fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

martedì 25 giugno 2013

Mamma e papà

Il mio compagno mi racconta un aneddoto vissuto in una precedente relazione.

<< Quando vivevo in città con Moreno, la nostra vicina di casa, una brasiliana cresciuta
nelle favelas, giovane, figa e con pochi pregiudizi, aveva una figlia, Alessia di
quattro anni.
In quel periodo lavoravo in casa, disegnavo cemento armato al tecnigrafo, ed avevo preso
l'abitudine di aprire il cancelletto sul ballatoio, affinché Alessia potesse slargarsi
nel nostro alloggio. La madre era contenta di ritagliarsi qualche ora di tranquillità.
La cosa interessante è che la bambina, nel tempo che passava a casa nostra, ci aveva
assegnato il ruolo di mamma e papà. Io ero il papà, e non potevo assolutamente
rimproverarla perché si offendeva mortalmente; mentre Moreno, malgrado i baffi che
portava, era la mamma, e poteva sgridare la bambina finché voleva... tanto lei non lo
stava assolutamente a sentire. >>



A volte qualcuno può cascare nella rigidezza di un ruolo che si è dato da solo, ma più
spesso, come vediamo in questa storia, le aspettative provengono dagli altri.
Molti ruoli sono aspettative di una struttura sociale che ci vorrebbe ingabbiare in
ceti, classi e ordini professionali. Molti danno il pane a tanta gente che tutto
vorrebbe meno che abbandonarli, altri sono stati motivo di lotte sociali per
emanciparsene. Contesti tradizionalisti vorrebbero renderli obbligatori, mentre la
sensibilità postmoderna li rifugge per cercare quasi di non consumarsi in un'eterna e
indeterminata giovinezza...
Capiamoci! Forse, tra il tutto e il niente, la richiesta di una bambina dovrebbe
ricordarci che i ruoli nascono dalla fisiologia e che questa tanto è determinata dalla
materialità dei nostri corpi, quanto è mutevole, per genere, per età, per esperienze
vissute.
La complicatezza delle sovrastrutture di questa civiltà non è indispensabile per
scoprire e coltivare la complessità già insita nella nostra forma.

domenica 16 giugno 2013

What's Fottere





Se non siamo nella dimensione dell'intimità promiscua di un branco (tutta da definire, ricostruire, reinterpretare... tutto quello che volete, certo, ma sicuramente da presupporre se siamo alla ricerca di un'alternativa ecologica al vivere moderno) permessa da una condivisione culturale fondata sull'adesione alla realtà, allora siamo inevitabilmente nell'individualismo, non ci sono altri posizionamenti possibili.
E l'individualismo è l'assetto del fottere, la sessualità dello stupro, l'economia della rapina, la cognizione falsata dall'ideologia, un'esistenzialità non vitale ma autolesionista, consumista, inquinata e inquinante.
Il fottere è desiderio e costrizione, nessuno esente: se sei ancora vivo sei desiderante ma, se non sei abbastanza sano, "in forma", il fottere sarà la forma del tuo desiderio; e questa è anche la costrizione: prima ancora che ti venga imposto dal contesto, al fottere sei costretto dalle tue stesse condizioni di vita e di salute. Se non siamo intimi allora posso solo concludere che mi vuoi fottere, e se dici il contrario probabilmente mi vuoi fottere ancora di più.
Storicamente si è sconfitto il nazismo  come l'ipotesi di una fottitura espressa. Ha vinto l'altra ipotesi, quella buonista, morale e democristiana, o americana e liberista, l'imperialismo edulcorato in un'impersonale economia di mercato. Non le camere a gas ma il cancro, ed autoinferto col proprio stile di vita: un lungo giro ma altrettanto letale.
Non c'è alternativa, se qualcuno ti si presenta moralmente, se indossa la maschera del "buono", allora ti sta preparando una bella fottitura, prima o poi, anche se non ne è consapevole. Si può far male anche non volendolo, per insensibilità e indifferenza, grossolanità.
Ed è difficile spiegare questo scenario, la civiltà del fottere, proprio a chi è sul fottere. Ma sul fottere oggi sono (siamo) in tanti, tantissimi (tutti?).
E allora è molto difficile immaginare un mondo non basato sul fottere, è difficile immaginare la forma umana e la sua complessità, è difficile, fondamentalmente, raggiungere l'altro. Resta possibile solo l'esercizio di critica, triste a suo modo perché non costruisce nulla, può solo smontare, mettere il bastone fra le ruote e gli ingranaggi del fottere. Triste ma ineludibile: non si può costruire un altro modo di stare al mondo se non si rompe la certezza dell'attuale.

martedì 11 giugno 2013

Il motorino

Stavo lì a preparare la miscela per il decespugliatore e l'odore di benzina non mi ricordava solo il suo effetto cancerogeno, c'era un ricordo bello assieme, una sensazione... l'indipendenza!
Quattordici anni e la miscela del motorino, che allora era il Ciao. Rosso, nuovo, tutto smontabile, tutto comprensibile: carburatore, frizione automatica, cinghia di trasmissione... Andare a spasso, sudore e salite sconfitte, il raggio d'azione della bicicletta decuplicato!




