fondamentalismo della modernità

"Potremo esultare alla morte di dio
solo quando avremo un'alternativa all'individualismo."

giovedì 31 maggio 2012

Prostituzione pubblica


Una generazione si sta vendendo. Nulla di nuovo, l'Italia contadina s'è estinta nella fabbrica, poi nell'ufficio. Oggi, in certi ambienti, se uno fa l'educatore è probabile che lo facciano anche tutti i suoi amici: in cooperativa, una paga da fame ed il rischio costante non di restare a casa ma, probabilmente, di lavorare per mesi aspettando la promessa di uno stipendio!
Quanti sono, oggi nel nostro paese, gli occupati nell'assistenza? Quelli che non stanno più vendendo le proprie capacità nè la propria forza fisica ma, genericamente, la propria relazionalità.
Il problema del vendersi è solo che, dopo, non sei più padrone di te stesso! Se vendi le tue ore, poi non hai più tempo per fare le cose tue. Se vendi la tua forza, poi sei stanco, se vendi la tua intelligenza poi sei stupido... Questa, banalmente, la degenerazione antropologica dell'Italia contemporanea: la classe operaia ha venduto la sua forza-lavoro ed i suoi figli fanno quello che possono con quanto gli resta. Ogni generazione, mentre il PIL cresce, cala nelle sue capacità ed aspettative.
Nella pedagogia, e in quella più illuminata, si pretende di "esserci" per meglio interagire con l'utenza. Ma esserci davvero, la spontaneità, cozza evidentemente con il soldo: "pagati per mettersi in relazione", solo un nuovo tecnicismo per definire il mestiere più vecchio del mondo!
Daltronde di che ci stupiamo, in un paese che ostinatamente dà il suo voto a qualcuno a cui venderebbe volentieri anche sua figlia... l'italia ha "sdoganato" il darla via, evviva la franchezza!
Purtroppo però, lungi dall'essere un'esperienza emancipatoria, del fenomeno dobbiamo leggerne il portato involutivo. La generazione che ha venduto la propria spontaneità ed empatia poi si ritrova nel galateo virtuale del web! E, nel frattempo, fra tanta formazione professionale utile solo per ristabilire, a tavolino, quanto perso nella pratica, l'utenza è sola, abbandonata più di prima quando, in un "istituto" dove nessuno si aspettava che l'operatore "ci credesse" davvero nel suo lavoro, poteva ancora capitare che un operatore ed un utente si scambiassero un cenno umano trovandosi, casualmente, compagni nella sfiga!
Oggi no, è escluso crudelmente  dall'ideologia professionale di qualcuno che pretende di comandare la propria spontaneità o, peggio, che non sa più distinguerla dalla retorica.
La retorica è inevitabile dove la relazione è sbilanciata: l'utente può solo chiedere, l'operatore può solo dare, ma è fisiologico nelle situazioni di dipendenza, come tra un cucciolo e sua madre. E' fisiologico e va rispettato, ma questo vuol dire che bisogna assumersi la responsabilità di fare delle scelte per altre persone, e delle scelte che siano alternative a quelle che hanno condotto alla loro situazione di disagio.
L'utenza è fatta di persone che più di tutte avrebbero bisogno di vivere in un altra cultura, in un altro alimentarsi, in un'altra condivisione sociale... Un mondo nuovo che purtroppo non c'è perché chi dovrebbe costruirlo è invece lì intorno, prezzolato, a limare la propria retorica e spronare verso quella stessa informità consumista che ha prodotto l'handicap di entrambi.

