fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

sabato 28 luglio 2012

Intelligenza vegetale




"Che cos'è questa pianta?" chiedo al mio compagno che sta togliendo erba nell'orto, 
alza gli occhi e dice prontamente "nocciolo!"
Non può sbagliarsi, ne ha piantati una ventina qui da noi (scelta sbagliata, su questi
terreni producono nocciole che non sanno di nocciola) e ne ha affettati centinaia 
di selvatici (stavano soffocando il bosco). E invece si sbaglia, gli dico di 
guardare meglio: ha le spine, è un rovo che "fa il nocciolo".
Questa è la prima delle osservazioni. In seguito, avendo usato nell'orto della
terra contenente radici di rovo, ne spuntano qua e là. Allora rintracciamo il rovo 
che "fa la carota" (cresce alto come le carote, ne imita il colore e pieghetta le 
foglie), e quello in mezzo ai pomodori (che cresce alto come i pomodori ed 
evidenzia i getti ascellari come fanno loro).
Evidenti doti di mimetismo, ma come fa il rovo a "conoscere" la forma della carota
o del pomodoro? Possiamo solo immaginare che ne "annusi" la chimica, e che questa  
chimica si riferisca anche ad un repertorio di forme, repertorio a cui apparteniamo 
tutti. Dobbiamo ipotizzare la capacità di scegliere l'altezza: il rovo in mezzo al 
prato dove pascolano le capre non supera i 20-30 cm dell'erba; un esemplare record 
si è infilato in un castagno e spunta in alto a più di 7 mt.
Il rovo è l'incubo del nostro insediamento (incubo già registrato nella bibbia)
e predilige terreni già coltivati in passato (tendenzialmente proprio quelli che si 
compera il nuovo insediato!). La sua radice è resistente al fuoco e più lo tagli 
più cresce; ma si esaurisce da solo ed il suo ciclo dura 6-7 anni.
Eliminarlo è un lavoro ingrato ed i primi anni la sua presenza sui nostri terreni
era così pervasiva che sul tavolo in cucina c'è ancora l'ago che ci è servito 
quotidianamente a togliere le sue spine, di dimensioni insignificanti ma in grado 
di dare un vero e proprio tormento.
Se possibile non si combatte, lo si lascia sfogare riconoscendogli, nel "corpo
vegetale", la funzione che nel nostro corpo svolgono le piastrine: cicatrizzare le 
ferite.
Da noi, qualunque taglio del bosco produce un focolaio di rovi che chiudono per
primi la ferita della terra, di fatto preparando il sottofondo che permetterà la 
nascita di una varietà più complessa.
Ma il rovo non solo è intelligente, ha anche evidenti comportamenti collettivi,
di squadra, quando ad esempio cerca di chiudere una strada. Quelli di destra vanno a 
sinistra e quelli di sinistra vanno a destra, alla faccia di quello che hanno 
attorno e alla posizione del sole. Fa rabbia, se sei quello che cerca di tener 
pulita la strada, vedere i loro rami esploratori protendersi gli uni verso gli 
altri nell'evidente intento di congiungersi nel mezzo...
Con gli anni abbiamo imparato a sfruttare questa intelligenza: piuttosto che
potarli con il faticoso decespugliatore (non serve, dopo la potatura ributtano più 
vigorosi di prima e sono capaci di farlo almeno tre se non quattro volte in 
un'estate!) ci limitiamo a bastonarne le cime con una qualunque bacchetta, tutte le 
volte che passiamo... ed è così bello vedere, dopo pochi giorni, che i nuovi getti 
hanno imparato la lezione e si dirigono dalla parte opposta!


Oggi vegetariani, vegani e affini stanno puntando al riconoscimento  dei diritti degli animali.
Evidentemente sta cambiando la percezione del mondo biologico, e le posizioni sono le più
disparate. Per fare un esempio molti biologi sostengono che i pesci non provano dolore
perché non hanno, a loro avviso, un apparato nervoso così complesso da consentire una
simile percezione.
I rovi sicuramente non hanno il sistema nervoso ma sembrano ciononostante esprimere
comportamenti intelligenti. Forse che la categoria biologica di "intelligenza" viene prima
del nostro modo animale di esprimerla con un sistema nervoso?

sabato 21 luglio 2012

Battisti e De Gregori


E' giovedì sera. Radio Capital trasmette un'ora intera di Lucio Battisti, con tanto
di commento cultural-agiografico.
Mi chiedo come mai la sinistra non si poteva permettere Battisti. Come mai era
considerato di destra e quelli di sinistra non lo ascoltavano in pubblico, ma si 
imparavano le canzoni a memoria in privato?






