell’artigianato, del lavoro manuale ed in generale di qualsiasi attività produttiva. “Dove non esiste mercato in senso proprio, significa che non si è ancora entrati nella civiltà vera (…) Il mercato per sussistere, ha bisogno di intraprendenza, di iniziativa: al suo trionfo deve necessariamente contribuire uno spirito capitalistico che punti al profitto.” (Scarcia Amoretti B., op. cit.)


E con questo veniamo quindi a toccare il punto di maggior attrito con la società occidentale, il fatto cioè che il corano non è per nulla ambiguo nel presentarci una visione del mondo tripartita: il “noi islamico” si contrappone al “resto infedele”, a sua volta distinto tra i “fratelli del libro” e “gli altri”. Il destino degli altri è genericamente e tragicamente l’oggetto del semplice dominio biblico. “Altro” è il mondo da sfruttare, il saccheggio della risorsa naturale, il selvaggio da ridurre in schiavitù… in piena corrispondenza con il generale comportamento della modernità.
Ed anche il rapporto con quanti si è costretti a riconoscere come complici è della stessa natura di quanto agito in pratica dal mondo occidentale. I “kafiruna”, gli infedeli ebrei e cristiani, i “fratelli del libro”, sono l’ossessione costante del corano, tanto che una gran parte del testo sacro è spesa nel predirne ogni male e dannazione… ciononostante sono quelli con cui si può trafficare e vanno “rispettati”, un rispetto che ne regolamenta la caccia.
Ma la tensione di quella “caccia” è quanto accomuna tutti i monoteismi. E forse proprio la necessità, per entrambe le parti, di tener alta quella “tensione tecnologica” è all’origine, emblematicamente, dell’eterno e irrisolvibile conflitto israelo-palestinese.
In realtà ogni espressione identitaria moderna, negando un’effettiva comprensione dell’altro e di se stessi, comporta un “sentirsi più belli degli altri”: dal nazionalismo al farsi portatori di pace, d’umanesimo o di “guerra preventiva”. L’altro da sfruttare è uno dei due elementi essenziali alla tecnologia del fottere, ma fin qui nulla di nuovo.
Il problema sta nel dichiararlo. L’occidente ha speso l’ultimo secolo almeno, nel tentativo esegetico di “ripulire” il suo testo sacro, e nel montare il suo apparato ideologico per negare l’evidenza della fottitura, a se stesso prima che agli altri. Ed ora che quello sforzo aveva forse prodotto il giusto “lucchetto teologico”, in una moderna società dove laicità, rispetto e democrazia sono “indiscutibili”, appunto perché ideali… ora l’islam presenta il conto!
Il monoteismo presenta il conto, il monoteismo della virtualità, che rappresenta il cuore della modernità stessa. Il problema è dell’occidente, sua la scelta di “credere alla propaganda”… l’islam, correttamente, s’è limitato a sfruttarla.

sabato 7 settembre 2013

Della situazione attuale

L'unica strada per riassorbire il danno ecologico della modernità mi sembra passi
obbligatoriamente per quello cui stiamo assistendo oggi in Italia: la perdita di senso
degli schieramenti politici. Diventa indifferente discutere di come spartire il
bottino... quando si è arrivati alle briciole!




E allora può aver senso un movimento politico con un mandato solamente passivo: evitare
gli sprechi e minimizzare le istituzioni. Ma la parte attiva è invece necessario che sia
espressa dalla popolazione con seri, vasti fenomeni di autonomia (salute pubblica,
autoproduzione alimentare, etc.).
Ma così non è, oggi, in Italia.
Primo perché la credibilità dei partiti politici tradizionali è crollata a causa della
crisi economica e non per consapevolezza: non ci sono più soldi da promettere!
Secondo perché non è assolutamente vero che la popolazione sta correndo verso
l'autonomia. Se cambia stile di vita è solo per costrizione, mentre ciò che oggi si
considera "bene" sono oggetti sempre più effimeri: turismo aereo low cost e internet
sono l'apice di una società industriale, i primi quindi a spegnersi quando mancasse
energia alla fonte.
In Italia, in sostanza, dovremo ancora aspettare, sia per l'ecologia, sia per
un'alternativa politica.

domenica 1 settembre 2013

Laika

Sto guidando, davanti a me un camper. Laika, l'hanno chiamato...
che intelligenti: Laika, la cagnetta nello spazio, eroe dell'esplorazione!
Martire piuttosto, destinata a morire e pure in solitudine:
l'immagine della disperazione.




Mi si bagnano gli occhi di lacrime e mi si stringe la pancia, per un attimo provo
disgusto per l'umanità. Bel simbolo davvero, e brava la ditta dei camper.
L'archetipo dell'affetto e dell'empatia sacrificato da un animale umano che
quell'empatia ha perso e, in disperata solitudine, guarda alle stelle.