lunedì 28 maggio 2012

Gusto e alimentazione


Non contiamoci palle, il gusto piace a tutti!
Chiunque, tra un alimento poco gustoso ed uno saporito è propenso al secondo. E neppure la ritengo una deformazione prettamente umana: ho personalmente inseguito un cagnetto talmente drogato di crocchette che come prima azione, quando l'ho depositato in cortile appena rilevato dal canile, è stato dirigersi deciso, annusando l'aria, verso la prima ciotola di crocchette per gatti... a mezzo chilometro di distanza!
Bisogna riconoscere al gusto tutta la sua valenza sessuale, e bisogna riconoscere che in molti casi l'opposizione a certe scelte, razionalmente valutate come ragionevoli, è proprio espressione di queste tensioni. Il dire a qualcuno "cambia dieta" spesso vien preso come indelicata intromissione, un po' come dirgli "cambia gusti sessuali".
E' appunto da questa ammissione che possiamo ripensare al nostro atteggiamento verso il cibo: certo che se ho scarse occasioni sessuali al momento buono cercherò il piacere immediato dell'orgasmo, così come se fossi veramente affamato non starei a guardare gli ingredienti sull'etichetta; ma come chiunque è in grado di distinguere il piacere momentaneo dell'orgasmo dai benefici vantaggi che un rapporto sessuale può avere sull'intera nostra giornata, così per il cibo la ricerca del gusto va affiancata alla valutazione dell'effetto che fa: il gusto degli alimenti è abbinato alla qualità dei materiali. Non si nasce "imparati", da cuccioli si tratta solo di ricevere il cibo (si spera) ragionevolmente dispensato dagli altri, mentre è l'esperienza che ci rende adulti nella consapevolezza dei distinguo e nella valutazione degli effetti.
In questo, al massimo, possiamo trovare una differenza con gli animali, che si dimostrano spesso più ragionevoli di noi. Permettetemi un altro esempio: ho conosciuto una cagna, che aveva rubato tanto prosciutto da farne un'indigestione, rimanere così stupita dal malessere fisico da rifiutare poi quell'alimento per tutta la vita.
Non si può impedire di aver fame così come non si può impedire di desiderare. Il gusto, in entrambi i campi, è l'espressione individuale dei bisogni di un certo soggetto in un certo momento, è un indicatore importante della nostra condizione: non si tratta di reprimerlo ma anzi di coltivarlo affinandolo nel riferimento al portato sociale dei suoi effetti, al di là dell'immediato.
Per noi umani l'esplorazione del supermercato, alla ricerca compulsiva del gusto che più ci gratifica, è il "normale" esercizio dell'individualismo. Mentre il "tener conto degli effetti", nell'alimentazione così come nel sesso, sarebbe la ricerca del benessere e dell'efficenza, e quindi della socialità: il "tener conto degli effetti" è un elemento fondamentale per l'allevamento della specie e stabilisce le condizioni di un'intera popolazione, le sue scelte culturali ed i suoi comportamenti.
Qui servirebbe un termine per descrivere il "benessere diffuso" che l'attività sessuale o un pasto salubre regala e protrae per l'intera giornata. E' un aspetto che tutti conosciamo, questo degli "effetti che fa", anche se una società individualista come la nostra è portata a rimuoverlo.
Non si tratta di rinunciare al gusto ma di provare a trovarlo affiancato alla salute, che lo amplifica e lo rende complesso.
Sii più sessuale! dovrebbe essere lo slogan della dieta. Niente tristi rinunce: cerca il legittimo godimento ma valuta anche l'effetto che fa!


Il gusto è di natura sessuale


Proporre un cambiamento di abitudini alimentari è indebito, sarebbe come chiedere di cambiare il proprio desiderio


Si può solo proporre una miglior adesione tra gusto e sessualità


Tieni i tuoi gusti, coltivali, e nel valutare l'utilizzo di un alimento non prendere solo in considerazione la scelta di gusto/orgasmo, ma anche la condizione in cui viene a trovarsi il tuo corpo dopo la sua assimilazione.

venerdì 25 maggio 2012

Tengo una minchia tanta


Ho sentito giusto? Avanzate delle accuse di pedo pornografia per il fidanzato di Ruby? Le avrebbe scattato delle foto ch'era ancora minorenne...
Basta! Non serve la logica, basta l'indignazione a segnalarci quanto stride, quando la legge si oppone alla fisiologia... come quella evidentemente sviluppata di Ruby!
Si è maggiorenni a diciott'anni, una volta era a ventuno, forse sarebbe meglio a trenta suonati? Come possiamo pretendere che i tempi biologici della crescita si adattino a quelli ferrei della legge? Alla pubertà i genitori dovrebbero aver reso un adolescente abbastanza responsabile da "esprimere consenso", sessuale e forse anche politico. L'evidenza di un cambiamento anatomico dovrebbe accompagnarsi alla responsabilità del proprio corpo come delle proprie azioni... Altrimenti sono gli adulti ad essere in difetto: i genitori perché non sono stati in grado di fare i genitori, ed i servizi preposti alla vigilanza ed alla tutela dei minori perché non sono stati in grado di accorgersi prima del problema.
La corporeità è il limite della nostra concezione di individuo, una concezione ancora troppo astratta che si riflette poi al momento di stabilire quali siano i suoi diritti.
Come nel caso della fecondazione, in vitro, assistita, eterologa o qualunque altro stratagemma si riesca ad inventare: che diritto ha l'individuo non fertile, non sufficientemente in forma da essere fertile, di ribaltare sulla prossima generazione i suoi problemi? Generare è da intendersi tra i diritti umani fondamentali della persona? Non basta il proprio corpo a stabilire se sono in grado di riprodurmi? Deve sancirlo la legge, anche e proprio in disaccordo col mio stato fisico?
Se c'è un diritto è quello del bambino di nascere sano da genitori sani.
C'è un limite alle ragioni dell'individuo, e questo limite è quello dettato dall'interesse generale della specie, il limite della nostra forma.