Premetto che non sono un critico musicale (e Battisti mi è banalmente simpatico
perché, come Mina, si è nascosto, evitando quindi di dire troppe cazzate), mi 
sembra comunque evidente il suo talento e le capacità di sperimentazione ma, se 
andiamo a vedere che mondo si esprime con le sue canzoni, troviamo sempre e 
ossessivamente la coppia.
Il team Battisti-Mogol era di destra perché cantava un mondo perfettamente
individualista: il maschio che canta il suo amore. Ma allora, la sinistra che lo 
osteggiava aveva qualche alternativa da proporre a questa deriva individualista? La 
risposta è no!
Certo, a sinistra c'era il sentore che la vita e la sessualità non potessero
esaurirsi nel rapporto di coppia, che ci fosse qualche cosa di più, una valenza 
sociale, di condivisione, di "comunismo".
Ma se con la mente cerco un'alternativa a Battisti... ecco comparire De Gregori: i
suoi testi sono totalmente indecifrabili, sfido chiunque a trovare un senso ai 
versi di "Alice guarda i gatti". Certo, potete dire che sono semplicemente poetici, 
o forse futuristi... ma certamente non definiscono un altro amore possibile!
La fuga estetica di De Gregori o la chiusura su di sé di Battisti sono stati due
modi di svicolare dalla domanda scomoda: qual'è il mio rapporto con gli altri della 
mia specie?
Se sei un uomo non mi interessa tanto sapere come te la cavi con le donne, ma
piuttosto cosa hai deciso di farci con gli altri uomini. Se sei donna vorrei 
parlarti del femminismo, nel senso più evitato: vorrei chiederti cosa hai deciso di 
fare con le altre donne.

lunedì 16 luglio 2012

Terra viva

Sono un insediato recente: il canavese, la zona in cui mi sono trasferito, nemmeno se n’è accorto, ma abito al "Grangiun" da novembre del 2011, ed ho davanti a me quasi 2000 mq di terra pianeggiante ed argillosa da
utilizzare nel modo più ragionevole. Questa primavera, nell’intento di dotare la casa di un embrione d’orto, oltre a fare tesoro delle esperienze simili a me più vicine, sono incappato in una pubblicazione fresca di stampa: "Alle radici dell’agricoltura"  di Luigi Manenti e Cristina Sala. Gli autori, anch’essi piemontesi, sono titolari di un’azienda orticola che da trent’anni produce con i metodi dell’agricoltura biologica.



Il libro è costituito da tre parti: un’introduzione con una panoramica sull’agricoltura odierna, di cui presenta le principali problematiche tecniche, ecologiche ed economiche attuali; una seconda parte di descrizione per punti del metodo di coltura da loro adottato, preceduta da un capitolo sulla micorrizazione delle piante;
un’appendice scientifica di approfondimento.
Il punto fondante del “metodo Manenti” (che fa esplicito riferimento a Fukuoka) è la constatazione (suffragata dalle analisi chimico-biologiche) che l’equilibrio virtuoso che garantisce fertilità costante nel tempo e una produzione abbondante e di qualità, è mantenuto senza alcun apporto di sostanza organica, bensì favorendo l’accumulo di humus stabile nel suolo. Ed è proprio il reticolo di ife dei funghi a costituire la maggiore componente di biomassa del terreno. In particolare, a determinare abbondante produzione orticola
di qualità, buona resistenza alle fitopatologie e mantenimento di un’alta fertilità del suolo, concorrono in modo determinante i funghi micorrizici. Si tratta di un’ampia gamma di organismi aerobi che popolano in modo capillare il suolo, stabilendo una simbiosi (detta appunto micorriza) con la quasi totalità delle piante annuali e
perenni. I funghi in questione fissano i minerali presenti nel suolo in una forma facilmente assimilabile dai vegetali, i quali in cambio cedono zuccheri ai funghi. Il metodo adottato dagli autori è dunque volto a favorire l’instaurarsi del legame fungo-pianta, così comune negli ambienti selvatici - e viceversa compromesso sia
dall’agricoltura convenzionale a base composti chimici vari, sia da quella più “sostenibile” che adotta concimi ed ammendanti organici senza rispettare stratificazione del terreno ed equilibrio tra microrganismi aerobi ed anaerobi. L’argomentazione è chiara e convincente, e tra l’altro è una sorta di “convalida scientifica” all’agricoltura realizzata da Fukuoka nel secolo scorso: micorriziamo allora!
Ma torniamo al Grangiun. Mi ritrovo sotto i piedi la terra più comune in quest’area di piemonte (e chissà quanto diffusa altrove!). Al di sotto di un sottile strato di suolo “vivo” (10 cm circa), si trova una lama di argilla pressoché pura, trasportata dal vento quando l’uomo non c’era ancora ed accumulatasi in modo diseguale a formare spessori che qua e là arrivano anche a diversi metri. Davanti a casa mia ce n’è almeno tre metri (abbiamo sondato con la draga durante i lavori di ristrutturazione della casa). La vegetazione spontanea insediatasi negli anni dell’abbandono era costituita da acacie, rovi e caprifoglio (un rampicante invasivo). Con un terreno duro e pesante come l’argilla, che si inzuppa d’acqua durante le piogge e ne favorisce il ristagno, sono molto lontano dall’avere un ambiente colonizzabile dai funghi.
Forse, semplicemente un metodo del genere si va applicato laddove un terreno “da orto” (ovvero drenante, morbido e sciolto) è già presente, ancorchè impoverito , squilibrato o bisognoso di costane apporto
organico. Occorre fare diversi passi indietro e alterare la composizione stessa del terreno, per renderlo drenante ed areato quanto occorre allo sviluppo di vita aerobica (quella che interessa l’orticultore).
Vista la condizione pesante del terreno si è preferito non intervenire su di esso ma usarlo come semplice supporto di un orto rialzato, di per sé garanzia  di un buon futuro drenaggio.
Con il legname di scarto del cantiere, ritagli di assi di abete, pallet, segatura, interi travi marci del tetto... è stato creato un sottofondo di almeno 70-80 cm.