Che bello ricollegarsi al passato, sono cuciture a ricordarmi che quello ero io, che sono sempre io. Ma che tristezza...
Tristezza perché il ragazzino d'allora interpretava come indipendenza quel che in realtà era il tragico assuefarsi alla "rarefazione sociale umana".
Petrolio e solitudine. Il petrolio a permettere di non stupirci della dispersione delle poche persone che riteniamo interessanti da frequentare, ma altrettanto petrolio a permetterci l'assurdità di lavorare lontano da casa o di trasportare cibo da un continente all'altro. Mangiamo petrolio e ci facciamo compagnia, anche, col petrolio!
Certo, c'era poi sicuramente la componente sessuale. Dal bambino affascinato dalla tecnica, con la pubertà si passa al fascino per chi la cavalca o all'apprensione per la propria immagine di cavaliere.
E che tristezza riconoscere quindi, nella forma o anche solo nel contorno del nostro desiderio, ancora e sempre l'odore del petrolio: l'odore di una tecnologia.
E prima era carbone, era lo sfruttamento dei braccianti, dei servi della gleba, gli schiavi... ogni epoca partorisce la sua "tecnologia", la sua forma di sfruttamento, umano o ambientale che sia. Ed i suoi effetti si accumulano, come il mercurio nei pesci, come le tare genetiche. Sul fisico come sulla cognizione. Ogni tecnologia materiale sposa la sua ideologia e, alla fine, di stupidità in stupidità, ci troviamo a dar per scontata una vita talmente domesticata da farcene quasi perdere il senso
Domesticata da noi stessi, certo. Si dice che l'umano è bestia culturale proprio per questo, perché sembra "decidere", coi processi culturali e storici appunto, dove andare, cosa essere, e che forma assumere...
No, forse quella non è davvero cultura, forse sono solo derive culturali. Ogni dove si perda il riferimento al proprio specifico adattamento ambientale locale (questa la cultura in senso legittimo), lì ecco che nasce il focolaio di una futura Grande Cultura e dei suoi prevedibili esiti storici.
Allora, l'oggetto del motorino sarà squalificante, a livello filosofico, ma è pur vero che è la "tecnologia" su cui tutti siamo seduti oggi.
Ma il tragico è che se io ero un ragazzino che, pur subendone il fascino, in fondo ne sospettava, molti altri invece se ne vestivano in pieno: la differenza che passa tra il formarsi  gli anticorpi o prendersi una brutta malattia!
Ora, il paragone tra un processo di omologazione culturale ed il decorso di una malattia potrà sembrare azzardato, come e più dell'oggetto del motorino... ma forse può darci un'utile indicazione: se i "tribali" di tutto il mondo conservano la residua forma della specie e ciò che resta del pianeta, noi "disfatti occidentali" questo potremmo offrire, quando mai uscissimo vivi dalla nostra malattia: la testimonianza di un anticorpo ed una speranza immunitaria per il futuro dell'umanità e del pianeta.


venerdì 7 giugno 2013

La Fatica


La fatica è un elemento ineludibile di un altro stile di vita.
Avevo 25 anni, reduce (sconfitto!) di lunghi anni scolastici e sedentari, quando ho
deciso di buttarmi nella vita attiva. Muscoli, pelle, ossa, articolazioni, postura...
tutto era inadeguato al nuovo rapporto col mondo: solo l'entusiasmo giovanile mi ha
permesso di sopportare ed attendere qualche risultato tangibile sulla mia figura.
Ma i dolori magari passano, se vi siete presi in tempo, il rapporto con la fatica no. Se
il vostro strumento non si chiama privilegio e vi siete messi in testa di costruirvi una
cascina e coltivare l'orto, allora i vostri strumenti di tortura si chiameranno
martello, zappa, motosega, decespugliatore, carriola... e tutti mossi da urgenza e
necessità, sfiga o disorganizzazione, tutto ma certo non dal programma calibrato di un
allenatore in palestra!




E non crediate che l'attrezzo meccanico o la potenza di un motore possano cambiare
qualcosa. Uno guarda ai suoi programmi e al suo portafogli e subito pensa alla parola
"efficienza". Quando affitti una draga (due gg a 150 euro per un escavatore da 35 qt.li)
certo poi muovi mari e monti ma, nel frattempo, vuoi usarla 25 ore al giorno e quindi
lavori fino a notte coi fari!
Diciamolo subito, uno la fatica non se la va a cercare: viene da sola, e ce ne deve
essere la giusta misura per condire bene la giornata. La miseria sta solo nel troppo o
nel nulla.
Non fate come mio padre che, con la motivazione di un hobby, aveva pensato bene di
caricarsi l'onere di 7mila mt di terreno intorno alla casa delle vacanze. Giusto un po'
di fieno da tagliare e un po' di legna per la stufa da tirar su dal bosco (niente a
pensarci ora, che di terra ne abbiamo 20mila mt da rendere produttivi), ma non si
accorgeva della fatica di un bambino che si trasformava in pianto: "farsi un posto
bello" era una buona motivazione anche per me, ma era sempre un hobby ed io, anche se
bambino, lo sapevo benissimo.
Lo sport non è la fatica della realtà, e non è detto che un corpo sportivo riesca a
rendersi poi così efficiente nella realtà. Ma neppure l'impiegato è invidiabile, pessimo
è lo spirito che resta, tolta la concretezza muscolare...
La fatica, quando è troppa, lascia addosso come una nausea, muscolare e complessiva.
Quando invece è nella giusta misura regala un godimento diffuso, una serenità
soddisfatta, un tiro sessuale che cerca l'altro per distendersi... Vedete voi se non è
il caso di organizzarsi un po' per fare una vita del genere!
Anche il rapporto col cibo cambia, tutto è buonissimo dopo una mezza giornata di onesto
lavoro. E dal punto di vista  intellettuale è lo stesso. Quando un pensiero si
interrompe o quando nuovi dati chiedono di essere digeriti... un giro nell'orto e
mezz'ora di lavoro sono essenziali: la realtà ci coinvolge e ci strappa dai pensieri
inconcludenti, l'attività sono ormoni nel sangue... e il risultato sono le stupende
pensate di un blog come questo!
In sostanza, o siamo capaci di ritrovare un buon rapporto con la fatica... oppure
rassegnamoci alla "fatica di vivere".

Buon lavoro!