domenica 20 maggio 2012

La modernità dei gatti morti



Un'altra testimonianza degli anni '30 (vedi il post "Autonomia e salute" del 28/3/2012)
che dimostra come non sia obbligatorio star dentro all'ideologia che cerca di salvare
capre e cavoli (la malattia è fatalità, noi intanto ce la godiamo!).
Pensate quanto è stupido continuare ad investire nella ricerca quando
non vogliamo vedere i dati che già abbiamo...


<< In un esperimento senza eguali nella storia della ricerca
scientifica, con un follow up di 10 anni ( che corrispondono, in termini
umani, a circa 60 anni e 4 generazioni ), sono stati studiati gli
effetti di una dieta a base di alimenti denaturati ( cotti ) su 900
gatti, inducendo disfunzioni metaboliche e malformazioni strutturali
caratteristiche, che si aggravavano di generazione in generazione. Una
famiglia di gatti degenerati si estingue con la terza generazione, a
causa delle alterazioni funzionali troppo gravi, comprendenti
l’incapacità riproduttiva. Si è anche osservata la possibilità di
rigenerare metabolicamente tali gatti degenerati, ma sono necessarie non
meno di 4 generazioni nutrite con cibo crudo.
Il Dr. Pottenger non ha mai avuto la pretesa che quanto osservato sui
gatti possa essere valido al 100 % per gli esseri umani; sosteneva però
che le disfunzioni osservate sui gatti sono così simili a quelle
osservabili su esseri umani che seguono una dieta a base di alimenti
artificiali e denaturati, che sarebbe almeno ingenuo e imprudente non
riflettere su tale similitudine, visto l’alto grado di degenerazione
fisica nella società occidentale moderna.