Ho avuto poi la fortuna di intercettare una camionata di terra limosa che ho sparso sul legname.



Successivamente ho realizzato prode con inserimento di un cordolo di letame di cavallo e terriccio superficiale del bosco, un misto di foglie scarze e rametti.
Certo, per ora sono solo 50 mq, ma che mi stanno dando risultati apprezzabili già al primo anno, in una stagione difficile, molto piovosa e con ritorni di freddo.
Molte cose sono da migliorare, ma mi è sembrato di veder confermate nella pratica le teorie presentate in questo libro. La terra del mio orto è ancora pesante, ma l'averlo rialzato dal piano di campagna gli ha permesso di superare il lungo periodo di pioggia e la presenza di legname marcescente interrato ha innescato, testimone la presenza di funghi, i meccanismi di micorrizzazione che sono l'oggetto dello studio preso in esame.
Se devo fare una critica a questo libro, ma è una critica ai manuali di orticoltura in genere, è di occuparsi dell'agricoltura solo da un certo punto in là.
Certo, chi capisce che la terra è un utero al quale affidiamo il seme non ha difficoltà a capire anche che su di un utero non è bello posare le ruote di un trattore, rivoltarlo ossessivamente con il motocoltivatore o zepparlo di chimica. Ma quello che ho davanti a casa non è un utero, o almeno non lo è ancora: è terra da mattoni!
Ho visto quest'anno i miei amici, che gestiscono questo blog, inserire trifoglio (varietà nana che si è rivelata tuttaltro che nana e che ha prodotto più danni che vantaggi: ricordatevi di chiedere non il trifoglio nano ma le varietà "nanissime") ma solo dopo un lavoro sull'argilla iniziato 8 anni fa con l'inserimento iniziale di grandi quantità di legno. Solo adesso la loro terra è "da orto" e possono permettersi di iniziare ad applicare le indicazioni scientifiche evidenziate in questo libro.

Ciao, Stefano

lunedì 9 luglio 2012

Umeboshi


Il calciatore dell'inter Nagatomo, noto per la sua resistenza fisica, dichiara candidamente il suo trucco:
la prugna umeboshi.



La stampa si precipita sulla notizia descrivendo questa strana prugna salata come se fosse una eccezionale novità. In realtà è presente da almeno 30 anni in migliaia di negozi più o meno bio che vendono prodotti macrobiotici.
Ma cos'è l'umeboshi e quali sono i suoi effetti sul nostro corpo?