“Con l’impiego di diete sperimentali controllate siamo riusciti ad
indurre alterazioni nello sviluppo strutturale e funzionale dei gatti.
Abbiamo verificato che manifestazioni allergiche e alterazioni dentali
paragonabili a quelle che presentano gli esseri umani si producono
mediante la manipolazione della preparazione dei cibi.
I gatti randagi normali vivono di topi, uccelli, rettili, insetti, pesci
e alcuni vegetali, mantenendo intatte la loro struttura e le loro
capacità funzionali generazione dopo generazione. Anche i gatti
domestici, che vivono comunque all’aperto e sono allo stato
semiselvaggio, mantengono le loro caratteristiche peculiari di
generazione in generazione.
Al contrario gatti cui viene impedito di cacciare liberamente,
assoggettati una vita facile con cibi precotti a disposizione, tendono a
sviluppare alterazioni corporee e funzionali.
In uno studio confrontiamo due gruppi di gatti, nutriti a base di latte
crudo e olio di fegato di merluzzo; unica differenza, in un gruppo
mangiano carne cruda, nell’altro cotta. La carne è per tutti costituita
da interiora, muscoli e ossa.
I gatti che mangiano carne cruda presentano un’ottimo sviluppo
maxillofacciale e una dentizione normale ( e ciononostante non risultano
perfetti come quelli randagi che da soli si cercano il cibo); il
ricambio dei denti da latte avviene senza problemi e senza ritardi;
mantengono costanti tali caratteristiche di generazione in generazione;
il tono dei tessuti molli è eccellente, così come la qualità del pelo;
il contenuto di calcio e fosforo nelle ossa è normale; per tutta la vita
si mantengono resistenti alle infezioni e ai parassiti; non mostrano
segni di allergie; in generale si dimostrano giocherelloni, curiosi,
predicibili nel loro comportamento; se lanciati da un’altezza di 6 piedi
per testarne la coordinazione, atterrano sempre sulle zampe e tornano
per giocare ancora; si riproducono regolarmente, senza difficoltà
durante il parto; la mamma partorisce in genere 5 gattini di circa 119
grammi di peso medio, che allatta regolarmente.
I gatti che mangiano carne cotta, invece, sviluppano ogni tipo di
malformazioni della faccia, delle mascelle e dei denti.
Anzitutto producono gattini tutti diversi tra loro per taglia e pattern
scheletrico( le caratteristiche fisiche non si mantengono costanti di
generazione in generazione; esistono tante differenze morfologiche
quanti sono i gatti, e nessun gatto risulta simile all’altro ); perdono
tutti i denti incisivi e la maggior parte dei molari nel giro dei 3 – 5
anni di vita, per rammollimento delle ossa alveolari; mostrano crani
allungati e ristretti, che vanno riducendosi dalla seconda alla terza
generazione; per questo, anche la mandibola e la mascella si
restringono, cosicché molti denti si ritrovano affollati o non riescono
ad erompere; molto frequenti malocclusioni da retrusione o protrusione
mandibolare; i seni frontali e gli archi zigomatici sono iposviluppati;
spesso vi sono ritardi nel ricambio dei denti; l’eruzione dei denti
permanenti è spesso accompagnata da gengive sanguinanti, rinorrea,
febbri e stato di prostrazione generale; i denti permanenti si
presentano più piccoli e di forma più irregolare; per riduzione della
crescita dall’indietro all’avanti delle ossa mascellari, i molari
possono rimanere inclusi nel ramo mandibolare; la corona di questi denti
risulta disposta perpendicolarmente alla superficie masticatoria invece
che parallelamente ( come i denti del giudizio inclusi degli esseri
umani ); l’agenesia ( assenza ) soprattutto dei denti incisivi è molto
comune; le alterazioni morfologiche sono così evidenti che basta poco
anche al non addetto per riconoscere un gatto di questi da uno nutrito
con cibi crudi; le ossa lunghe tendono ad allungarsi, a ridursi di
diametro e possono curvarsi, con gli arti posteriori più lunghi di
quelli anteriori; alla terza generazione si osserva una palese
condizione di osteogenesis imperfecta; sono facilmente affetti dalle
seguenti patologie: problemi di cuore; miopia e presbiopia;
distiroidismi; infezioni a reni, fegato, testicoli, ovarie, e vescica;
artriti; infiammazioni del sistema nervoso con paralisi e meningiti;
si osserva una riduzione del volume viscerale; uno studio microscopico
dei loro polmoni dimostra tessuti respiratori anormali; in molti casi si
ha ipotiroidismo, diagnosticato clinicamente nei gattini dalla presenza
di bozze frontali prominenti, denti sottodimensionati, mandibola retrusa
e insufficiente sviluppo dall’indietro all’avanti della faccia; la
diagnosi anatomopatologica viene effettuata nel postmortem, con
l’autopsia; le gatte sono molto irritabili e inclini alla litigiosità,
dando morsi e graffi con facilità e non fanno le fusa; i gatti maschi,
invece, sono troppo docili e presentano disinteresse all’accoppiamento
quando non un interesse invertito; è evidente un pervertimento
comportamentale, con le femmine che aggrediscono maschi piuttosto
passivi: tali deviazioni non si osservano tra i gatti che si cibano di
alimenti crudi; sono diffusissimi parassitosi e vermi intestinali;
molto frequenti allergie e disturbi dermatologici, e peggiorano da una
generazione all’altra, con un’incidenza del 100 % alla terza
generazione; le allergie più comuni sono nei confronti del latte; in
questi gatti allergici, l’autopsia rivela una lunghezza del tubo
digerente _ che si presenta atonico e ipoelastico _ in media da 72 a 80
pollici, contro i 48 dei gatti normali; gli aborti sono comuni, andando
dal 25 % delle gravidanze alla prima generazione degenerata fino al 70 %
alla seconda; i parti risultano difficili, e molte femmine ne muoiono
subito o dopo 3 mesi, per esaurimento; le gatte gravide mostrano
infiammazioni e infezioni gengivali; le femmine mostrano ingravescenti
difficoltà di concepimento, quando non sterilità ( all’autopsia si
osservano frequentemente atrofia ovarica, congestione uterina, e nei
maschi insufficiente sviluppo spermatogenetico ); la mortalità tra i
gattini neonati è alta, perché a volte nascono morti, altre sono
troppo deboli per cercare il seno materno; il peso medio alla nascita
è di 100 grammi; ma soprattutto, arrivati alla terza generazione, i
gatti degenerati sono così metabolicamente instabili che nessuno
sopravvive oltre il sesto mese di vita, ponendo così fine alla linea
riproduttiva. >>

l'articolo completo su: http://www.aipro.info/drive/File/10.pdf

Di notevole interesse anche il sito - www.aipro.info - esempio di una medicina di base,
preventiva ed economica, quelle informazioni indispensabili per gestire consapevolmente
il proprio stile di vita e la propria alimentazione nel senso della salute e dell'autonomia.




lunedì 14 maggio 2012

Impresa sessuale


Gli operai della Fiat di Termini Imerese occupano una banca che rifiuta il
credito alla loro impresa. La lotta di classe ha completato il giro. Un
personaggio con cilindro e cravatta andrà aggiunto a fianco della donna con
bambino nel quadro del Quarto Stato di Pelizza da Volpedo.
Ma cos'è questa cosa qui?



La banca col suo credito garantisce le condizioni per il funzionamento del
sistema: le condizioni equilibrate di un utero.
Poi c'è un dato di virilità: il duro lavoro maschile che si cede, con la
tutela del sindacato, alla capacità  manageriale di un individuo creativo:
l'imprenditore con i coglioni.
Il tutto per produrre oggetti di consumo, e di un certo consumo: la comodità
femminile.

Ecco tutto l'apparato nel suo dispiegamento che ormai ci sembra ovvio.
Solo i più ingenui pensano ancora che un'impresa potrebbe essere fatta con
soldi propri, che la virilità potrebbe essere collaborazione e che potrebbe
strutturarsi nel verso dell'autonomia più che nelle forme del posto fisso.
Ma forse questa "ingenuità" è indispensabile per permetterci di riflettere
sulla reale necessità e sulle conseguenze di quanto produciamo oggi.


venerdì 11 maggio 2012

Protocollo alimentare


Forse le istituzioni saranno le prime costrette ad un sano realismo sulle condizioni della forma delle persone loro affidate. Vi propongo qui un documento che la Comunità residenziale per disabili dove lavoro si è trovata costretta ad adottare quando, in qualche riunione con altri servizi, dei colleghi hanno cominciato a segnalarci che dei nostri utenti sei su sette potevano definirsi obesi....


PROTOCOLLO ALIMENTARE


Tenendo conto delle condizioni dell’utenza, per la maggioranza in sovrappeso e gravata dalla non indipendenza alimentare, dall’istituzionalizzazione e dall’uso di parecchi farmaci molti dei quali di natura psicoattiva, questo protocollo si occupa di come organizzare in pratica una cucina centrata sui cereali, di preferenza integrali, che privilegi la proteina vegetale, che sia ricca in fibra e a basso contenuto di grassi e zuccheri.

Alcune questioni non riguardano la scelta quotidiana del menù risolvendosi preventivamente al momento degli acquisti periodici settimanali. Si esclude quindi l’approvvigionamento di:

  • zucchero e dolcificanti. Come alternativa si suggerisce l’uso di malto di cereali per le bevande, di uva passa prugne o altra frutta secca per i dolci.
  • caffè normale o decaffeinato. In alternativa caffè d’orzo.
  • tisane di erbe, tè normale o deteinato. Alternativa il tè giapponese kukicha, normalmente privo di teina.
  • pane bianco, biscotti e dolci preconfezionati. Alternativa di “crostini” neutri di varia natura come gallette di riso, pane tedesco in chicchi, crakers di segale, fiocchi di avena, corn flakes di mais senza zucchero.
  • latte, burro, formaggi, yogurt, uova, salumi ed affettati in genere
  • maionese, creme e sughi preconfezionati, dadi per brodo ed insapori tori addittivati.
  • bevande alcoliche, zuccherine, gassate, succhi di frutta.
Per contenere la quota lipidica ed evitare conservanti ed additivi in genere, si consiglia di consultare sempre la lista degli ingredienti ed il prospetto di composizione percentuale in carboidrati-proteine-grassi fornito in etichetta per la maggior parte dei prodotti. Sempre in merito agli approvvigionamenti, per un semplice criterio di ecologia e di utilità, si esclude l’uso di acqua minerale e di stoviglie di plastica usa e getta.