<< Le umeboshi non sono delle prugne, ma una varietà di albicocche che crescono in Cina e Giappone anche allo stato selvaggio.
Mentre in Cina le umeboshi erano conosciute principalmente per le loro proprietà antipiretiche, astringenti e benefiche per lo stomaco ed erano limitate a scopi medici, in Giappone, oltre a questo, diventarono ingredienti della cucina tradizionale.
I frutti vengono raccolti a metà giugno, quando sono ancora verdi, poi essiccati al sole e messi sotto sale in grandi barili su cui vengono poggiati dei pesi. Il periodo di fermentazione varia da sei mesi a qualche anno. Vengono aggiunte anche foglie di shiso (Laminaria Purpurea), che danno alle umeboshi quel caratteristico colore rossiccio.
In cucina le umeboshi sono moto versatili: si possono fare salse e condimenti per insalate e verdure cotte, o come ingrediente in guarnizioni e salse per aggiungere un delizioso sapore a svariati piatti, rendendoli rinfrescanti e facilissimi da digerire.
Come rimedio viene tradizionalmente usato per problemi digestivi, per raffreddori, febbre o intestino in disordine e per tonificare il fegato.
Secondo l’antica medicina cinese, il maggior effetto delle umeboshi è quello di far scaricare o equilibrare gli eccessi di sostanze che danneggiano il fegato, i reni ed i polmoni (ad esempio muco e acidi, che creano le condizioni ideali per un’infezione batterica) oltre a innumerevoli altri problemi. La combinazione fra l’acidità dell’acido citrico e l’alcalinità del sale è la responsabile di questi benefici effetti.
Le umeboshi sono inoltre molto ricche di calcio, ferro e fosforo. Se consumate ogni giorno in quelle aree dove si è obbligati ad usare acqua contaminata organicamente, prevengono ogni possibile infezione o malattia del tratto intestinale ed aiutano la pulizia del fegato e dei reni. Le umeboshi sono il meraviglioso prodotto della saggezza pratica dell’uomo e della conoscenza del principio yin e yang. Se le consideriamo alla luce di questo principio, diventa più facile comprenderne il valore.
L’ ume fresca è un frutto molto acido (yin) e verde (yin). Il processo di preparazione dell’ umeboshi comporta l’esposizione al sole (yang), l’aggiunta di sale marino (yang), l’impiego della pressione (yang) e di tempi lunghi (yang).
In questo processo viene così a crearsi una forte combinazione di fattori molto yin e molto yang, che determina un prodotto dalle numerose applicazioni pratiche:
Consente di consumare dei fattori molto yang come il sale senza dover bere molta acqua in seguito. Infatti tali qualità yang così assorbite riescono a neutralizzare eventuali fattori molto yin presenti nel sangue, quali zucchero, alcoolici, tossine, ecc.
In virtù delle sue qualità molto yin, l’ umeboshi può curare anche sintomi yang. Un proverbio giapponese dice: “Se avete voglia di bere acqua, prendete un’umeboshi, e la vostra sete passerà”. Grazie alle sue qualità molto yin l’umeboshi fa andar via la sete. >>

tratto da   http://www.itado.org/seleziona2articoli.asp?id2=venticinque


A casa l'umeboshi, per nostra fortuna, negli ultimi dieci anni ha riassunto il mobiletto dei farmaci. Un bicchiere con due dita di tè kukicha (o anche solo un po' d'acqua calda) e un dosaggio da mezzo a un cucchiaino della nostra prugna (usiamo la pasta di umeboshi, che costa meno e funziona lo stesso), da  prendersi la sera prima di andare a dormire.
E' sorprendente l'effetto di trovarsi l'intestino in condizione basica per una notte intera! Le accezioni pratiche che determinano la scelta di "mandare giù" l'umeboshi (la sua combinazione acido-salato spesso non risulta gradevole, ma delle medicine non si sta a guardare il gusto!) sono:
- ho fumato troppo, ho mangiato troppo, mi sento sotto tono debole stanco, sta per venirmi un'influenza: riduco il cibo e prendo l'umeboshi
- ho fatto un grosso sforzo fisico oppure dovrò farlo domani andando a far legna: è l'uso di Nagatomo, perché l'umeboshi migliora il drenaggio dell'acido lattico dai muscoli
- in caso di disordini intestinali, colite o diarrea
- in caso di ferite da rimarginare
- dopo l'anestesia del dentista
- e ancora, su internet non mancano i rimandi all'uso di umeboshi per limitare gli effetti collaterali della chemioterapia
Non usiamo l'umeboshi in caso si sintomi di scarica già in corso, se l'influenza si sta già esprimendo non ci viene da interferire.
Se non la conoscete, sperimentatela su uno dei sintomi sopra indicati, ma l'uso dell'umeboshi, unito all'evitare i cibi di origine mammifera (vedi post Carne e fisiologia), può essere inserita anche in condizioni di salute come modo per migliorare il nostro stato di benessere.

sabato 7 luglio 2012

Casa in argilla cruda


















Casa in argilla cruda realizzata nel 2001 in provincia di Torino.
Per relazioni tecniche visitare il sito www.casediterra.it
per altre immagini della costruzione il sito www.altafinmoreno.it