Colazione e spuntini

Fornire in thermos caffè d’orzo leggermente dolcificato con malto e tè kukicha non dolcificato (eventuale latte di riso per correzioni è da contingentare).
Fornire tutto il repertorio di “crostini” neutri (eventuale frutta secca e semi oleaginosi sono da contingentare).
Incentivare una colazione sufficientemente ricca da evitare cali di zuccheri e relativi spuntini in mattinata.
Questa offerta di bevande calde e di “qualcosa da sgranocchiare” va garantita per tutto il giorno (un caffè d’orzo dopo pranzo può essere l’occasione di riempire nuovamente i thermos). L’eventuale abuso di spuntini va ragionato direttamente con l’utenza permettendole comunque di fare in quest’ambito scelte in autonomia.


Pasti principali

Un pasto si compone di un primo piatto (l’apporto principale di carboidrati), di un secondo (proteico) e di un eventuale contorno di verdura.

Una condizione equilibrata comporta, in base all’appetito, una scelta di quegli elementi in quell’ordine di priorità. Eventuali preferenze alternative (richiesta di solo secondo piatto o di solo contorno) vanno indagate per escludere sintomi di malessere (se l’utente ha fatto una ricca merenda è comprensibile che possa volere solo un po’ di verdura). Rispetto alla quantità è importante e possibile lasciare all’utenza un certo grado di autonomia, ma solo nel caso di preparazioni alimentari a basso contenuto di grassi. Sempre allo scopo di incentivare scelte autonome da parte dell’utenza, è possibile affiancare al cereale un primo di pasta.

Il cereale integrale è da considerare centrale nell’alimentazione e deve essere proposto almeno una volta al giorno. Pane e pizza, per il lento transito intestinale, non possono essere considerati una valida alternativa al primo piatto. Mentre riguardo alla pasta si ricorda la ricca tradizione mediterranea di paste alle verdure (broccoli, cime di rapa, cavolfiori…) che può rendere saltuario l’uso di condimenti al pomodoro. Riguardo al classico “risotto” si raccomanda l’avvertenza di usare il prodotto integrale.

Come secondo piatto l’apporto proteico vegetale può consistere in un qualunque tipo di legume (fagioli, piselli, ceci, lenticchie) o di preparazione derivata (tofu, temphè, seitan). Si ricorda che, mentre il cereale può anche essere cotto poco, “al dente” come la pasta, il legume va reso ben digeribile con una cottura prolungata. La carne può essere somministrata al massimo due volte alla settimana - ad esempio venerdì pesce e domenica carne - giorni fissi possono aiutare gli operatori a contenere eventuali altre richieste. Si preferisce l’uso di carni bianche (pollo e tacchino) e di pesce azzurro di piccola taglia.

La verdura può essere usata come contorno o come condimento. Per il forte sbilanciamento nel rapporto Na-K, si sconsiglia l’uso di solanacee (patate, pomodori, peperoni e melanzane), da considerarsi al massimo come condimento occasionale. Si preferiscono metodi di cottura senza grassi e si limita l’uso di olio, anche crudo. Nel condire un piatto si ricorda che l’olio, nelle minime quantità ammissibili, non può mai essere considerato per la sua funzione lubrificante.

Si disincentiva l’assunzione di frutta, soprattutto dopo i pasti, per il suo effetto fermentativo e perché, in un’alimentazione centrata più sui cereali che sulla carne, diventa eccessivo il suo effetto lassativo, contenendone l’uso al massimo per una merenda pomeridiana, ed indirizzandosi a frutta locale e di stagione. 
Agli operatori si richiede una formazione specifica sui metodi di cottura perché, in effetti, legumi e cereali integrali se non preparati correttamente possono risultare sgraditi.
Si ricorda che, per quanto rigorosamente possa venir seguito questo protocollo, la nostra possibilità di incidere sulle condizioni di salute dell’utenza è comunque parziale per il limitato numero di pasti consumati in Comunità Alloggio. Tutti gli alimenti qui esclusi saranno comunque incontrati altrove. Proporre una dieta al 2-3% di grassi in questo caso significa solo cercare di bilanciare quella al 20-30% che l’utenza realizza di fatto all’esterno del servizio. Ad un periodico controllo del peso corporeo e dei valori sanguigni si rimanda la valutazione delle condizioni di salute generali dell’utenza.
L’operatore che ha aiutato l’equipe nella stesura di questo protocollo ha una pratica più che decennale di cucina casalinga. Positiva è stata in generale la risposta dell’utenza a questa pratica alimentare nel corso degli ultimi due anni.

venerdì 4 maggio 2012

L'Utopia dell'Ecovillaggio



Sarebbe bello esistesse davvero, nascosta in qualche bosco, una
radura di convivialità serena, autosufficiente, consapevole. Un
posto, il posto giusto che rigenera e conforta l'individuo, sperso e
ancora frastornato dal chiasso, ferito d'abbandono. Sappiamo cosa
critichiamo, e allora perché non dovrebbe essere semplice fare
altrimenti? Qui s'usa il consumismo, e allora noi saremo frugali;
qui vige la proprietà, e noi metteremo in comune; qui s'impone la
maggioranza ma noi vorremmo essere tutti d'accordo...

Nell'immaginare un futuro mondo ecologico, "risolto" dal nostro male
di vivere come dalla violenza globalizzata, due sono le strade: una
vede l'ostacolo nella scarsa consapevolezza del singolo, e si
scoraggia nell'impossibilità di convincere tutti; l'altra confida
nel coinvolgimento collettivo di un nuovo modello sociale, e si
agita inquieta cercando la formula giusta.

Di questa natura è la proposta dell'ecovillaggio: una riforma
sociale capace di offrire il contesto adatto alla crescita della
persona, per una vita più sana, pulita e giusta.

E qui sta forse il limite intrinseco di un'esperienza che, seppure
minima o addirittura "sporadica" in italia, rischia di fare il suo
maggior danno nel bruciare l'intero campo della ricerca di nuovi
stili di vita e modi di stare assieme. Un limite non nei propositi
ma nei presupposti, in ciò che dà per scontato: la società.

Partire da una sostanziale accettazione dell'idea di società è
deleterio quanto l'accettazione dell'idea di coppia: la Società, 
come patto di sopportazione tra "non intimi", è conseguenza 
necessaria della Famiglia, invece troppo intima, che quel tipo di 
individui produce. Così è nella realtà dei fatti, questo è ciò che
siamo in grado di fare in certe condizioni, ma è di quelle
condizioni che siamo qui appunto a discutere.

La questione ecologica, il danno della modernità, è dunque un
problema di natura intima nel rapporto tra umano e ambiente? Ma di
che "intimità" parliamo? Qual'è la cosa di cui siamo più ritrosi a parlare?
La sessualità? Sì, se lì intendiamo il posto dei nostri maggiori impacci...

Se intendiamo "intimità" la disponibilità a riconoscerci, e
chiederci reciprocamente, onestà sui nostri "limiti" (che dovrei
citare unitamente ai pregi, da sottrarre al gioco dell'elogio, ma
questo è cosa sottile mentre è il riconoscere le proprie debolezze e
le proprie complicità che brucia!), allora non accetto che venga
circoscritta alla particolare profondità di un rapporto di coppia.
No, questa "intimità", quest'essere consapevoli dei propri limiti, è
il livello che pretendo da una qualunque convivenza. E' lo stile di
casa per chi mi viene a trovare. Qualcuno lo potrà trovare
indecente, ma a casa mia non ci sono regole, ne' assemblee:
ci sono io!

Questo potrebbe essere il criterio di un mondo non individualistico:
dovremmo fare delle nostre case un posto dove si riconosca la realtà
dall'ideologia, dove si coltivino individui consapevoli e dove la
sincerità valga come moneta di scambio in tutti i rapporti con gli
altri. La salute dell'individuo e la vitalità del suo "branco",
possono allora proiettarsi attorno a sé in una "società intima", una
società di adulti consapevoli di se stessi, e dunque "potenzialmente
intimi".

Non ci sono alternative: se non è l'individuo a produrre le forme
sociali, allora è la Società a formare gli individui, con le sue
regole e tutte le sue rigidezze. La salute, ovviamente, è il
discrimine.

Solo se siamo in grado di un confronto diretto con l'altro, possiamo
pensare di giungere a condividere una cultura della cura di sé (il
riferirsi ad un'idea di forma dell'umano come il solo criterio
legittimo per stare assieme, per nutrire un tessuto sociale, per
aggregare cultura e complessità umana), altrimenti, nonostante le
migliori intenzioni, potremo solo riformulare vecchie regole
producendo nuove contraddizioni.

Così è, nella pratica, che la maggioranza democratica non è affatto
turbata dal consenso assembleare di un ecovillaggio. Così il
comunitarismo si rivela solo un'altra forma di dipendenza. Così la
fantasia è scarsa da non sapersi inventare altro che un commercio di
carne, olio e vino buono del sud... (limiti invalicabili dello
slowfood mediterraneo).

Nel tempo in cui l'idealità democratica si dimostra ormai frusta,
corrosa di corruzione, l'ecovillaggio compare come una delle tante
forme di "insignorilimento" che spuntano come funghi nella provincia
dell'impero globalizzato, fianco a fianco con la corte cintata della
villetta a schiera e le sue telecamere.

L'umano va socializzato, è vero - altrimenti si produce proprio
l'esasperazione di quell'individualismo che critichiamo - ma non è la
retorica dell'utopia a poterlo fare. Lo può solo la cruda realtà ed
il confronto con l'adultità di chi ci sta intorno.




martedì 1 maggio 2012

Cosa c'è dietro un pannello solare...?


... l'ombra! L'ombra di una tecnologia che sembra regalarci una comoda ipotesi di sostenibilità, e invece...
E' una fottitura, una fottitura scientifica. Sull'etichetta non riportano il dato più banale: il confronto tra quanta energia può incamerare una pianta e quanta un pannello. Forse il calcolo è troppo complicato, perché in realtà la pianta si porta dietro tutto un ecosistema ed il pannello, dal canto suo, anche: tutto il sistema industriale! Non ci diciamo quanto inquina il produrlo perché quelli sono sacrosanti posti di lavoro. Non ci diciamo quanto costa smaltirlo perché quello sarà problema dei nostri figli. Non ci diciamo quanta parte di quell'impianto non ha proprio nulla di ecologico, quanto rame e quanta plastica servono per dominare e spostare quell'energia.
Il pannello solare ci evita la questione del cambiare tenore di consumi perché è questo il problema, perché ricordiamolo, indipendentemente da come se la produca, un "americano" continua a consumare come cinquanta "ugandesi". Con l'acqua calda solare si alimenta solo il circolo vizioso dell'igienismo: per debolezza proni al consumismo, una cucina troppo condita col gusto del privilegio, una montagna di piatti incrostati da affrontare col detersivo più potente e tossine puzzolenti da spurgare sotto le ascelle, quindi deodorante e doccia quotidiana obbligatoria...
Non esiste tecnologia "pulita", la tecnologia è sempre invasiva, di per se stessa. Non possiamo chiederle di risolvere magicamente i nostri problemi, possiamo solo valutare quale stile di vita adottare, e possiamo farlo anche in base alla tecnologia che comporta. Altrimenti è la tecnologia che ci prende la mano, è la rinuncia alla consapevolezza, è la sospensione del giudizio sui nostri comportamenti con l'aspettativa di farsi salvare dalla scienza, è l'ecologia ridotta a medicinale.
In questo panorama sembrano possibili solo due concezioni dell'umano. Una è apocalittica: homo sapiens è costituzionalmente distruttivo, al punto che dovremmo quasi augurarci che smettesse di riprodursi. Impasse filosofica, questa, che sta deprimendo molti sinceri ecologisti, senza peraltro aggiungere alcuno strumento critico. L'altra è l'infantilismo dei più, è l'adesione religiosa alla pratica rituale della "sospensione del giudizio con aspettativa scientifica", è l'atteggiamento di quanti non si sono resi conto del reale danno inferto al pianeta ma anzi conservano, da qualche parte, la convinzione di avere ancora dei crediti da esigere  da "madre natura".
Manca totalmente la più banale delle opzioni: quella di un umano fecondo nell'ambiente, per la sua forma e quindi anche per la sua tecnologia. Il problema non è di annullare il danno, e neppure basta ridurre l'impatto, la questione è di fare della nostra inevitabile impronta un elemento di complessità per l'ambiente. Si tratta di riscoprire la nostra parte di creatività nelle economie di una biosfera cui non è possibile sottrarsi.